ARCO IUS

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30/11/07

Corte Costituzionale , sentenza 30.11.2007 n° 403

Autorità garante delle comunicazioni – controversie tra utenti e società erogatrici del servizio – tentativo di conciliazione – esigenze cautelari – prevalenza – sussistenza [art. 1, L. 249/1997;

In caso di controversie fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze in materia di comunicazione, la disposizione normativa che prevede il previo esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione, deve essere interpretata nel senso che il mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti cautelari.

21/11/07

GIUDICE DI PACE BOLOGNA, SENT. 21.11.07

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL GIUDICE DI PACE DI BOLOGNA AVV. FRANCO A. COSENZA
Della IV sezione civile ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al N. 8301/07 Ruolo Generale promossa DA: T. S.Con gli Avv.ti G. Genna e G. Falzone con studio in Bologna Via... Attore Contro BT ITALIA SPA – CONTUMACE – CONVENUTA CONCLUSIONI PER LA PARTE ATTRICE: “Voglia il Giudice di Pace accertare e dichiarare il diritto dell’attore al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, extracontrattuali, esistenziali e/o morali, cagionati da BT Italia Spa (già Albacom Spa), e conseguentemente condannare BT Italia Spa, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore dell’attore della somma complessiva di Euro 1.900.00, di cui 150,00 per spese riallaccio della linea telefonica con Telecom, Euro 250.00 per spese legali stragiudiziali, Euro 180,00 per mancato utilizzo del sistema di allarme, o della maggiore o minore somma che il Giudice dovesse ritenere di quantificare anche in via equitativa, con interessi legali dal dovuto al saldo, comunque nei limiti di valore e competenza di cui all’art. 7 c.p.c.; in ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari, oltre spese legali generali, IVA e CPA, come per legge”. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, T. S. conveniva in giudizio BT Italia Spa, in persona del suo legale rappresentante, per sentirla condannare al risarcimento di tutti i danni subiti, patrimoniali e non patrimoniali, extracontrattuali, esistenziali e/o morali, quantificati nella complessiva somma di € 1.900.00, o quella maggiore o minore che il Giudice riconoscerà dovuti, anche in via quantitativa, con interessi legali dal dovuto al saldo, e comunque entro i limiti della competenza per valore del giudice adito.Sosteneva l’attore T. S.: che in data 24/07/2006 egli subiva la disattivazione della linea telefonica - fax n. 051/377970, dotata di connessione Adsl ad Internet e di collegamento all’allarme della sua azienda sita in A. Emilia: che successivamente l’attore veniva a sapere che il suo numero telefonico era stato ceduto ad Albacom Spa e, successivamente, con l’avallo della Telecom, allo Studio tecnico Progettisti; che infruttuosi si sono poi rivelati i numerosi solleciti, telefonate e scritti, e persino su richiesta di Conciliazione al Corecom dell’Emilia Romagna, per ottenere la riattivazione della sua utenza telefonica: che solo dopo oltre due mesi, l’attore si vedeva riattivare la linea telefonica; che per il riallaccio della linea telefonica il Sig. T. doveva anticipare le spese necessarie per il rientro in Telecom, quantificare in € 150.00, spese legali per l’mporto di € 200.00 ed 180.00 per mancato utilizzo del sistema di allarme; che nel frattempo, per circa due mesi il Sig. T. non ha potuto ricevere ne fare telefonate dal telefono fisso, utilizzare internet, ed essere informato in caso di attivazione del sistema di allarme della sua azienda, con conseguenti disagi e stress emotivi.Non si costituiva in giudizio Bt Italia Spa, sebbene regolarmente citata in giudizio, di cui veniva dichiarata la contumacia. Ammessa prova per interrogatorio del legale rappresentante della convenuta, questi non si presentava davanti al Giudice di Pace per l’interrogatorio deferitogli, né la società BT italia spa ottemperava all’ordine del Giudice di esibire la documentazione richiesta. Veniva quindi ammessa prova per testi e sentiti i Sigg. ri Arch. M. D. e la Sig.ra W. M. L. sulle circostanze di cui all’atto di citazione. Nella stessa udienza del 03/10/2007 la difesa dell’attore precisava le conclusioni e discuteva la causa. MOTIVI DELLA DECISIONE Parte attrice ha dimostrato, con la copiosa documentazione prodotta in giudizio e con le dichiarazioni testimoniali rese dai test escussi, di aver subito danni patrimoniali, morali ed esistenziali a causa dell’ingiusto e vessatorio comportamento tenuto della società convenuta che ha costretto l’attore T. S. a ingiustificati ed inutili stress emotivi e frustrazione, senza parlare dei gravissimi disagi subiti per non aver potuto per circa due mesi ricevere e fare telefonate dal telefono fisso, utilizzare internet per usi personali e professionali, inviare mail e file e servirsi del sistema di allarme della sua azienda collegata al telefono.Oltretutto parte convenuta non si è costituita in giudizio, né il suo legale rappresentante si è presentato a rendere l’interrogatorio deferitogli, dando al Giudice la facoltà, ai sensi dell’art. 232 c.p.a., di ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio.Per quanto riguarda il danno patrimoniale, questo puo’ essere quantificato in complessivi € 580.00, e precisamente: € 150.00 per il riallaccio dell’utenza telefonica con telecom, € 250.00 per assistenza legale in fase stragiudiziale ed € 180.00 per il rimborso delle spese del sistema di allarme di cui non ha potuto usufruire. Al danno patrimoniale si deve aggiungere il danno morale ed esistenziale patito che questo giudice quantifica in via equitativa in € 1.320.00. E così per totali € 1.900.00, con interessi legali della domanda giudiziale al saldo effettivo.Le spese di causa seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Giudice di pace, definitivamente pronunciando, così decide: a) accoglie la domanda di parte attrice; b) condanna conseguentemente la convenuta BT Itali Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore dell’attore T. Sergio della complessiva somma di € 1.900.00, oltre interessi di legge della domanda giudiziale al saldo effettivo; c) condanna inoltre la convenuta BT Italia Spa a rifondere all’attore le spese di causa sostenute che si liquidano in complessivi € 1.094.66, di cui € 98.66 per spese, € 431.00 per competenze ed € 565.00 per onorari, oltre spese generali, IVA CPA come per legge.
Così deciso in Bologna il 21/11/2007.

17/11/07

Trib. Nola Sent., 17/11/2007

La legittimazione processuale degli enti esponenziali a tutela de consumatori a costituirsi parte civile va ritenuta laddove trattasi di organismi che, essendo sorti con la finalità primaria di tutela della situazione soggettiva coinvolta anche dalla vicenda penale, possono dirsi lesi nel loro diritto di personalità, nel senso che hanno subito un danno promanante in via immediata e diretta dal reato oggetto del processo all'interesse di cui sono portatori che costituisce il loro patrimonio imprescindibile.

09/11/07

App. Napoli Sez. III, 09/11/2007

L'art. 2 della legge n. 287/1990 vieta, sanzionandone la nullità ad ogni effetto, le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante. La normativa non mira a disciplinare soltanto il rapporto tra le imprese, assicurando il rispetto del libero esercizio della concorrenza e del corretto svolgimento delle regole del mercato, ma è volta altresì a tutelare i singoli consumatori, come risulta con ogni evidenza dalla lettera d) del comma 2 dell'art. citato in cui il legislatore chiarisce che sono vietate le intese di cui sopra ancheove si risolvano in attività consistenti nell'applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza. La premessa torna utile nella misura in cui evidenzia da una parte la plurioffensività del comportamento vietato e dall'altra l'interesse, non soltanto materiale, ma anche giuridico dei consumatori ovvero dei soggetti non imprenditori a far valere la violazione delle norme per la tutela della concorrenza e del mercato, al fine di sottrarsi agli effetti pregiudizievoli derivanti dall'attività illecita su loro ricadenti, previa eliminazione del maggior prezzo pagato.

08/11/07

Cass. pen. Sez. III Sent., 08/11/2007, n. 46656

In tema di immissione sul mercato di prodotti pericolosi, è configurabile il reato previsto dall'art. 112, comma primo, D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cosiddetto codice del consumo), in caso di inosservanza del provvedimento amministrativo di interdizione in commercio di determinati prodotti, purchè siano "effettivamente" pericolosi; diversamente, ove difetti tale provvedimento interdittivo, è configurabile il reato previsto dall'art. 112, comma secondo (che punisce il produttore che immette sul mercato prodotti pericolosi) in presenza di una "verosimile" pericolosità del prodotto, purchè intrinseca e desumibile da concreti elementi di fatto. (Annulla con rinvio, Trib. lib. Bolzano, 18 Giugno 2007)

Cassazione civ. Sez. III, 08/11/2007, n. 23304

Distacco ingiustificato della linea telefonica e risarcimento del danno (Cassazione 23304-2007)

Se la banca, per un disguido, non dà comunicazione al gestore telefonico dell'avvenuto pagamento di una bolletta, è questi, e non l'utente, che deve attivarsi per verificare se il pagamento sia in effettui avvenuto. E' contrario a buona fede il comportamento del gestore che, non avendo ricevuto notizia dalla banca del pagamento, effettui immediatamente il distacco della linea telefonica senza verificare se il pagamento sia stato eseguito.

Il principio dell'insindacabilità della liquidazione equitativa del danno in sede di giudizio di legittimità non trova applicazione quando nella sentenza di merito non sia stato dato conto del criterio utilizzato, la relativa valutazione risulti incongrua rispetto al caso concreto e la determinazione del danno sia palesemente sproporzionata per difetto o per eccesso (Cassa con rinvio, App. Roma, 25 Novembre 2003).

Cass. civ. Sez. III Sent., 08-11-2007, n. 23304

(omissis)

Svolgimento del processo

Con sentenza 12-25 novembre 2003 la Corte d'Appello di Roma, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Rieti del 14 luglio - 5 settembre 2000, condannava la TELECOM spa a pagare all'appellante C.L. la somma di Euro 309.870,41 per i danni causati dal mancato funzionamento della linea telefonica (dopo aver riconosciuto che la morosità denunciata dalla società con riferimento al primo bimestre 1995 doveva considerarsi in realtà inesistente).
Avverso tale decisione ha proposto ricorso la TELECOM con due motivi di ricorso.Resiste C. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, cui resiste TELECOM con controricorso.

Motivi della decisione

Devono innanzi tutto essere riuniti i due ricorsi, proposti contro la medesima decisione.Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia violazione di legge in relazione all'art. 1375 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contradditoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.I Giudici di appello avevano rigettato l'appello incidentale proposto da TELECOM precisando che la società avrebbe dovuto svolgere ulteriori accertamenti in ordine al mancato pagamento della utenza telefonica, essendosi verificato un inconveniente inusuale (consistente nella mancata comunicazione del pagamento del C. da parte della Banca). In tal modo la società non si era comportata secondo i principi di correttezza e buona fede.TELECOM, osserva in contrario la ricorrente principale, è una struttura complessa. Sarebbe stato onere dell'utente, una volta ricevuto l'avviso che non risultava pervenuto il pagamento della bolletta precedente, accertare la veridicità di tale circostanza, ponendo quindi anche la TELECOM in condizioni di poter assumere informazioni presso la banca.Il motivo è privo di fondamento.Una volta eseguito il pagamento, non si vede quale ulteriore attività avrebbe potuto o dovuto svolgere il C..Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e con-traddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.Non era mai stato dimostrato che le trattative intraprese dal C. con il commerciante coreano, K.S. avrebbero portato alla stipulazione di un contratto di società tra i due, nè che lo stesso avrebbe avuto comunque durata non inferiore a tre anni, nè infine che al C. sarebbe stata garantito il guadagno netto annuo minimo di duecento milioni.Le censure sono fondate.La liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c., richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale (Cass. n. 15676 del 2005).Secondo Cass. n. 1443 del 2003, "La liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c., richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza, prova in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale.Occorre pertanto che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chances, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece - anche semplicemente in considerazione dell'"id quod plerumque accidit" - connesso all'illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità.Nulla di tutto ciò è possibile rinvenire nella sentenza della Corte d'appello romana, che non svolge alcuna considerazione sul punto della elevata probabilità di perdita di sicuro guadagno da parte del C..Sotto altro, subordinato, profilo, va ricordato che la valutazione equitativa del danno non equivale, come invece sembra ritenere la Corte territoriale, a mero arbitrio.Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale l'esercizio in concreto del potere discrezionale conferito al Giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità. (Cass. 8807 del 2001, 409 del 2000).Tale principio, tuttavia, può trovare applicazione solo nei casi in cui il Giudice dia conto del criterio equitativo utilizzato, la valutazione sia congruente al caso, la concreta determinazione dell'ammontare del danno non sia palesemente sproporzionata per difetto od eccesso (Cass. 13066 del 2004).Nel caso di specie la Corte territoriale non ha spiegato le ragioni per le quali, a fronte di una liquidazione del danno operata dal primo giudice in L. 20.000.000 ha ritenuto di riconoscere un risarcimento pari a trenta volte la somma originariamente liquidata, sulla base di una testimonianza "de relato" che riferisce di favolosi (possibili) guadagni perduti dal C. solo a causa del momentaneo distacco della linea telefonica.Nel caso di specie, è rimasta assolutamente sfornita di prova la affermazione secondo la quale i due commercianti avrebbero raggiunto un accordo circa la costituzione di una società (manca qualsiasi documento scritto e qualsiasi particolare sulle modalità con le quali una attività del genere, che tra l'altro necessita di particolari autorizzazioni e permessi da parte delle Autorità di Pubblica sicurezza, avrebbe dovuto essere svolta dal C. insieme con il socio coreano).Sul punto manca ogni spiegazione in proposito nella sentenza impugnata.Nella motivazione non vi è alcun accenno nè una (congrua) spiegazione delle ragioni per le quali dalla futura attività di commercio di preziosi (non meglio descritta o qualificata) sarebbe comunque derivato un guadagno netto annuo per il C. di L. 200 milioni.Il tutto, secondo la sentenza di appello, dovrebbe trovare la sua indiretta conferma nelle dichiarazioni di un teste che, all'aeroporto di (OMISSIS), incontrando "casualmente" l'aspirante socio del C., K.S., avrebbe ricevuto da quest'ultimo l'ammissione che egli non aveva voluto stringere un accordo associativo con il C. per la - unica - ragione che egli non si era dimostrato affidabile, mancando persino del danaro necessario per attivare una linea telefonica.Sarebbe stato lo stesso K.S., ha riferito il teste, ad assicurare il C. che dalla nuova attività sarebbe derivato un guadagno netto, per il solo C., di oltre L. 200 milioni annui.Di più. Nella sentenza non sono riportate le ragioni per le quali il giudice di appello ha indicato in tre anni la durata di un contratto di società, avente ad oggetto preziosi.Sul punto, con motivazione apodittica, la Corte territoriale si è limitata a invocare, inammissibilmente, il fatto notorio sotto forma dell' "id quod plerumque accidit".Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4862 del 2005):“Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati nè controllati, va inteso in senso assolutamente rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile.Di conseguenza, non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, nè quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del Giudice, poichè questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione d'analoghe controversie (Conf. Cass. n. 3160 del 1986 e 3829 del 1982).Avendo completamente ignorato le indicazioni che emergono dalle decisioni richiamate, la sentenza merita pertanto di essere cassata, in relazione alle censure accolte con il secondo motivo del ricorso principale.Il ricorso incidentale deve invece essere rigettato.Con l'unico motivo il ricorrente incidentale denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 2043 c.c.) in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.In particolare, il C. censura l'entità della liquidazione del danno patrimoniale operata dai giudici di appello, con riferimento alla durata presumibile di tre anni della società che il C. avrebbe dovuto costituire con il K..Il motivo di ricorso non merita accoglimento, per le ragioni già indicate in precedenza.Secondo quanto già osservato, il giudice di rinvio dovrà stabilire, innanzi tutto se un danno patrimoniale sia stato effettivamente causato dal distacco della linea telefonica alla attività commerciale del C..Solo una volta accertata l'esistenza di tale danno, lo stesso giudice potrà procedere, eventualmente anche con liquidazione equitativa, alla determinazione dello stesso attenendosi ai rigorosi criteri già specificati.Il Giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo motivo del ricorso principale. Rigetta il ricorso incidentale.Cassa, in relazione alle censure accolte, rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2007

05/11/07

Trib. Monza Sez. II, 05/11/2007

La disposizione dettata dall'art. 1469 bis, terzo comma, n. 19, c.c., si interpreta nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, presumendo vessatoria la clausola che preveda una diversa località come sede del foro competente, ancorché coincidente con uno di quelli individuabili sulla base del funzionamento dei vari criteri di collegamento stabiliti dal codice di procedura civile per le controversie nascenti da contratto. Su tale presupposto il Tribunale di Monza ha respinto l’eccezione preliminare di incompetenza per territorio proposta dal convenuto.

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