ARCO IUS

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06/10/04

G d P Torino - sent. 6 ottobre 2004

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
Il Giudice di Pace di Torino - Sezione I -
Dott. Giuseppina Di Giacomo


ha pronunciato la seguente sentenza

SENTENZA

Nella causa civile n. 24.526/04 R.G. promossa da

I. G. elettivamente domiciliato in Torino, presso lo studio degli Avv. Gianluca Nargiso e Marina Buoncristiani, che lo rappresentano e difendono per delega a margine dell'atto di citazione

Parte attrice

Contro

W. T. S.p.A. con sede in Roma

Parte convenuta

OGGETTO: risarcimento danni

Conclusioni della parte attrice:
"... accertata l'inesistenza di un contratto tra l'attore e W. T. S.p.A.; accertata e dichiarata la falsa e fraudolenta rappresentazione di tale contratto da parte di W. T. S.p.A. a T. I. S.p.A. quale causa diretta ed immediata della cessazione dell'utenza ... e conseguente interruzione del servizio telefonico; condannare W. T. S.p.A. al risarcimento della somma di euro 215,50 a favore del sig. I. G. ( di cui euro 150,00 per spese di riattivazione dell'utenza con T. I. S.p.A. ed euro 65,55 per spese di acquisto dell'apparecchio cellulare), oltre al risarcimento del danno biologico, esistenziale e morale, con liquidazione ex art. 1225 c.c. entro il limite complessivo di euro 1099,00.

Conclusioni della parte convenuta:
"... voglia preliminarmente accogliere la eccezione di improponibilità della domanda ai sensi dell'art. 1 L. 249/97; in via subordinata accogliere la richiesta di chiamata in causa del terzo della I. I. S.p.A.... al fine di vederla condannata, se l'assunto attore sarà provato, alla rifusione dei danni che potrebbero essere riconosciuti, in quanto l'unica responsabile dell'acquisizione del cliente sig. I.G.; in via ancora più graduata dichiarare la propria incompetenza per materia e valore indeterminati e dichiarare la competenza del Tribunale di Torino; dichiarare la mancanza assoluta di danni patrimoniali nonchè di danni derivanti da stress, ansia, fastici nonchè dei danni morali per le ragioni esposte ai punti 3 e 1 della premessa con contestuale rigetto della richiesta per garantire indeterminatezza e mancanza di nesso di causalita tra pretendm e causa pretendi; dichiarare la estraneità della materia del contendere della società convenuta per le ragioni esposte ai punti 1 a 15 della premessa”.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 29 aprile 2004 ritualmente notificato il sig. I. G. conveniva in giudizio la W. T. S.p.A.
Egli esponeva che, fruitore da lungo tempo del servizio di telefonia fornitogli dalla società T. I. S.p.A., nel marzo 2003 rifiutava, astenendosi dal sottoscrivere qualunque documento sottopostogli dall'interlocutore, l'offerta fattagli, presso il suo domicilio, da un promoter della W. T. S.p.A., società concorrente di T. I. S.p.A. ma, nonostante tale rifiuto, il 6 luglio 2003 apprendeva, da W. T. S.p.A., che di lì a pochi giorni gli sarebbe stato attivato il servizio di Accesso Diretto Canone Zero sulla sua linea telefonica.
Immediatamente egli, sia per telefono che per lettera, diffidava la W. T. S.p.A. dal dare esecuzione ad un contratto inesistente, ma nel settembre 2003 riceveva una prima fattura di W. T. S.p.A. correlata all'attivazione del servizio oggetto dell'offerta respinta.
Contestando la fattura l'attore ingiungeva a W. T. S.p.A. la disattivazione della sua linea e la riattivazione con quella della T. I. S.p.A.
A quest'ultima società inviava una lettera di confemra della propria volontà di ripristino del rapporto di fornitura che egli non aveva mai chiesto di interrompere.
Il 24 settembre 2003 un'operatrice della W. T. S.p.A informava l'attore, per telefono, dell'immittente ripristino del suo allacciamento alla T. I. S.p.A.
L'operazione, secondo quanto gli fu assicurato, lo avrebbe privato dell'uso del telefono per non più di due giorni.
In effetti il 25 settembre 2003 l'attore subì la prevista sospensione del servizio, ma dovette poi constatare che tale stato si protraeva oltre i limiti preventivati, tant'è che il 17 ottobre 2003 egli denunciava alla W. T. S.p.A. il protrarsi della propia condizione di disagio oltre il limite della tollerabilità.
Ulteriori rimostranze egli dovette inoltrare alla W. T. S.p.A. nei mesi successivi; rimostranze che tuttavia non sortirono l'effetto del ripristino con la T.I. S.p.A. del servizio telefonico, interrotto, essendosi limitata la W. T. S.p.A. allo storno delle fatture che nel frattempo aveva emesso a carico dell'attore; per ripristinare l'allacciamento con T. I. S.p.a l'attore dovette infine pagare la somma di euro 150,00,
All'udienza del 1^ luglio 2004 si costituiva W. T. S.p.A. depositando e scambiando comparsa di costituzione e risposta, nella quale assumeva le conclusioni riportate all'epigrafe.
Il giudice, su richiesta di parte attrice, concedeva termine per l'esame di detta comparsa e per il deposito di eventuale memoria di replica fissava l'udienza del 22 settembre 2004.
A conclusione di tale udienza il giudice, respinta l'istanza avanzata da parte convenuta, di chiamata in causa della I. I. S.p.A. invitava le parti a precisare definitivamente le conclusioni e tratteneva la causa a sentenza.
Le parti si rimettevano in punto spese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La vertenza in esame è correlata ad un contratto di fornitura assai inesistente dall'attore e riconosciuto tale dalla società convenuta tant'è che questa avendo il sig. I. G. disconosciuto la firma calce al modulo del contratto, si determinò a stornare le fatture emesse a carico dewl destinatario; operazione eseguita evidentemente nella consapevolezza di adempiere uno specifico obbligo giuridico non, come la W. T. S.p.A. asserisce, a "difesa dell'immagine".
Questa finalità la W. T. S.p.A. avrebbe più efficacemente perseguito evitando la controversia con l'attore.
Conseguentemente:
· l'affermazione della W. T. S.p.A. secondo cui la domanda dell'attore è da porre nella fascia delle domande di valore indeterminato, di competenza del Tribunale, in quanto l'attore chiederebbe al giudice di pace di accertare se esiste o meno il contratto, è infondata e va respinta.
Infatti, oggetto della domanda non è quello indicato da parte convenuta, ma è il risarcimento del danno subito dall'attore a causa della ingiustificata invasione della sua sfera giuridica da parte della società convenuta;
· l'affermazione della W. T. S.p.A secondo cui l'attore avrebbe dovuto, prima di accedere alla tutela giurisdizionale, sottoporre la questione al giudizio del CO.RE.COM., è infondata, in quanto il ricorso a questo organismo (ammesso che già esista e sia operante) presuppone che le parti interessate abbiano la qualità di contraenti della quale essa invece nel caso specifico sono prive, perché nessun contratto è intercorso tra loro.
La comparsa di costituzione e risposta è connotata da un carattere di instabilità concettuale determinato da un continuo oscillare tra proposizioni nelle quali è sottintesa la riconosciuta inesistenza del contratto ed altre che invece, ne presuppongono l'esistenza e la validità e che per questo motivo non meritano considerazione alcuna.
La società convenuta ritiene di allontanare da sé la responsabilità per i danni subiti dall'attore asserendo che i fatti che li hanno causati sarebbero direttamente imputabili alla I. I. S.p.A. subentrata, per cessione di ramo d'azienda, alla I. I. S.p.a, la quale aveva trasmesso alla convenuta il modulo contrattuale apparentemente sottoscritto da l sig. I. G.
La W. T. S.p.A. asserisce di "aver operato secondo i canoni di correttezza e buona fede, avendo attivato dei servizi ad un contratto che riteneva valido in quanto regolarmente sottoscritto tra la I .I. S.p.A. ed il sig. I. G., poi volturato alla W.T. S.p.A " rivendicando una sorta di terzietà rispetto alla I .I. S.p.A. dimostrazione del fatto che la W. T. S.p.A avrebbe agito in uno stato soggettivo di incolpevolezza, supportato da un'apparenza creata da altri, dalla quale essa stessa sarebbe stata tratta in inganno.
Senonchè si rileva che è la convenuta a dichiarare che, per la raccolta di nuovi clienti, essa si avvale di "strutture esterne" (agenti procacciatori di affari, tra i quali la I. I. S.p.A ).
Si deve poi osservare che l'utilizzazione da parte dei componenti "Struttura esterna" di moduli intestati "W .I. " raccogliere le adesioni all'offerta contrattuale e trasmetterli alla W. T. S.p.A. medesima la quale, ricevutili, dà esecuzione alle operazioni elencate, dimostra che la "struttra esterna" è autorizzata da W. T. S.p.a alla spendita del suo nome; ciò che equivale ad attribuire la qualifica di rappresentante, con conseguente imputabilità diretta nella sua rappresentata degli atti compiuti, per la conclusione dei singoli contratti, dai componenti la suddetta "struttura esterna".
Immeritevole di considerazione è infine il tentativo della convenuta frammentare l'intera vicenda in isolati episodi negoziali, fintanto che sostenere che il ripristino del rapporto tra l'attore e la sua originaria fornitrice del servizio sarebbe stato affare del cliente, dal quale egli doveva necessariamente astenersi ed evitare una propria interferenza in un rapporto "inter alios"; considerazioni che incolpano la convenuta a sostenere che l'attore non potrebbe, avanzare la pretesa del rimborso della somma pagata a T. I. S.p.A. per ottenere la riattivazione del servizio.
In realtà non si possono sconnettere, per trattarli isolatamente, sono invece legati da una concatenazione causale, che trae origine da una illegittima irruzione nella sfera privata dell'attore compiuta dalla W. T. S.p.A., unica responsabile di quell'invasione e delle conseguenze che ne sono scaturite.
In sintesi:
· l'interruzione del rapporto in essere tra il sig. I. G. e la T. I. S.p.A.;
· la privazione per lungo tempo della possibiltà di fruire del servizio telefonico;
· il ribaltamento su di lui del costo di ripristino dell'allacciamento rimasto interrotto con T. I. S.p.A.
Alla luce di quanto sopra il giudice di pace ritiene fondata e meritevole di accoglimento la domanda di risarcimento dei danni materiali patiti dall'attore, salvo per quanto concerne il rimborso del prezzo pagato per l'acquisto del telefono cellulare, in quanto tale acquisto, sebbene compiuto sotto l'assillo dell'emergenza causata dalla W. T. S.p.A. non ha comportato una spesa "a perdere", ma la trasformazione di una somma in un bene materiale, non consumabile e tuttora utilizzabile.
Ritiene altresì fondata, contrariamente all'opinione espressa dal convenuto, la richiesta di risarcimento del danno morale.
Nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione (che all'art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo) il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona, quale la possibilità di coltivare le relazioni sociali tramite l'uso degli strumenti oggi indispensabili.
La vicenda che ha coinvolto il sig. I. G. il quale ha dovuto subire l'illecita intromissione di W. T. S.p.a. nella sua sfera personale, senza poter far nulla per impedirlo, ha prodotto conseguenze che vanno ben al di là del danno patrimoniale.
Il lungo periodo di tempo durante il quale l'attore è rimasto privo di allacciamento telefonico, con il disagio che ne è evidentemente derivato, la necessità di inviare innumerevoli quanto inutili fax a W T. S.p.a e a T. I. S.p.a. per riavere il servizio, l'essersi assoggettato, obtorto collo, all'umiliazione di pagare ingiustamente una somma di denaro per poter usufruire nuovamente di un servizio che è oggi indispensabile per il normale svolgimento delle relazioni sociali, non possono non aver determinato uno stato di ansietà, di frustrazione, di impotenza e di ansia che deve essere risarcito.

P.Q.M.

Il giudice di pace accoglie, per quanto di ragione, la domanda proposta dal sig. I. G. nei confronti di W. T. S.p.A. e per l'effetto
condanna W. T. S.p.A. al pagamento a favore dell'attore della somma di euro 150,00 a titolo di risarcimento del danno materiale e della somma di euro 900,00 a titolo del risarcimento del danno morale;
condanna altresì W. T. S.p.A. al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 700,00 oltre I.V.A. e C.P.A.

Torino lì 6 ottobre 2004
Il Giudice di Pace
Giuseppina Di Giacomo

18/03/04

Trib. Mantova, sent. 18.03.04

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MANTOVA
- SEZIONE SECONDA -

nella persona del Giudice Unico Dott. Mauro BERNARDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al N. 614/2002 R.G. promossa da:
G. P. G. e M. L.
entrambi elettivamente domiciliati in VIA FRATTINI, 7 - MANTOVA, presso e nello studio dell'avv. VASSALLE ROBERTO che li rappresenta e difende per mandato a margine dell’atto di citazione;

ATTORI

contro:

BANCA AGRICOLA MANTOVANA SPA
in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliata in VIA ................. - MANTOVA, presso e nello studio dell'avv. ............. che la rappresenta e difende per mandato in calce all’atto di citazione;

CONVENUTA

In punto: 143131 - Contratti di borsa

CONCLUSIONI

Il procuratore degli attori chiede e conclude:...........
Il procuratore della convenuta chiede e conclude:..................
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 20-2-2002 gli attori, assumevano di avere fatto confluire parte dei propri risparmi, depositati presso altro istituto di credito, sul conto corrente cointestato n. 160/32/123080 acceso presso la B.A.M., in un primo tempo utilizzato per far fronte alle piccole spese, in quanto allettati dalle vantaggiose offerte proposte dalla banca convenuta, conto che, alla data del 31-7-2001, presentava un saldo attivo di £ 98.625.187.
Gli istanti aggiungevano che al G., recatosi presso l’agenzia bancaria ove era stato invitato a presentarsi, era stata rappresentata dal funzionario addetto l’opportunità di acquistare obbligazioni argentine di cui la banca era in possesso, in quanto esenti da ogni rischio ed aventi un alto rendimento e che, stante la convenienza dell’operazione consigliata, il G. aveva deciso di investire anche ulteriori risparmi tanto che, il 5-9-2001, egli aveva versato sul conto la somma di £ 440.000.000 sottoscrivendo, il medesimo giorno, un ordine d’acquisto di 315.000 titoli (argent. 00/07 10% EU) per un controvalore di £ 501.332.658.
Da parte attorea veniva precisato che, in occasione dell’ordine di acquisto di cui sopra, il G., contestualmente alla consegna di un documento sui rischi generali degli investimenti, aveva sottoscritto, in qualità di consumatore, una richiesta di apertura del deposito a custodia e amministrazione titoli ed un questionario in cui si dava atto che l’esperienza degli esponenti era medio-bassa con media propensione al rischio.
I coniugi istanti asserivano inoltre di essere stati avvertiti qualche giorno dopo dal medesimo funzionario che, a seguito degli attentati del 11-9-2001 e del crollo dei mercati finanziari, si era verificata una diminuzione della quotazione dei titoli destinata ad essere riassorbita e che ciò avrebbe costituito una ottima occasione per un ulteriore investimento anche al fine di mediare il prezzo delle obbligazioni acquistate il 5 settembre rendendo così più sicuro l’investimento: a seguito di ciò gli esponenti, dopo avere liquidato una polizza costituita presso la Banca di Parma e Piacenza con una perdita di circa £ 120.000.000, convogliavano il ricavato sul conto acceso presso la B.A.M. ed il 19-9-2001 veniva sottoscritto un ulteriore ordine d’acquisto di 400.000 obbligazioni argentine 2010 11,375% per un controvalore di £ 502.708.000, operazione che la banca segnalava come inadeguata ma che veniva confermata dal G..
Alla luce di tali fatti e del successivo azzeramento del valore del titolo a seguito della crisi finanziaria che aveva colpito lo stato argentino, gli attori convenivano in giudizio la banca onde essere risarciti dei danni patiti per effetto dell’operato della banca deducendo la nullità ovvero l’annullabilità dei contratti d’acquisto delle obbligazioni in questione.
Essi premettevano che gli istituti finanziari già alla fine di luglio del 2001 sarebbero stati a conoscenza dello stato d’insolvenza dell’Argentina come si poteva desumere dagli articoli apparsi sulla stampa specializzata nonché dal basso rating attribuito ai titoli in questione dai più rinomati istituti specializzati e che la banca, al fine di evitare una perdita certa e rilevante, avrebbe illecitamente indotto i correntisti ad investire i propri risparmi nell’acquisto delle obbligazioni argentine con una serie di artifizi, consistiti anche nell’omissione delle necessarie informazioni circa l’affidabilità del titolo, con ciò violando il disposto di cui all’art. 28 co. II del regolamento Consob emanato in attuazione del d.lgs. 58/98.
La difesa degli attori sosteneva quindi l’invalidità dei contratti d’acquisto ex art. 1418 c.c. in relazione all’art. 640 c.p. nonché ai sensi del combinato disposto degli artt. 1427 e 1439 c.c..
Veniva inoltre sostenuto che la banca avrebbe violato, nel caso di specie, l’art. 21 del d. lgs. 58/98 e gli artt. 26-27-28 e 29 del regolamento Consob, da considerarsi tutte come norme imperative ex art. 1418 c.c..
In subordine veniva fatto rilevare che la firma di M. L. in realtà sarebbe stata apposta sui documenti contrattuali dal marito: posto che gli atti negoziali in questione richiedevano ad substantiam la forma scritta, che il marito non aveva una procura scritta e che non era intervenuta ratifica scritta del suo operato, la difesa degli attori sosteneva l’inopponibilità alla M. dei contratti, con la conseguenza che la banca avrebbe dovuto restituire metà delle somme investite.
La B.A.M., costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda affermando a) che gli istanti non erano sprovveduti risparmiatori avendo in precedenza investito i propri risparmi in una gestione patrimoniale predisposta dalla B.A.M. di natura altamente speculativa (ed internamente classificata come C3 ossia aperta in titoli esteri sino al 25 % del capitale investito e all’investimento in titoli azionari italiani sino al 50% del patrimonio) nonché in una Sicav ed in una polizza Index allocate presso la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza; b) che il funzionario della B.A.M. aveva fornito al G. tutti i necessari ragguagli circa la rischiosità dell’investimento anche in considerazione dell’alto rendimento previsto per l'obbligazione in questione desumibile dal confronto con quello assicurato dai titoli di stato italiani, consegnando il prescritto documento sui rischi degli investimenti in strumenti finanziari che, con riguardo ai titoli di debito, contempla specifiche indicazioni nell’art. 1.3 co. III; c) che il G., pur avendo rifiutato di fornire indicazioni sulla sua situazione finanziaria, aveva però dichiarato nel corso del colloquio con il funzionario della banca, di avere investito importanti importi in strumenti finanziari, di puntare all’elevata rivalutabilità dell’investimento in rapporto al rischio di oscillazione dei corsi, opzione questa che avrebbe rappresentato una scelta verso strumenti finanziari ad elevato rischio di oscillazione ed infine di avere una media propensione al rischio: da tali dati e dalle pregresse esperienze di investimento sarebbe emerso un profilo di risparmiatore quale soggetto di medio-alta disposizione all’investimento speculativo sicché l’operazione impartita era apparsa perfettamente in linea con le propensioni all’investimento del risparmiatore; d) che la B.A.M. non aveva i titoli argentini nel proprio portafoglio avendoli dovuti acquistare sul mercato (non regolamentato) a seguito dell’ordine impartito il 5-9-2001 dal G.; e) che, in occasione del secondo ordine, la banca aveva segnalato l’inadeguatezza dell’operazione e che, nondimeno, il G. aveva ordinato l’acquisto dei titoli (denominati in dollari) nonostante il prezzo delle obbligazioni, nel giro di due settimane fosse già notevolmente calato e che, anche in questa occasione, la banca aveva acquistato i titoli sul mercato.
In considerazione di quanto sopra esposto la difesa della B.A.M. rilevava come non sussistessero né i presupposti della truffa contrattuale né quelli per l’annullamento del contratto ex art. 1439 c.c. non essendo stati adoperati raggiri per indurre il proprio correntista all’investimento in obbligazioni argentine ed inoltre che sarebbe stata scrupolosamente osservata la normativa sul collocamento dei titoli anche tenendo conto della propensione agli investimenti in strumenti finanziari in concreto dimostrata dall’ordinante.
In ordine poi alla domanda svolta in via subordinata e con particolare riguardo alla posizione di M. L., la banca faceva rilevare che, sul conto corrente, potevano operare anche disgiuntamente i due coniugi, che gli ordini erano stati impartiti dal G. e che la M. non aveva mai contestato gli addebiti operati sui conti in conseguenza dell’acquisto dei titoli, sicché, anche sotto tale profilo, la domanda doveva essere rigettata.
Esperita l'istruttoria orale e disposta c.t.u. affidata al dott. Chizzoni, la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.
Motivi
La domanda è parzialmente fondata e merita accoglimento nei limiti che seguono.
Preliminarmente va respinta l’eccezione di incapacità del teste Marani, dipendente della banca, tempestivamente eccepita ex art. 246 c.p.c. dalla difesa degli attori.
Invero secondo la giurisprudenza di legittimità non comporta incapacità a testimoniare per i dipendenti di una banca la circostanza che questa, evocata in giudizio da un cliente, potrebbe convenirli in garanzia nello stesso giudizio per essere responsabili dell’operazione che ha dato origine alla controversia poiché le due cause si fondono su rapporti diversi e i dipendenti hanno un interesse solo riflesso a una determinata soluzione della causa principale che non li legittima a partecipare al giudizio promosso dal cliente, in quanto l’esito di questo, di per sé, non è idoneo ad arrecare ad essi alcun pregiudizio (in tali termini vedasi Cass. 4-3-1993 n. 2641; Cass. 28-1-1983 n. 771; Cass. 27-1-1979 n. 623): la sua dichiarazione è quindi pienamente utilizzabile salva un’attenta valutazione sotto il profilo dell’attendibilità. Né ha fondamento la deduzione secondo cui l’incapacità deriverebbe dal fatto che, nei confronti del funzionario, sarebbe ipotizzabile un concorso in truffa contrattuale atteso che l’incapacità prevista dall’art. 246 c.p.c. ricorre solo quando la persona chiamata a deporre abbia nella causa un interesse concreto ed attuale che sia tale da coinvolgerla nel rapporto controverso e da legittimare una sua assunzione della qualità di parte nel giudizio e non è pertanto ravvisabile quando tale persona sia portatrice di un interesse di mero fatto ad un determinato esito del giudizio stesso: ne consegue che la dedotta incapacità non sussiste (peraltro non risulta nemmeno che il teste sia stato sottoposto a procedimento penale), atteso che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 85 del 1983, ha ritenuto infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 246 c.p.c nella parte in cui non prevede l’incapacità a deporre nel giudizio civile di chi è imputato di un fatto-reato su circostanze relative o connesse al fatto medesimo (in tal senso vedasi Cass. 3-2-1993 n. 1341).
Ciò premesso va osservato che dalla documentazione dimessa e dagli accertamenti svolti dal consulente è emerso come la B.A.M. non avesse i titoli argentini nel proprio portafoglio ma li abbia acquistati sul mercato contestualmente al ricevimento dell’ordine da parte del cliente.
Va poi aggiunto che non è stato in alcun modo provato che fosse stato il funzionario a consigliare agli istanti l’acquisto dei titoli: la circostanza che i risparmiatori fossero stati invitati a recarsi in banca per valutare le possibilità di investimento non appare di per sé significativa tenuto conto della assai scarsa remunerazione riconosciuta ai fondi lasciati sul conto corrente sicché deve ritenersi che l’invito in questione sia stato rivolto unicamente al fine di rappresentare ai clienti l’opportunità di investire il denaro in impieghi più vantaggiosi.
Da tutto ciò deriva che è infondata la domanda attorea diretta a sostenere l’invalidità degli ordini d’acquisto ex artt. 1418 e 1439 c.c. non essendovi alcuna prova che l’istituto, nel caso di specie, avesse artificiosamente indotto i clienti ad acquistare i titoli obbligazionari in questione con il fine di recare ad essi danno, dovendosi altresì osservare, con riguardo alla prima delle prospettazioni che, per aversi contrarietà a norme imperative ai sensi dell’art. 1418 c.c., occorre che il contratto sia vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato, mentre non rileva il divieto che colpisca soltanto il comportamento materiale delle parti (in tal senso vedasi Cass. 25-9-2003 n. 14234).
Per quanto attiene invece alle altre censure sollevate occorre valutare separatamente i singoli atti di acquisto dei titoli.
Con riguardo all’ordine impartito il giorno 5-9-1999 va in primo luogo escluso che la B.A.M. abbia violato il disposto di cui agli artt. 21 I co. lett. c) d. lgs. 58/98 e 27 reg. Consob per non avere segnalato di avere un interesse in conflitto con quello del cliente. Premesso che la convenuta non aveva tali titoli nel proprio portafoglio e pur avendoli essa acquistati, tramite il circuito telematico Bloomberg, dalla MPS Finance Banca Mobiliare s.p.a. (facente parte, come la B.A.M., del gruppo bancario Monte dei Paschi di Siena atteso che la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. controllava il 100% del pacchetto azionario della MPS Finance), dalla consulenza emerge nondimeno che il prezzo in concreto applicato era il migliore rispetto a quello praticato dagli altri c.d. “contributori” agenti sul mercato sicché nessun danno è derivato agli attori: l’art. 27 reg. Consob deve infatti interpretarsi alla stregua del principio giurisprudenziale affermatosi in sede di applicazione dell’art. 1394 c.c. secondo cui la responsabilità del rappresentante che persegua interessi propri o di terzi incompatibili con quelli del rappresentato sussiste solo ove alla utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante per sé o per il terzo, segua o possa seguire un danno per il rappresentato (cfr. Cass. 17-4-1996 n. 3630; Cass. 16-2-1994 n. 1498; Cass. 19-9-1992 n. 10749; Cass. 25-1-1992 n. 813).
Deve invece ritenersi che la banca non si sia comportata in conformità di quanto prescritto dal combinato disposto di cui agli artt. 21 lett. a) e b) del d. lgs. 24-2-1998 n. 58 e 28 del regolamento Consob 1-7-1998 n. 11522 che impongono all’istituto di credito di prestare i servizi di investimento con diligenza e di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati.
In proposito occorre osservare che, secondo quanto risulta dall’indagine svolta dal c.t.u., ai titoli del debito argentino acquistati il 5-9-2001, nel mese di luglio 2001 l’agenzia Moody’s aveva attribuito come rating la valutazione Caa1 (indicante un titolo ad alto rischio di insolvenza) e che, nell’anno precedente, tali obbligazioni erano state classificate rispettivamente, B1 (20-8-2000), B2 (20-3-2001 e 4-6-2001), B3 (13-7-2001), laddove tali indicatori designano titoli molto speculativi che offrono scarsa sicurezza di puntualità del pagamento nel lungo termine, con una valutazione progressivamente negativa da B1 a B3.
Nella valutazione di Standard & Poor’s invece al titolo in questione era stato attribuito il seguente rating con andamento parimenti sempre più negativo: BB (15-9-2000), B (8-5-2001), B (6-6-2001), B- (12-7-2001), CCC+ (9-10-2001), laddove le prime classificazioni indicano titoli speculativi in cui il debitore mantiene al momento la capacità di onorare i propri impegni ma condizioni avverse di mercato potrebbero incidere negativamente sulla stessa, mentre l’ultima designa un debitore ad alto rischio di insolvenza nel senso che, ove le condizioni di mercato divengano sfavorevoli, molto probabilmente il debitore non sarà in grado di onorare i propri impegni.
In proposito va detto che i titoli obbligazionari argentini al momento dell’acquisto da parte degli istanti erano considerati ad alto rischio di insolvenza dovendosi evidenziare inoltre che, nel corso del 2001, entrambe le agenzie avevano ripetutamente rivisto in senso negativo il loro giudizio sull’affidabilità ad onorare gli impegni da parte dello stato argentino (c.d. down-grading): per quanto riguarda il rating leggermente più favorevole indicato da Standard & Poor’s nel periodo antecedente l’acquisto, va osservato che, poiché rientra nelle massime di comune esperienza il dato secondo cui, di fronte a valutazioni divergenti (peraltro modeste nel caso di specie), gli investitori prendono in considerazione quella più negativa (peraltro già nell’ottobre del 2001 il rating attribuito da tale agenzia si era allineato a quello espresso da Moody’s), deve ritenersi che costituisse dato acquisito per il mercato quello secondo cui i titoli del debito pubblico argentino erano considerati di problematico rimborso.
Al riguardo va osservato che la banca doveva fornire una completa informazione circa i rischi connessi a quella specifica operazione che il cliente intendeva porre in essere (obbligo imposto dall’art. 28 co. II del regolamento Consob n. 11522), informazione che, trattandosi di soggetto tenuto ad agire con la diligenza dell’operatore particolarmente qualificato (cfr. artt. 21 lett. a) d. lgs. 58/98, 26 lett. e) reg. Consob cit. e 1176 II co. c.c.) nell’ambito di un rapporto in cui gli è imposto di tutelare l’interesse dei clienti (v. artt. 5 e 21 lett. a) del d. lgs. 58/98, non senza dimenticare che la tutela del risparmio è addirittura imposta dall’art. 47 della Costituzione), necessariamente comprendeva l’indicazione, non generica, della natura altamente rischiosa dell’investimento operata dalle maggiori agenzie specializzate in materia, dovendosi ritenere, sotto tale profilo, che la banca sia obbligata a conoscere tali dati e, conseguentemente, a riferirli al cliente.
Non vale poi a far ritenere immune da censure il comportamento da parte della B.A.M., la circostanza che il funzionario escusso abbia riferito di avere evidenziato la rischiosità dell’investimento anche in relazione al paese emittente e di avere parlato di rating con il cliente: pur prescindendo da ogni considerazione circa l’attendibilità del teste, va detto che tali avvertenze avevano carattere del tutto generico laddove la banca avrebbe dovuto espressamente informare il cliente del fatto che gli analisti del mercato consideravano a rischio il rimborso stesso del capitale.
Né merita adesione la deduzione difensiva dell’istituto secondo cui il risparmiatore sarebbe comunque stato in grado di valutare la pericolosità dell’operazione alla luce delle indicazioni contenute, in particolare, nell’art. 1.3 del documento previsto dall’art. 28 lett. b) del regolamento Consob n. 11522/98, atteso che tali indicazioni hanno carattere generale laddove, si ribadisce, la banca doveva fornire precise indicazioni circa la pericolosità di quell’investimento.
Va poi aggiunto che l’art. 23 u.c. del d. lgs. 58/98 pone a carico dei soggetti abilitati all’esercizio dei servizi di investimento l’onere di provare di avere agito con la specifica diligenza richiesta e tale onere probatorio, per quanto sopra osservato, non è stato assolto dalla banca.
Appare inoltre fondato il rilievo secondo cui l’istituto avrebbe comunque dovuto segnalare l’inadeguatezza dell’operazione ai sensi dell’art. 29 del regolamento sopra menzionato (c.d. suitability rule) in considerazione della sua dimensione (sia in termini assoluti sia perché si trattava della metà del patrimonio mobiliare dei clienti), della natura altamente rischiosa dei titoli prescelti e della circostanza che i clienti fossero investitori non professionali (funzionario di amministrazione statale il G. e casalinga la moglie).
A tale riguardo va rilevato che la banca ha sostenuto di non aver violato la c.d. suitability rule in considerazione della propensione al rischio manifestata dai clienti anche in relazione alla pregressa operatività posto che in precedenza il G. aveva investito i propri risparmi in una gestione patrimoniale B.A.M. del tipo C3 (ossia la più rischiosa dopo quella puramente azionaria secondo la classificazione interna dell’istituto) e che al funzionario l'attore avrebbe riferito di avere investito i propri risparmi in una Sicav ed in una polizza Index tramite la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza (circostanza questa non negata dal G. e riferita sin dall’atto introduttivo dalla difesa della B.A.M. che pertanto, ex art. 118 c.p.c., può ritenersi provata).
Dal documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari risulta che i clienti avevano indicato quale proprio obiettivo di investimento (in una graduatoria da uno a cinque in cui al numero più basso corrisponde il rischio minimo) il punto 4 (prevalenza della rivalutabilità rapportata al rischio di oscillazione dei corsi) mentre, in ordine alla propensione al rischio, nell’ambito delle opzioni alta, media e bassa, essi avevano indicato quella media.
Orbene alla stregua di siffatte evidenze deve ritenersi non provato che il profilo di rischio dei clienti potesse individuarsi in quello puramente speculativo posto che la gestione patrimoniale in precedenza accesa presso la B.A.M. riguardava comunque una gestione (sia pure la più aggressiva) di tipo bilanciato (caratterizzata quindi anche dalla presenza di titoli obbligazionari emessi dallo stato) e che si trattava comunque di uno strumento finanziario affidato alla gestione di un operatore professionale (analoghe considerazioni valgono anche per quanto concerne l’investimento in una Sicav e nella polizza Index).
Per la prima operazione di acquisto la domanda attorea risulta quindi fondata essendo stati dimostrati la violazione, da parte della banca, delle prescrizioni contenute negli artt. 21 t.u.l.f., 28 e 29 reg. Consob da considerarsi come norme imperative ex art. 1418 c.c. in considerazione degli interessi tutelati (diligenza degli intermediari nonché tutela del risparmio) e della natura generale di siffatti interessi (per l'affermazione di tale principio in termini generali vedasi Cass. 7-3-2001 n. 3272) nonché il danno subito dai clienti concretatosi nella perdita dell’intero investimento posto che, nel dicembre del 2001, è stato sospeso il rimborso delle obbligazioni (c.d. default) e che, ad oltre due anni di distanza da tale fatto, nessuna concreta assicurazione è stata fornita circa un rimborso anche solo parziale dell’investimento.
A diversa conclusione deve invece pervenirsi con riguardo alla seconda delle operazioni di acquisto dei c.d. tango bonds atteso che, in tal caso, la banca aveva segnalato l’inadeguatezza dell’operazione e che, nonostante ciò, il G. aveva confermato per iscritto l’ordine di acquisto.
Al riguardo va osservato che, a fronte della segnalazione dell’inadeguatezza dell’operazione, la normativa non prevede un divieto di dare esecuzione all’operazione ma si limita ad imporre una più rigorosa formalità e cioè la conferma scritta dell’ordine che, nel caso di specie, è stata data. Il funzionario di banca ha chiarito, nel corso dell’escussione, che l’inadeguatezza era stata segnalata all’investitore in relazione al fatto che, con tale seconda operazione, costui avrebbe investito l’intero patrimonio (secondo quanto era a conoscenza della banca alla stregua delle dichiarazioni rese dal G. in occasione dei vari incontri, atteso che lo stesso aveva rifiutato di dare informazioni sulla propria situazione finanziaria ex art. 28 reg. Consob) e che il titolo, già rischioso ed in forte perdita anche in considerazione degli eventi del 11-9-2001, era inoltre denominato in dollari e quindi in valuta suscettibile di oscillazioni.
In proposito va osservato che siffatte dichiarazioni appaiono pienamente attendibili trovando riscontro nella documentazione in atti mentre non può accedersi alla tesi difensiva secondo la quale la norma di cui all’art. 29 reg. Consob sarebbe comunque stata violata non avendo la banca predisposto documentazione scritta delle avvertenze date e figurando sulla conferma d’ordine unicamente la dicitura “operazione non adeguata” atteso che l’art. 29 co. III reg. Consob prescrive agli intermediari l’obbligo di informare l’investitore dell’inadeguatezza dell’operazione e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione, senza peraltro imporre una specifica forma dovendosi notare che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, dall’art. 1350 c.c. si desume sussistere il principio generale della libertà delle forme di manifestazione della volontà negoziale in mancanza di fonti legali o contrattuali che prevedano la forma scritta (cfr. Cass. 17-1-2001 n. 577; Cass. 3-3-1994 n. 2088).
Pur apparendo assorbenti le considerazioni sopra formulate va aggiunto che deve escludersi che tale secondo acquisto sia stato effettuato in violazione del disposto di cui all’art. 27 reg. Consob atteso che la B.A.M. aveva comperato i titoli dalla società (di diritto svizzero) Arcadia Securities in relazione alla quale non è emersa l’esistenza di rapporti rilevanti ai fini dell’applicazione della norma sopra richiamata.
Parimenti infondata risulta la deduzione difensiva attorea (peraltro svolta solamente in comparsa conclusionale) circa la pretesa nullità dell’acquisto in relazione al disposto di cui all’art. 30 del regolamento Consob atteso che il documento contrattuale contiene tutti gli elementi essenziali per lo svolgimento dell’attività di raccolta ordini e negoziazione (durata, modifiche del contratto, modalità di conferimento degli ordini, misura di commissioni e spese sia pure indicata con rinvio ai fogli informativi analitici).
Né, con riguardo all’acquisto dei titoli effettuato il 19-9-2001, può trovare accoglimento la domanda, proposta in via subordinata, diretta ad ottenere la restituzione della metà del capitale investito sul presupposto che la sottoscrizione di M. L. sui vari documenti contrattuali sarebbe stata apposta dal marito: premesso che la banca si è limitata a prendere atto delle affermazioni di controparte senza riconoscere alcunché, occorre infatti rilevare che incombeva sugli attori ex art. 2697 c.c. l’onere, dai medesimi non assolto, di provare il proprio assunto laddove l’acquisto deve ritenersi formalmente regolare posto che il contratto prevedeva un’operatività con firma disgiunta e che l’ordine è stato impartito dal G..
In ordine alla quantificazione del danno va rilevato che, in difetto di puntuali indicazioni da parte degli attori, della nota volatilità dei mercati e del fatto che risulta provato come essi prediligessero scelte di investimento non limitate alla mera redditività, manca del tutto la prova che gli stessi, impiegando il capitale in titoli comunque diversi da quelli a più basso rischio, avrebbero senz’altro ottenuto un guadagno.
Poiché l'obbligazione di restituzione dell'importo versato in conseguenza della dichiarazione di nullità dell'ordine di acquisto costituisce debito di valuta, avendo ad oggetto, sin dal suo sorgere, il pagamento di una somma di denaro e non essendo stato provato che gli attori abbiano subito un danno ex art. 1224 II co. c.c., ad essi va restituito l'importo di euro 258.729,90 cui debbono aggiungersi, ex art. 2033 c.c., gli interessi al tasso legale dal 5-9-2001 sino al saldo definitivo non potendosi ritenere che la B.A.M., in relazione ai comportamenti sopra censurati, fosse in buona fede.
La parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione, nella misura della metà, delle spese di lite liquidate come da dispositivo, riducendosi ad € 750,00 quelle di c.t.p..

P.Q.M.

il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:
dichiara la nullità dell’ordine d’acquisto di 315.000 obbligazioni Argentina 00/07 10% identificate dal codice 11674445 impartito il 5-9-2001;
condanna la B.A.M. s.p.a. a corrispondere agli attori la somma di euro 258.729,90 cui debbono aggiungersi gli interessi al tasso legale dal 5-9-2001 sino al saldo definitivo;
condanna la convenuta a rifondere agli attori le spese di lite compensandole nella misura della metà e, per l’effetto, liquidandole in complessivi euro 11.363,35 di cui € 1.809,00 per spese (comprese quelle di c.t.u.), € 2.054,35 per diritti ed € 7.500,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Mantova, lì 18-3-2004.

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