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09/08/07

Corte Cass., sez. trib., sent. 17527/07


Imposte e tributi - atto e documento amministrativo - TIA (tariffa di igiene ambientale) - atto di richiesta della somma al contribuente - natura e forma pubblicistica

Gli atti con cui il gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto a lui dovuto a titolo di Tariffa di Igiene Ambientale hanno natura di atti amministrativi impositivi e debbono perciò rispondere ai requisiti sostanziali propri di tali atti; in primo luogo debbono - al fine di consentire l'esercizio da parte del destinatario del diritto di difesa - enunciare - anche in forma sintetica, purché chiara - sia la fonte della richiesta sia gli elementi di fatto e di diritto che la giustificano, anche sotto il profilo quantitativo.

(La Corte prende posizione sui requisiti formali dell'atto attraverso cui viene comunicata all'obbligato la richiesta della somma, confermandone la natura pubblicistica a prescindere dalla natura privata o pubblica del soggetto esattore)


Corte di Cassazione
Sezione Tributaria
Sentenza 9 agosto 2007 n. 17526
(Omissis)


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso depositato il 30 luglio 1999, la sig.ra M.G., comproprietaria di un complesso residenziale in Mestre, composto da 35 unità immobiliari in locazione a terzi, impugnò la fattura emessa a suo carico dalla S.p.a. AMAV, relativa al pagamento della tariffa di igiene ambientale (Tia) per la raccolta dei rifiuti nell'anno 1999, deducendo che: l'atto era nullo per difetti di forma; la pretesa era illegittima nei suoi confronti, essendo tenuti al pagamento gli inquilini del condominio - agevolmente individuabili attraverso la registrazione dei contratti di locazione -; l'unità immobiliare interessata non era stata indicata così da consentire la verifica della superficie effettivamente assoggettabile alla Tia.
1.1. La Commissiona tributaria provinciale di Venezia, con sentenza n. 155 del 2000, superata l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla S.p.a. AMAV, accoglieva il ricorso, sotto il profilo che, in difetto di prova del contrario, l'obbligo del pagamento non potesse gravare su un soggetto che non occupava direttamente gli immobili.
1.2. La Commissione tributaria regionale del Veneto, con la sentenza indicata in epigrafe, superata ancora la questione di giurisdizione, accoglieva l'appello della società, avendo ritenuto la proprietaria degli appartamenti soggetta alla tassa in quanto i locali, arredati e locati per brevi periodi, andavano assimilati, quanto all'obbligo fiscale per la raccolta dei rifiuti, all'albergo o alla pensione.
2. Per la cassazione ha proposto ricorso, notificato il 3 giugno 2003, la sig.ra M.G., con tre motivi illustrati da memoria.
2.1. L'intimata, cui era subentrata, a seguito di estinzione per fusione, la S.p.a. Vesta, si è costituita con procura speciale notarile.
2.2. La Sezione tributaria, con ordinanza resa alla udienza dell'8 novembre 2004, ha disposto rinnovarsi la notifica del ricorso, e, questa eseguita, la Vesta S.p.a. si è costituita con rituale controricorso, formulando altresì ricorso incidentale, affidato ad un motivo.
2.3. La ricorrente principale ha resistito con controricorso.
2.4. All'esito della successiva udienza, la stessa Sezione, con ordinanza 13082 del 15 aprile-17 giugno 2005, riuniti i ricorsi, dopo aver respinto l'istanza della contribuente, di revoca della precedente ordinanza, ha rimesso gli atti alle Sezioni unite, in relazione alla questione di giurisdizione, sollevata col ricorso incidentale.
2.5. Le parti hanno depositato memorie ulteriori.
2.6. Con sentenza n. 4895 del giorno 8 marzo 2006 le Sezioni Unite di questa Corte, disattesa la eccezione di inammissibilità del ricorso principale, dichiaravano manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale sollevata contro l'art. 2 , comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, così come integrato dalla legge 248/2005, nella parte in cui riconduce alla giurisdizione tributaria "le controversie relative alla debenza del canone per lo smaltimento dei rifiuti urbani..." in relazione all'art. 102 e della VI disposizione transitoria della Costituzione, che vietano l'istituzione di "nuovi" giudici speciali, in quanto i "canoni" indicati nella disposizione sopravvenuta attengono tutti ad entrate che in precedenza rivestivano indiscussa natura tributaria . Per l'effetto dichiaravano la giurisdizione del giudice tributario e rimettevano la controversia avanti alla quinta sezione della Corte per la decisione degli ulteriori profili.Con memoria 23 febbraio 2007, la sig.ra M.G. depositava la sentenza 5 febbraio 2002 n. 82/27/01 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto.


MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Si deve preliminarmente osservare che la sentenza 82/27/01 del 5 febbraio 2002 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto non può assumere efficacia di giudicato "esterno" nel presente processo, in quanto relativa ad altre annualità di imposta (tra l'altro in cui era applicabile la TARSU e non la TIA), ed a questioni (in primis la validità dell'atto di accertamento) che non si presentano con identici profiliin relazione alle diverse annualità.
4. Occorre, dunque procedere all'esame dei tre motivi dedotti dalla ricorrente principale come di seguito riportati.
4.1. Denunciando l'art. 360 del codice di procedura civile: violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 del codice di procedura civile)", la ricorrente principale censura la sentenza, per non avere esaminato le domande ed eccezioni espressamente riproposte - e non esaminate già in primo grado, perché ritenute assorbite: in particolare, per omessa pronuncia sulla eccezione di carenza dei requisiti di trasparenza e determinatezza dell'atto impositivo.
4.2. Deducendo "art. 360, n. 5), del codice di procedura civile: violazione dell'obbligo di motivazione su un punto decisivo della controversia", la stessa si duole che l'equiparazione al gestore dì alberghi ed affittacamere, ai fini della sottoposizione alla tariffa, sia mancata in concreto di ogni verifica, possibile attraverso il ricorso ai poteri istruttori previsti nell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992.
4.3. Col terzo motivo di ricorso, infine ["art. 360, n. 3), del codice di procedura civile: violazione e falsa applicazione dell'art. 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 in materia di soggetto passivo della tariffa di igiene ambientale (Tia)"], la contribuente, denuncia l'erroneità del criterio analogico, impiegato ai fini dell'equiparazione alle attività di albergatore ed affittacamere, poiché l'art. 49 citato individua l'unico soggetto passivo del tributo nell'utilizzatore dei locali.
5.1. II Collegio ritiene fondato il primo motivo di ricorso.
Le oscillazioni della disciplina legislativa della così detta "Tassa rifiuti" ora denominata "Tariffa" suscita delicati problemi di coordinamento, in quanto le controversie relative ad un'entrata cui è stata attribuita un'apparenza privatistica vengono sottoposte al giudice tributario, che gestisce un processo costituito secondo lo schema dell'impugnazione di atti amministrativi, che contengono (o sono strumentali ad) una pretesa pecuniaria di natura pubblicistica.
Questo carattere del processo tributario emerge ad esempio dall'art. 21 del D. Legs. 546/1992 che impone al contribuente di agire in giudizio entro un termine assai breve che decorre dalla notificazione della pretesa impositiva. La brevità di questo termine si giustifica proprio con l'esigenza di attribuire stabilità al sistema delle entrale pubbliche sottraendole al maggiore margine temporale di incertezza -almeno normalmente- proprio del contenzioso fra privali; per converso qualifica anche l'atto attraverso cui la pretesa si manifesta, attribuendogli caratteri pubblicistici, e sottoponendolo ai relativi conseguenti requisiti.
Assume, in proposito, forse un rilievo minore il primo comma dell'art. 19 del D. Legs. 546/1992 dal momento che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo riconosciuto come l'elencazione contenuta in tale comma non abbia natura tassativa, o quanto meno debba essere interpolala con considerevole ampiezza (tanto da comprendervi appunto gli atti, apparentemente privatistici, con cui viene richiesta la TIA). L'art. 19 concorre dunque a delineare la natura dell'atto impugnato nel processo tributario soprattutto con il suo 2° comma in cui disciplina taluni profili formali cui deve rispondere tale atto (lasciando ovviamente aperta la questione delle conseguenze che si determinano ove tali formalità non siano rispettate). Anche simili prescrizioni costituiscono per altro un tassello delle connotazioni pubblicistiche dell'atto con cui la pretesa impositiva viene portata a conoscenza del privato.
Il giudizio circa una pubblica pretesa costituisce dunque elemento caratterizzante del contenzioso tributario (ordinanza n. 8956 del 16 aprile 2007 delle S.U.). E quando il legislatore colloca un'entrata all'interno del sistema processuale tributario, è da presumere che - in ossequio all'art. 102 della Costituzione - abbia ravvisato il carattere tributario della pretesa stessa (o comunque una stretta connessione ed assimilabilità della pretesa alla materia tributaria).
Mentre non è vero il contrario: non essendo la giurisdizione tributaria una giurisdizione costituzionalmente garantita, il legislatore può devolvere problematiche di carattere tributario (o para tributario) ad altre giurisdizione.
E' quel che è accaduto, almeno secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, con la trasformazione della TARSU in TIA; secondo le SS UU le disposizioni di "privatizzazione" della TARSU hanno infatti trasferito -in un primo momento cioè fino alla emanazione della legge 248/2005- al giudice ordinario il relativo contenzioso.
Questa circostanza non ha però determinato un mutamento nella intrinseca natura del prelievo patrimoniale imposto ai privati; ed è stato quindi possibile il "ritrasferimento" della TIA nelle competenze del giudice tributario.
Infatti l'art. 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (successivamente sostituito dall'art. 238 del D. Legs. 152/2006) ha bensì previsto la soppressione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani interni, originariamente prevista dagli artt 268 e seguenti del R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, poi modificata dall'art. 21 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, e compiutamente riordinata dal Capo III del D.Lgs. n. 507 del 15 novembre 1993. E non sembra che la "tariffa" presenti caratteri sostanziali di diversità, rilevanti ai fini che qui interessano, rispetto alla "tassa".
In primo luogo, si può constatare che fondamento dell'applicazione della tariffa non è alcun intervento o atto volontario del privato.
La tariffa deve cioè "essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale" .
Il citato art. 49 assoggetta dunque alla tariffa tutti i locali "esistenti nelle zone del territorio comunale"; sempre che ovviamente l'attività svolta in tali locali sia idonea a produrre rifiuti "urbani". Vi è quindi addirittura un'accentuazione del carattere pubblicistico dell'entrata: in base all'art. 270 del R.D. n. 1175/1931 (e poi dell'art. 62 del D.Lgs. 507/1993) "la tassa era dovuta [soltanto] da chi occupasse oppure conducesse locali a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui i servizi erano istituiti a norma delle disposizioni di legge vigenti in materia", tanto da rendere necessaria una specifica disciplina per sottoporre a qualche contribuzione le case coloniche ed isolate.
Presupposto del debito, non è dunque (solo) il conferimento dei rifiuti al servizio pubblico, sia pure monopolistico bensì, in primo luogo e soprattutto, "l'occupare o condurre immobili". Il conferimento dei rifiuti (e la loro quantità) concorre solo, nel sistema a determinare la partecipazione alla "quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio" (mentre il D. legs. 152/2006 impone addirittura di determinare la "tariffa" tenendo "anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali").
In realtà, anche il riferimento ai "rifiuti conferiti" si rivela -almeno quando si discorra di utenze familiari- piuttosto labile: il D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 ("Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani") ha infatti consentito alle Amministrazioni comunali di applicare "un sistema presuntivo, prendendo a riferimento la produzione media comunale procapite, desumibile da tabelle che saranno predisposte annualmente sulla base dei dati elaborati dalla Sezione nazionale del Catasto dei rifiuti".
Mentre per altro verso la tariffa copre anche spese che non derivano dallo smaltimento dei rifiuti prodotti dai contribuenti ma che riguardano la collettività nel suo insieme. Così in base alla legge del 1997 la tariffa copre i costi per i servizi relativi ai rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico (l'art. 238 del D. Legs. 152/2006 prevede che "nella determinazione della tariffa è prevista la copertura anche di costi accessori relativi alla gestione dei rifiuti urbani quali, ad esempio, le spese di spazzamento delle strade").
Da quanto esposto emerge, ad avviso del Collegio, come l'entrata in questione abbia natura sicuramente pubblicistica, non costituendo, in senso tecnico, il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta; e rappresentando invece una forma di finanziamento di servizio pubblico attraverso la imposizione dei relativi costi sull'area sociale che da tali costi ricava, nel suo insieme, un beneficio. Ma senza che vi sia sul piano individuale una corrispondenza costi-benefici (evidente è il parallelo con i contributi consortili).
Da simile premessa discende che l'atto attraverso cui viene comunicata al singolo la richiesta della somma che su di lui grava ha natura intrinseca di atto amministrativo; e deve rispondere ai requisiti di validità che discendono da simile qualificazione giuridica.
Né è di ostacolo a questa conclusione la natura eventualmente privatistica del soggetto che gestisce l'entrata fiscale (o para-fiscale che sia). Questa Corte ha infatti più volte affermato che le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubbliche non fanno venir meno i cardini della struttura pubblicistica dei servizi (e delle entrate) stesse; naturalmente ove tale natura pubblicistica discenda dai caratteri delle entrate e non ove esse assumano -a differenza da quanto qui accade- i caratteri propri di un prezzo. Dunque permane l'onere per il soggetto che richieda al privato di concorrere alle entrate necessarie per il funzionamento del servizio, di formulare le sue richieste attraverso atti che rispondano ai requisiti propri dell'atto amministrativo, ed in primo luogo consentano al destinatario di conoscere la natura di quanto richiesto ed il titolo che giustifica la misura della richiesta stessa.
5.2. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata con rinvio al competente giudice di merito che si atterrà al seguente principio di diritto:
"gli atti con cui il gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di Tariffa di Igiene Ambientale hanno natura di atti amministrativi impositivi e debbono perciò rispondere ai requisiti sostanziali propri di tali atti; in primo luogo debbono -al fine di consentire l'esercizio da parte del destinatario del diritto alla difesa- enunciare -anche in forma sintetica, purché chiara- sia la fonte della richiesta sia gli elementi di fatto e di diritto che la giustificano, anche sotto il profilo quantitativo".
5.3. I residui motivi di ricorso risultano così assorbiti.


P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia avanti ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, che deciderà anche per le spese del presente grado del procedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezione Tributaria il giorno 9 marzo 2007
Depositata in cancelleria il 9 agosto 2007

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