ARCO IUS

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18/12/08

Corte Cass., sent. 29709/2008

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 18 dicembre 2008, n. 29709
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con atto notificato il 14. 7. 2006, il Comune di Scarperia ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza del giudice di pace di Borgo San Lorenzo del 3.2.2006, che aveva annullato i verbali della polizia municipale di Scarperia del 21.7.2005 e dell'8.8.2005 che avevano contestato a N.G. la violazione dell'art. 157 C.d.S., commi 5 e 8, ritenendo il fatto non sanzionabile per insufficienza di prove sull'elemento psicologico.

L'intimato N.G. si è costituito con controricorso.

Attivata procedura ex art. 375 c.p.c., gli atti sono stati trasmessi al Procuratore Generale, che ha concluso per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio e per il suo accoglimento per manifesta fondatezza.
Con l'unico motivo il ricorso denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia e violazione dell'art. 194 C.d.S., e L. n. 689 del 1981, art. 3, censurando la sentenza impugnata per avere annullato i verbali opposti ritenendo che, stante la presenza nel luogo della infrazione di altri mezzi parcheggiati in modo irregolare non contravvenzionati, il ricorrente fosse caduto in buona fede in errore in ordine alla non illegittimità della sua condotta in ragione della tolleranza tacita dell'Autorità.

Il motivo è manifestamente fondato.

L'argomentazione del giudice di pace, che ha dedotto dal fatto che altri veicoli parcheggiati in modo irregolare non fossero stati contravvenzionati una sorta di tolleranza tacita dell'Autorità alla commissione dell'illecito amministrativo, tale da influire sulla sussistenza della colpa, non può essere in alcun modo condivisa, tanto con riferimento al procedimento logico deduttivo, atteso che la conclusione viene tratta da circostanza la non contestazione della violazione ai proprietari degli altri veicoli - di per sè non univoca, che può ben dipendere da altre cause, sia in punto di diritto, tenuto conto che l'errore sulla illiceità dei fatto, per essere incolpevole e quindi causa di giustificazione della violazione, deve trovare causa in un fatto scusabile, situazione questa che se può rinvenirsi in presenza di atti o circostanze positive tali da ingenerare una certa convinzione sul significato della norma, certo non può ravvisarsi, allorchè si sia comunque consapevoli della sua illegittimità, in una presunta tacita tendenza dell'Autorità a non punire quella determinata condotta, dal momento che tale consapevolezza di per sè esclude l'errore, mentre la asserita tolleranza dell'Autorità costituisce fenomeno, sotto tale profilo, del tutto irrilevante.
La sentenza va pertanto cassata, con rinvio della causa al giudice di pace di Firenze, che provvederà anche sulle spese.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al giudice di pace di Firenze, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 2008.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2008.

11/12/08

Tribunale Nola sentenza del 11/12/2008


Incidente per ostacolo sulla carreggiata autostradale - domanda di risarcimento - applicabilità art. 2051 c.c. - digressione in materia - danno da fermo tecnico – danno da ritardo

>> … ed è indiscutibile che la presenza di un animale sull’autostrada, incidendo in termini significativamente negativi sulla sua utilizzabilità, faceva assumere alla cosa una condizione assolutamente pericolosa e potenzialmente lesiva per i fruitori della stessa, in quanto, mediante essa, era ostacolata in modo imprevedibile la carreggiata e si produceva un turbamento emotivo incontrollabile in ciascun conducente che si vedeva improvvisamente d’avanti l’animale …
.
>>… il cd. "danno da fermo tecnico" del veicolo incidentato non può considerarsi sussistente "in re ipsa", quale conseguenza automatica dell'incidente, ma necessita, per converso, di esplicita prova, che attiene tanto al profilo della inutilizzabilità del mezzo meccanico in relazione ai giorni in cui esso è stato sottratto alla disponibilità del proprietario, tanto a quello della necessità del proprietario stesso di servirsene, così che, dalla impossibilità della sua utilizzazione, ne sia derivato un danno …


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NOLA

Il Tribunale di Nola, II sezione civile, in composizione monocratica nella persona del signor dott. Alfonso Scermino, all’udienza dell’11.12.2008, fatte precisare le conclusioni, ha ordinato la discussione orale della causa nella stessa udienza, a norma dell’art. 281 sexies c.p.c., ed ha pronunciato al termine della discussione la seguente

SENTENZA

nella causa n. 6173/2007 R.G., vertente tra
Meviox Mx, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine dell’atto di citazione, …

CONTRO

Autostrade per l’Italia s.p.a., in persona del procuratore speciale Fxx , rappresentato e difeso …,
dando lettura del dispositivo e dalla concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione nei termini che seguono
.
Con atto di citazione ritualmente notificato Meviox Mx esponeva: che esso era proprietario della Lancia Lybra SW tg. …; che il giorno 21.11.2006 alle ore 9.45 circa, sul tratto autostradale A/30 25 + 750, all’altezza del Comune di Palma Campania, l’istante era alla guida della propria autovettura quando all’improvviso veniva in collisione con un cane che sbucava dalla campagna adiacente il tratto autostradale e che impattava l’auto che non riusciva ad evitarlo in alcun modo; che a causa del sinistro l’autovettura riportava svariati danni altrimenti; che questi andavano ristorati ex art. 2051 c.c. , unitamente al mancato guadagno subito nel periodo in cui l’auto era dovuta rimanere ferma in officina per le riparazione effettuate nonché alle spese di rimozione della macchina incidentata ed al fermo tecnico.
Tanto premesso, conveniva in giudizio la società Autostrade per l’Italia s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento richiesto.
Si costituiva in giudizio la Autostrade per l’Italia s.p.a., che contestava la domanda e ne richiedeva il rigetto.
Senza che fosse necessaria alcuna attività istruttoria, la causa era chiamata per le conclusioni all’udienza dell’11.12.2008, ove era data lettura della pronuncia dopo discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c..
Il tema della controversia postula, preliminarmente, la necessità di inquadrare correttamente la fattispecie di responsabilità extracontrattuale dedotta in giudizio, al fine di distribuire correttamente gli oneri probatori tra le parti e dedurne, correttamente, le relative conseguenze.
Peraltro, va subito dato atto di come il titolo ed i limiti della responsabilità del gestore del servizio autostradale, nei casi di sinistri verificatisi sulle relative tratte, abbia costituito uno di quei temi che ha conosciuto nel tempo , all’esito di variegati dibattiti e confronti dottrinari, diverse ricostruzioni ermeneutiche, dando così la stura a pronunce della Suprema Corte contrastanti e, come spesso accade, a radicali incertezze degli operatori in ordine alla sua precisa configurazione.
Infatti, è noto come la giurisprudenza prevalente abbia per anni considerato di natura aquiliana la responsabilità del proprietario o dell’ente gestore dell’autostrada nei casi di sinistri verificatisi sulle relative tratte: e ciò sul presupposto che il pagamento del pedaggio non avrebbe dovuto costituire un corrispettivo capace di determinare la nascita di un rapporto contrattuale, integrando di contro solo una prestazione pecuniaria dovuta per poter fruire di un pubblico servizio .
Peraltro, anche parte della dottrina riteneva che il pedaggio dell’autostrada dovesse essere assimilato ad una tassa, corrisposta a compenso delle spese sostenute dal gestore dell’autostrada per il servizio pubblico offerto, e non fosse la controprestazione di un contratto sinallagmatico tra gestore ed utente .
Di conseguenza, con l’acquisto del biglietto di transito, l’utente avrebbe maturato il diritto di fruire dell’autostrada nella condizione in cui essa si trova, ma a carico del gestore non sorgeva alcun impegno contrattuale di garantire la sicurezza del viaggio (cfr, Cass. Civ. Sez. U, Sentenza n. 10893 del 07/08/2001; Cass. 4 dicembre 1998, n. 12314 in Giur. it., 1999, 1362; Cass. 9 febbraio 1981, n. 800, in Resp. civ. e prev., 1981, 737; Cass. 14 maggio 1979, n. 2781, in Foro it., 1980, I, 783; Cass. 16 febbraio 1978, n. 751, in Foro it. Mass., 1978, 175; Cass. 23 gennaio 1975, n. 260, ivi, 1975, 79; e in giurisprudenza di merito cfr. Trib. Roma 14 novembre 1981, in Riv. circolaz e trasp., 1982, 349; App. Milano 19 febbraio 1971, in Giur. it, 1972, I, 2, 685).
Sennonchè, la questione appena delineata veniva recentemente rivista dalla Suprema Corte (Cass. 13 gennaio 2003, n. 298).
Era infatti riaffermato (in conformità a quanto già a suo tempo statuito dalle sezioni unite penali, 9 luglio 1997, G.) che il pedaggio autostradale non costituiva una tassa, ma un normale corrispettivo; dunque, il rapporto che con il relativo pagamento si instaurava assumeva una natura contrattuale e la responsabilità della p.a. o della società concessionaria nei confronti dell’automobilista ben poteva assumere l’aspetto di una responsabilità negoziale , con conseguente applicazione del disposto dell’art. 1218 c.c.
Tanto acclarato in tema di incertezze ricostruttive, va comunque rilevato come la risoluzione della presente lite possa prescindere da una precisa presa di posizione del Tribunale con riferimento alla questione appena menzionata (sussistenza o meno di responsabilità contrattuale del gestore).
Invero, parte attrice agiva nel presente procedimento esclusivamente in via extracontrattuale (citazione), in tal modo superando in radice essa stessa la questione della individuazione in capo al gestore di una responsabilità negoziale nei confronti dell’utente.
D’altro canto, il potere del giudice civile di qualificare liberamente in diritto la domanda
(e dunque in ipotesi il potere di ravvisare una responsabilità contrattuale in luogo di quella extracontrattuale) postula pur sempre che la parte abbia allegato i fatti costitutivi dell’ipotesi normativa che il giudice reputa adeguata alla fattispecie; mentre si verifica «la violazione del principio fondamentale di corrispondenza tra chiesto e pronunziato non soltanto nei casi in cui il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni delle parti, ma anche quando, esorbitando dai limiti della mera qualificazione della domanda, il medesimo proceda ad un mutamento della stessa, sostituendo la «causa petendi» dedotta in giudizio, con una differente basata su fatti diversi da quelli allegati dalle parti» (ex multis, Cass.sez. III, 7 ottobre 1998, n. 9911); e, nel caso di specie, l’attore non deduceva in alcun modo, a fondamento della sua pretesa, il «fatto» del contratto, vale a dire il pagamento del pedaggio autostradale per la tratta percorsa dalla sua vettura.
Dunque, esclusa la possibilità di esaminare la fattispecie alla stregua dei principi propri della responsabilità contrattuale, occorre rimarcare che Meviox impostava tutta la sua azione risarcitoria sull’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 2051 c.c.: in sostanza, egli azionava nei confronti della società Autostrade per l’Italia s.p.a. esclusivamente una responsabilità da cose in custodia .
Il che imponeva anzitutto di valutare se il fatto dedotto potesse essere ricondotto alla figura evocata, dovendosi praticamente stabilite se, a fronte della collisione di un’autovettura con un cane presente sulla autostrada, potesse trovare applicazione la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. – così come prospettato sin da principio da parte attrice – ovvero il regime di responsabilità ordinario di cui all’art. 2043 c.c., con tutte le conseguenze in tema di riparto ell’onere della prova che ne deriverebbero.
Ed ancora una volta deve darsi atto di come , sulla questione, si siano registraste negli ultimi anni forti oscillazioni della Suprema Corte.
Infatti, per molto tempo la giurisprudenza assolutamente maggioritaria è stata concorde nell’escludere l’applicabilità alla pubblica amministrazione della responsabilità per cose in custodia - prevista dall’art. 2051 c.c. - in tutte le ipotesi in cui il bene, fonte di danno, fosse di notevole estensione ed oggetto di uso generale e diretto da parte della collettività.
In sostanza, l’estensione considerevole del bene produttivo di danno e l’uso diretto da parte dei terzi non avrebbe consentito all’amministrazione di effettuare un adeguato controllo e di adempiere ai doveri di vigilanza, posti a carico del custode.
Sicchè, applicando tali principi a tutte le ipotesi di danni subiti dall’utente della strada, anche con riferimento alle autostrade si era soliti escludere la responsabilità della pubblica amministrazione per cose in custodia .
Inoltre, nell’ipotesi di danni cagionati da animali vaganti sulle stesse, i giudici di legittimità motivavano l’inapplicabilità dell’art. 2051 c.c. affermando anche che la presunzione di responsabilità, posta da tale norma, richiedeva che il danno fosse causato dalla cosa stessa o perché idonea per sua natura a produrla, o perché in essa erano sorti agenti dannosi : mentre nell’evenienza esaminata il pregiudizio non sarebbe derivato direttamente dalla cosa ( tra la moltissime, Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 6807 del 13/05/2002; Cass. 16 giugno 1998, n. 5990,; Cass. 4 aprile 1985, n. 2319, in Rep. Foro it., 1985, voce Responsabilità civile, n. 143; Cass. 30 ottobre 1984, n. 5567, id., 1984, voce cit., n. 111; Cass. 7 gennaio 1982, n. 58, id., 1983,voce cit., n. 119; Cass. 20 marzo 1982, n. 1817, in Rep. Foro it., 1982, voce cit., n. 114; Trib. Torino 17 giugno 1995, in Resp. civ. prev., 1996, 1014; Cfr. Cass. 4 dicembre 1998, n. 12314, cit.; Cass. 9 novembre 1978, n. 5133, in Mass. Foro. it., 1978, 1231; Cass. 15 ottobre 1977, n. 4417, in Giur. it., 1978, I, 1, 13).
Tuttavia, la giurisprudenza più recente (Cass., 13 gennaio 2003, n. 298, cit., nonché Cass., 15 gennaio 2003, n. 488) mutava avviso.
La Suprema Corte, infatti, ripercorrendo l’orientamento tradizionale volto ad escludere l’applicabilità dell’art.2051 c.c. alle strade pubbliche, evidenziava che la ratio di siffatta esclusione era fondata sulla impossibilità di evitare l’insorgenza di situazioni di pericolo in un bene in quanto particolarmente esteso e soggetto all’uso diretto da parte di un numero rilevantissimo di utenti.
Si osservava, però, che la possibilità o impossibilità di un continuo ed efficace controllo e di una costante vigilanza — dalle quali rispettivamente dipendevano l’applicabilità o la non applicabilità dell’art. 2051 c.c. — non si atteggiavano univocamente in relazione ad ogni tipo di strada.
Per le autostrade, considerata la loro naturale destinazione alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, l’apprezzamento relativo alla effettiva possibilità del controllo non poteva che indurre a conclusioni in via generale affermative, e dunque a ravvisare la configurabilità di un rapporto di custodia per gli effetti di cui all’art. 2051 c.c..
Dunque, anche in relazione alle «caratteristiche, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza, agli strumenti che il progresso tecnologico volta a volta apprestava e che in larga misura condizionavano le aspettative della generalità degli utenti», poteva ritenersi che le autostrade fossero di fatto controllabili e suscettibili di una costante e continua manutenzione.
In sostanza, si giungeva ad affermare con una certa univocità che, quanto alle autostrade, sia invocabile l’art. 2051 c.c., in quanto tali beni sono per loro natura destinati alla percorrenza veloce in condizioni di particolare sicurezza ed accessibili solo dietro pagamento di un "corrispettivo", onde una più spiccata e doverosa possibilità del controllo in capo al gestore della tratta consente di configurare una sua posizione custodiale sulla cosa.
Ed il Tribunale non può che condividere questo successivo più recente orientamento, siccome non solo obiettivamente più rispondente ai caratteri peculiari delle autostrade – beni non assimilabili ad ordinarie vie infraurbane, destinate ad una circolazione molto più lenta - ma anche perché esso è meglio confacente ai maggiori oneri di verifica e manutenzione che incombono in capo al gestore, il quale, contrariamente agli enti pubblici proprietari delle strade ordinarie, percepisce una specifica prestazione pecuniaria proprio per garantire una percorribilità massimamente efficiente per gli utenti.
Dunque, è giusto che egli risponda in termini più gravosi di eventuali sinistri verificatisi sui beni rimessi alle sue cure (cfr, solo da ultimo, Cass. Civ. Sezione terza, sentenza n. 10689/08, depositata il 24 aprile; Cassazione civile , sez. III, 29 marzo 2007, n. 7763; Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 2308 del 02/02/2007; Cassazione civile , sez. III, 06 luglio 2006, n. 15384)
Ciò posto, va ricordato come la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall'art. 2051 cod. civ. ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone nè implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d'altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa,
Sicchè, l'attore che agisce per il riconoscimento del danno invocando tale regime di responsabilità ha solo l'onere di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.
Orbene, Meviox Mx adempieva sufficientemente ai suoi oneri probatori.
Invero, egli depositava un verbale di “rilevamento di incidente stradale con danni a cose” redatto dalla Polizia di Stato – Sezione Polizia Stradale di Caserta il giorno del sinistro (21.11.2006), nel quale “si confermava la dichiarazione del conducente” secondo cui “trattavasi di investimento di un cane” e “si constatava la presenza di una carogna di cane tra la prima e la seconda corsia di marcia”.
Onde non vi erano dubbi in ordine all’effettiva verificazione del fatto così come allegato dall’attore, cioè che si era realizzato l’investimento di un cane da parte sua mentre il quadrupede stava attraversando la carreggiata autostradale.
Peraltro, è evidente che la presenza di un tale animale costituisse obiettivamente una condizione di rischio per il malcapitato automobilista.
E di esso non poteva che rispondere il gestore della tratta.
Infatti, l'art. 2051 c.c., nello stabilire che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia salvo che provi il caso fortuito, richiede, per la sua applicabilità al caso concreto, che il danno si sia verificato, se non nell'ambito del dinamismo connaturato alla cosa, quantomeno per l'insorgenza in questa di un processo dannoso provocato da elementi esterni (giurisprudenza granitica sul punto): ed è indiscutibile che la presenza di un animale sull’autostrada, incidendo in termini significativamente negativi sulla sua utilizzabilità, faceva assumere alla cosa una condizione assolutamente pericolosa e potenzialmente lesiva per i fruitori della stessa, in quanto, mediante essa, era ostacolata in modo imprevedibile la carreggiata e si produceva un turbamento emotivo incontrollabile in ciascun conducente che si vedeva improvvisamente d’avanti l’animale .
Pertanto, se da tale situazione non poteva che derivare, come conseguenza normale e verosimile, un evento come quello verificatosi (collisione con veicoli o incidenti), non poteva che restare a carico della società convenuta dimostrare la prova del caso fortuito ex art. 2051 c.c..
Il contenuto della prova liberatoria, tuttavia, si atteggiava in termini diversi a seconda che la situazione di pericolo fosse connessa alla struttura o alle pertinenze dell'autostrada ovvero derivasse da condotte degli stessi utenti e/o da una repentina e non prevedibile alterazione dello stato della cosa.
Qui, poiché la presenza dell’animale rientrava in questa seconda tipologia di casi, doveva ravvisarsi il caso fortuito soltanto nei casi in cui l'evento dannoso avesse presentato i caratteri della imprevedibilità e della inevitabilità, in quanto l'insidia, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non potesse essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (cfr, Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 14749 del 13/07/2005).
In sostanza, in considerazione della natura del pericolo denunciato, era rimesso alla società convenuta di dimostrare di avere adottato tutte le precauzioni prescritte per prevenire l’evento o, qualora la stesso fosse stato imprevedibile o inevitabile altrimenti, di essersi trovata nella materiale impossibilità di rimuovere tempestivamente quella condizione pericolosa .
Ma tale prova liberatoria è mancata.
Ai sensi dell’art. 2 n. 3 lett. A del d.lg. 30 aprile 1992 n. 285, è prescritto che l’autostrada sia “dotata di recinzione”.
In tal modo si è costituita, da un lato, una legittima aspettativa degli utenti dell’autostrada di non trovarsi “presenze estranee” alla circolazione ordinaria; dall’altro, uno specifico dovere di sistemare lungo la strada, soprattutto quando essa – come nel caso – sia alla stessa altezza di un piano di campagna adiacente - una rete di recinzione idonea a contrastare penetrazioni dall’esterno (specie da parte degli animali selvatici o abbandonati, notoriamente numerosi nella zona), nonché di effettuare la manutenzione ordinaria e, in ipotesi di rottura di essa, di segnalare la situazione di pericolo, ponendovi sollecito riparo.
Perciò, spettava anzitutto a parte convenuta dimostrare che sul tratto autostradale in questione fosse stata apposta adeguata ed integra recinzione della carreggiata.
Laddove, infatti, al di là di arbitrarie congetture, era evidente che l’ipotesi più ovvia e naturale della presenza del cane in autostrada, secondo il principio della regolarità causale e dell’id quod plerumque accidit, era che l’animale avesse approfittato di uno squarcio o di una mancanza parziale nella recinzione, al fine di entrare sulla carreggiata.
Ma sul punto la società Autostrade per l’Italia s.p.a. nulla provava o chiedeva di provare.
Né poteva ritenersi raggiunta una qualche evidenza probatoria a suo favore per il solo fatto che gli agenti accertatori avevano rilevato, in sede di rilievi, che “sul tratto interessato dal luogo del sinistro la rete di recinzione risultava integra”, posto che non risultava essere stata effettuata alcuna seria ricognizione da parte della P.G. intervenuta e ben potendo un qualche varco essere presente a distanza anche considerevole dal luogo del sinistro, ad un’altezza non esaminata dagli Agenti intervenuti.
Sicchè sarebbe stato onere della parte convenuta fornire tali precisi riscontri.
Ma essa, come detto, si disinteressava totalmente di difendersi a riguardo.
Dal che, in mancanza di chiara e sicura prova liberatoria, non poteva che derivare l’accoglimento integrale della domanda attorea.
Per quanto concerne la liquidazione del danno, può riconoscersi allo Meviox, oltre alle spese di rimozione e traino della vettura per Euro 42,50 (fattura in atti), la ulteriore somma di Euro 2981,75 recata nella fattura di riparazione prodotta, trovando la stessa sufficiente corrispondenza con i danni rilevati dalla Polizia Stradale all’autovettura (verbale in atti).
Nessun danno da mancato guadagno, di contro, potrà essere accordato, in difetto di specifica prova sia della sua verificazione (diminuzione dei redditi lavorativi) sia del nesso causale tra tale pregiudizio e la indisponibilità temporanea dell’autovettura.
Così come non saranno liquidabili le “spese per ripristino e sostituzione della paratia” , siccome non riscontrate in sede di riparazione.
L’attore, poi, richiedeva anche il danno da fermo tecnico del veicolo.
Tuttavia, il cd. "danno da fermo tecnico" del veicolo incidentato non può considerarsi sussistente "in re ipsa", quale conseguenza automatica dell'incidente, ma necessita, per converso, di esplicita prova, che attiene tanto al profilo della inutilizzabilità del mezzo meccanico in relazione ai giorni in cui esso è stato sottratto alla disponibilità del proprietario, tanto a quello della necessità del proprietario stesso di servirsene, così che, dalla impossibilità della sua utilizzazione, ne sia derivato un danno: e anche tale prova è mancata totalmente nella fattispecie (Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 12820 del 19/11/1999).
Non sfugge, peraltro, al Tribunale l’orientamento secondo cui il richiamato danno potrebbe essere liquidato in via equitativa, anche indipendentemente da una sua prova specifica, in quanto, anche durante la sosta, il proprietario sarebbe tenuto a sopportare le spese di gestione del veicolo (tassa di circolazione, premio di assicurazione), che è, altresì, soggetto ad un naturale deprezzamento di valore (Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 12908 del 13/07/2004; Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 23916 del 09/11/2006).
Sennonchè, pur a voler accedere a tale tesi, ritiene questo Giudice che il danno in esame sarebbe risarcibile, nonostante la forfetizzazione equitativa, sempre che si dimostri, in ogni caso, che il “fermo” del veicolo abbia avuto una durata apprezzabile e significativa, non potendosi certo ritenere che possa assumere una reale rilevanza patrimoniale la circostanza di aver pagato a vuoto un premio di assicurazione o una tassa di circolazione per un intero anno, quando poi l’impossibilità di utilizzare il veicolo sia durata solo pochi giorni dell’annata di riferimento: e nel caso in esame, emergeva proprio che le riparazioni duravano otto giorni (cfr fattura) .
L’importo riconosciuto in favore degli attori è indicato in valori monetari attuali.
Nessun interesse ulteriore potrà essere riconosciuto per risarcire, in termini di lucro cessante, il danno imputabile al ritardo con cui i danneggiati ottengono la disponibilità dell'equivalente pecuniario del debito di valore dedotto in lite.
Infatti, nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, è possibile che la mera rivalutazione monetaria dell'importo liquidato in relazione all'epoca dell'illecito, ovvero la diretta liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a reintegrare pienamente il creditore, che va posto nella stessa condizione economica nella quale si sarebbe trovato se il pagamento fosse stato tempestivo.
In tal caso, è onere del creditore provare, anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo.
E questo può dipendere, prevalentemente, dal rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non è normalmente configurabile.
Per cui, considerando che per l’andamento del costo del denaro e degli interessi dal 2006 (inferiore alla rivalutazione) ad avviso del Tribunale ivi non si è prodotto alcun danno ulteriore da ritardo, nessuna somma andrà riconosciuta a tale titolo (Cassazione civile , sez. III, 25 agosto 2003, n. 12452).
Le spese seguiranno comunque la soccombenza, con liquidazione come da dispositivo.

P. Q. M.

Il Tribunale, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando in ordine alla causa in epigrafe,
- accertata la responsabilità della società Autostrade per l’Italia s.p.a. per i danni conseguenti al sinistro occorso a Meviox Mx in data 21.11.2006, condanna Autostrade per l’Italia s.p.a. al risarcimento dei danni in favore di Meviox Mx liquidati, secondo valori monetari attuali come in motivazione, nell'importo di € 3.023,00, oltre interessi legali sulla complessiva somma così determinata dalla presente pronuncia fino al soddisfo;
- condanna Autostrade per l’Italia s.p.a. a rimborsare a Meviox Mx le spese processuali sostenute nel presente giudizio, che liquida in complessivi € 1.560,00, di cui € 780,00 per diritti, il residuo per spese ed onorari, oltre rimborso spese generali al 12,50%, IVA e contr. cassa prev. avv. come per legge; con attribuzione agli avv.ti ….
Così deciso in Nola il 11.12.2008; si provveda all’immediato deposito in cancelleria.
Il Giudice
Dott. Alfonso Scermino
(Allegato al verbale d’udienza dell’11.12.2008)

GdP Verona, sent 8663/08

SENTENZA N.8663/08
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI VERONA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Pace di Verona avv. M.C. Balottin, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa promossa con citazioni ritualmente notificate ed iscritte ai nn. di ruolo 16927/06 16928/06 e 17321/06 contenzioso ordinario, riunite nel procedimento primo in ruolo N. 16927/06, predetto,
DA
************, c.f.: *******************,
************ c.f.: ************ e ************ c.f..:************
************ c.f.: ************ e ************ c.f.:************
tutti elettivamente domiciliati in Verona, Corso Castelvecchio 27, presso lo studio degli avv.ti Renato Savoia e ************ che li rappresentano e difendono per procura in calce ai rispettivi atti di citazione,

attori

CONTRO

************ S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in ************, elettivamente domiciliata in ************, presso lo studio dell'avv. ************ che la rappresenta e difende con l'avv. ************ e lo Studio legale ************, per procure in calce ai rispettivi atti di citazione notificati,

convenuta

OGGETTO: restituzione corrispettivo e risarcimento danni

CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da verbale di udienza di precisazione conclusioni e rispettive comparse conclusionali.

- SVOLGIMENTO DEL PROCESSO -

Con atti ritualmente notificati, gli attori esponevano:
In data 9/1/2006, ************, ************ e ************, nonché ************ e ************ acquistavano dalla convenuta ************ SRL al prezzo di €. 2.008,00 la prima e di €. 1.777,00 cadauno gli altri quattro, il pacchetto turistico "******************" della durata di giorni 12 e notti 10 con partenza prevista per il giorno 25/1/06 dall'aeroporto di Milano-Malpensa e ritorno per il giorno 5/2/06 al medesimo aeroporto, date posticipate rispettivamente al 27/1/06 e 6/02/06 a seguito di espressa richiesta da parte della convenuta.
Il viaggio era quindi pattuito con partenza il 27/1/06 ore 22.30 da Milano-Malpensa ed arrivo a Yangon alle ore 18.00 del giorno 28/1/06, previo scalo all'aeroporto di Doha con sosta quivi effettuata di ore 2.55.
Esponevano gli attori che, giunti all'aeroporto di Milano-Malpensa, causa maltempo per caduta di neve, il volo previsto per la partenza era annullato ed essi partivano solo il giorno 28 seguente alle ore 16.00, arrivando allo scalo di Doha alle ore 23.00, ove erano costretti a permanere anche bivaccando nella notte ed erano infine informati, dal personale della compagnia aerea ******, che il loro gruppo sarebbe stato suddiviso in n. 3 partenze scaglionate in giorni ed orari diversi, a seguito delle quali solo in data 30/1/06 il gruppo di amici avrebbe potuto finalmente ricongiungersi a Yangon, per iniziare il tour della Birmania.
Eccepivano pertanto il venir meno di parte delle condizioni e dei servizi concordati, ovvero la durata del viaggio, l'unione della comitiva, il pernottamento in hotel a Yangon per le notti del 28 e 29 gennaio 2006 con i relativi pasti, la visita alla capitale Bago e quindi il trasferimento in data 30/1/06 all'aeroporto di Yangon per il volo su Bagan. Riferivano, in mancanza di qualsiasi assistenza prestata dal Tour Operator, di aver provveduto autonomamente a rientrare in Italia, non intendendo accettare simili modifiche delle condizioni di viaggio.
Allegavano altresì agli atti di causa comunicazione e-mail 7/03/06 con la quale la convenuta, offriva agli attori un rimborso forfetario per i servizi non fruiti, "al netto delle penalità applicate" di €. 350,00 cadauno, offerta non accettata dagli attori.
Chiedevano quindi la restituzione del corrispettivo da ciascun attore pagato per il proprio pacchetto turistico, oltre rivalutazione monetaria, nonché il risarcimento del danno da vacanza rovinata che quantificavano in €. 500,00 cadauno, oltre le spese di causa.
Si costituiva in giudizio la convenuta *********** SRL, negando qualsiasi propria responsabilità nei fatti accaduti, in particolare negando la carenza di assistenza ai viaggiatori, e riconducendo lo spostamento delle partenze dal giorno 27 al giorno 28 gennaio a ragioni di maltempo con nevicate che avevano comportato il blocco dei voli da Malpensa ed altresì il conseguente ritardo nel successivo arrivo a Yangon a conseguenti ragioni di overbooking del vettore *******, non imputabili alla convenuta il primo per ragioni di forza maggiore (chiusura voli per neve) ed il secondo per estraneità alla responsabilità della convenuta. Chiedeva quindi il rigetto delle domande attoree e la vittoria delle spese di causa.
Era ammessa ed espletata istruttoria testimoniale nonché per interrogatorio formale, all'esito della quale le parti precisavano le conclusioni; quindi, la causa veniva riservata in decisione.
- MOTIVI DELLA DECISIONE -

Preliminarmente si osserva errore materiale consistente in difetto di indicazione del procedimento R.G.N. 17321/06 quale secondo procedimento riunito per connessione oggettiva e parzialmente soggettiva al procedimento primo in ruolo RGN. 16927/06, di cui all'ordinanza in data 6/12/06, di cui dovrà farsi integrazione in dispositivo.
Il contratto in esame si inquadra tra i contratti di vendita di pacchetti turistici per viaggi e vacanze "tutto compreso", regolati dal combinato disposto dell'art. 1470 C.C. e del D.Lgs. 6/9/2005 n. 206 e, in particolare per quanto in esame, dagli artt. 91 e seguenti.
E precisamente, quando una parte essenziale dei servizi turistici convenuti non può essere effettuata, l'organizzatore è tenuto a predisporre adeguate soluzioni alternative per la prosecuzione del viaggio programmato, che non devono , peraltro comportare oneri a carico del consumatore, oppure rimborsa quest'ultimo nei limiti della differenza tra le prestazioni originariamente previste e quelle effettuiate, fatto salvo comunque il risarcimento del danno. Ed altresì, ove non sia possibile alcuna soluzione alternativa, ovvero il consumatore non l'accetti per motivi giustificati, l'organizzatore è tenuto a mettergli a disposizione un mezzo di trasporto equivalente per il ritorno al luogo di partenza.
Nel merito, tutte le circostanze dedotte dagli attori erano provate documentalmente e testimonialmente, in particolare l'acquisto dei pacchetti turistici, la convenuta durata complessiva del viaggio e del viaggio "di cultura", le date di partenza e di arrivo nonché lo scalo a Doha e la durata della relativa permanenza, la chiusura dell'aeroporto di partenza per neve, il bivacco di una notte presso detto aeroporto in assenza di ricovero in albergo, il successivo bivacco, anche notturno, presso l'aeroporto di Doha e le condizioni di igiene ivi presenti, l'unica prospettiva di essere imbarcati scaglionatamente per Yangon nel giro di 4 o 5 giorni per ivi, finalmente ricostituire il gruppo di amici, odierni attori, nonché di ivi ritrovarsi con i rimanenti viaggiatori da Milano per il programmato tour della Birmania. Su tali previsioni di viaggio, una sola certezza, l'assenza di qualsiasi interessamento da parte della convenuta ************ SRL, che, faticosamente raggiunta via telefono dagli attori, si limitava a rispondere di trovare autonomamente una soluzione al trasporto, precisando che la rinunzia al viaggio avrebbe comportato irrimediabilmente la perdita del corrispettivo versato da ciascuno.
Nel merito, non vi è dubbio che il blocco dei voli da Malpensa causa neve non possa di per sé essere addebitata alla responsabilità della convenuta, essendo causata da ragioni di forza maggiore. E' tuttavia fuor di dubbio che il venir meno del preventivato volo da Malpensa onerava il Tour Operator, in quanto tale, a riprogrammare immediatamente il pacchetto turistico venduto agli odierni attori, offrendo altra data ed ora di partenza, altro scalo ed altra coincidenza per Yangon; detta riprogrammazione del viaggio per ragioni di forza maggiore, che comportasse un analogo numero di giorni di vacanza ed analoghi tempi di percorso delle distanze, è evidentemente ineludibile prestazione di servizi insita nell'offerta di un pacchetto turistico. Diversamente opinando, verrebbe a sbilanciarsi il sinallagma insito nel contratto stipulato con il tour Operator, venendo a mancare la prestazione della specifica esperienza e capacità operativa dell'Operator in campo turistico,che ha indotto l'affidamento del consumatore a contrarre. Circostanze, appunto, quelle della sopravvenuta impossibilità del servizi pattuiti, previste e regolate dagli artt. 91 e seguenti del citato D.Lgs. n.206/2005.
Era quindi specifico onere della convenuta, al momento stesso della notizia di blocco dei voli da Milano-Malpensa, riprogrammare il pacchetto, offrendo agli acquirenti un pacchetto turistico analogo (per durata e tempi di percorso), con diritto per l'acquirente di accettare ovvero di essere rimborsato della differenza tra quanto originariamente previsto e quanto goduto (nel caso inesistente, essendosi il blocco dei voli verificato in fase di partenza).
Da ultimo, mentre si osserva la coincidente prova testimoniale circa l'inadempimento totale delle obbligazioni della convenuta, si rileva l'offerta da questa formalizzata per l'importo di €. 350,00 per cadauno degli odierni attori, con una quantificazione certamente arbitraria ma, soprattutto, mai giustificata nei suoi contenuti, se non per l'evidente riconoscimento da parte convenuta, per fatti concludenti, della propria responsabilità contrattuale.
Le domande proposte da parte attrice sono quindi fondate e devono essere accolte.
Per quanto attiene al quantum debeatur, in considerazione del totale inadempimento da parte convenuta circa i servizi promessi e non offerti, ed osservata la buona volontà dimostrata dagli attori che, pur abbandonati a se stessi, tentavano il viaggio fino a Doha sempre sperando nella doverosa assistenza e organizzazione da parte della convenuta, dovrà la convenuta rimborsare a ciascuno degli attori il corrispettivo da questi versato.
In considerazione della limitata risalenza del versamento degli importi e, soprattutto, del particolare periodo di stagnazione della domanda turistica, nega la rivalutazione monetaria sui detti importi.
Accoglie, altresì, la domanda di risarcimento danni da " vacanza rovinata", quale pregiudizio subito dai turisti in dipendenza del mancato adempimento della convenuta alle obbligazioni insite nella attività di tour operator, altresì previste e regolate dal D.Lgs. n. 206/05, e liquida in ragione delle giornate inutilmente perse nel tentativo di un viaggio non adeguatamente organizzato, delle spese sostenute per vanamente recarsi da Verona a Milano-Malpensa, telefoniche per tentare contatti con la convenuta, di vitto e di alloggio non goduti, nonché per lo stress ed i disagi subiti (tenuto conto degli elementi di imprevedibilità che la meta del viaggio presentava in relazione allo sviluppo ed alle condizioni economiche e sociali del paese di destinazione), l'importo equitativamente determinato ex art. 1226 c.c. di €. 400,00 omnicomprensivi, per ciascun attore. Su detta somma dovranno essere corrisposti gli interessi legali dalla data odierna al saldo.
Consegue alla soccombenza la condanna della convenuta a rifondere agli attori le spese processuali, come liquidate in dispositivo, dovendo le spese imponibili ricomprendersi tra le competenze spettanti.

- P. Q. M. -

Il Giudice di Pace di Verona, definitivamente pronunciando, cosi provvede:
-Integra l'ordinanza di riunione dei procedimenti assunta in data 6/12/06 aggiungendo, al N.R.G. 16928/06, il procedimento N.R.G. 17321/06;
-condanna la convenuta ******************** SRL a rimborsare € 2.008,00 in favore di *********, ed €. 1.777,00 cadauno a ****************,***********,*************,*******************, oltre interessi legali dalla data degli esborsi al saldo; nonché al risarcimento del danno di €. 400,00 cadauno in favore degli attori predetti, oltre interessi legali dalla data odierna al saldo .
- condanna la convenuta a rifondere a parte attrie le spese processuali, che liquida in €. 2854,44 di cui € 1.432,00 per diritti, € 2.136,60 per onorario di avvocato, € 285,84 per spese oltre art.14 L.P., C.P.A. ed I.V.A..
Verona, 20 settembre 2008
Il Giudice di Pace
avv. M.C. Balottin
Depositata in Cancelleria 11 Dicembre 2008

25/11/08

Trib Modena, 25 novembre 2008


Eccesso di velocità – multa – Telelaser – avvistabilità degli operatori - necessità - conseguenze
Nel caso di accertamento dell’eccesso di velocità tramite apparecchiatura Telelaser (LTI 20.20), gli agenti devono essere visibili dall’autista, soprattutto se l’infrazione avviene di notte; diversamente la multa così irrogata va annullata.
In materia di multe e decurtazione di punti, si veda Cassazione civile, SS.UU., sentenza 29.07.2008, n. 20544
(Fonte: Altalex Massimario)


Tribunale di Modena
Sentenza 25 novembre 2008
(Giudice Pagliani)

Svolgimento del processo

Come da atti di causa e sopraesteso verbale d'udienza.

Motivi della decisione
A M. A. è stata contestata dalla Polizia Municipale di Cavezzano (MO) la violazione dell'art. 142, 9° c., Codice della strada, per eccesso di velocità rilevato con apparecchio elettronico.A. M. con il ricorso in opposizione ha sollevato diversi motivi di censura avverso il verbale contestatogli il 14 marzo 2007:
1) l'inaffidabilità dello strumento rilevatore utilizzato (Telelaser LTI 20.20);
2) l'errata compilazione del verbale opposto (in quanto non veniva indicato il risultato della riduzione del 5% della velocità rilevata pur essendo indicata tale tolleranza);
3) la violazione dell'art. 183 DPR 14/12/1992 n. 495 (in base al quale gli agenti operanti sulle strade devono essere visibili);
4) la mancanza di valore probatorio del verbale impugnato. L'opposizione è stata decisa, con contestuale pubblica lettura del dispositivo, in base alla seguente motivazione: "ritenuto fondato ed assorbente il motivo del ricorso attinente il posizionamento disposto non in forma visibile del nucleo di rilevamento, accoglie il ricorso stesso e per l'effetto annulla il verbale di contestazione...".L'amministrazione comunale appellante svolge diversi motivi di appello:
con il primo motivo censura deduce violazione delle regole sull'onere della prova da parte del giudice di prime cure, in relazione alla circostanza della visibilità degli agenti operanti, ai sensi dell'art. 183 DPR 14/12/1992 n. 495;
con gli altri motivi esamina gli altri punti dell'impugnazione del verbale di contestazione svolgendo le medesime obiezioni già proposte nella comparsa di risposta del giudizio di primo grado.Quanto, dunque, al primo motivo di opposizione, esso riguarda la motivazione del primo giudicante sulla prova della non visibilità degli agenti, indefettibile presupposto della legittimità dell'ordinanza. Sul punto la motivazione della sentenza impugnata, benché necessariamente sintetica in quanto resa con pronuncia contestuale in udienza, è corretta. Dalle risultanze istruttorie acquisite emerge con certezza che la pattuglia non era visibile. L'orario dell'accertamento è indicato 20,58 del 14 Marzo 2007. Dunque, era buio. Nel verbale non vi è alcun riferimento alla presenza di illuminazione pubblica. Dalla deposizione resa in primo grado dall'agente Caleffi risulta che la pattuglia era posizionata a circa cento metri dal punto del rilevamento della velocità, e sul lato opposto della carreggiata rispetto alla direzione di marcia di M.; tanto che per intimargli l'alt l'agente si è portato al centro della strada, per poi attraversarla e contestare la violazione.
In tale condizione, né gli agenti di polizia municipale, né la vettura potevano essere avvistabili e riconoscibili da un conducente nelle condizioni di M.. Infatti, in zona con limite di velocità urbano, si presume che M. procedesse con le luci anabbaglianti, e non certo con i proiettori abbaglianti azionati, circostanza quest'ultima che, in ogni caso, non è mai stata riferita né verbalizzata. Nelle descritte condizioni di marcia, non è possibile avvistare chi si trova a cento metri di distanza dall'altra parte della strada; sia per la distanza che per il fatto che i fari anabbaglianti sono orientati verso destra, e non verso il lato sinistro della direzione di marcia. In ragione delle esposte considerazioni, il ricorrente in primo grado aveva fornito la prova del fatto fondante l'illegittimità dell'accertamento, e spettava all'amministrazione fornire la contraria prova positiva dell'avvistabilità concreta degli operanti; prova che, tuttavia, non solo non è stata fornita, ma che non poteva essere fornita perché non contenuta nel verbale di accertamento, nel quale infatti non erano state indicate: le condizioni di illuminazione della strada; la posizione della pattuglia e degli operanti; la distanza tra il punto di accertamento e la posizione della pattuglia; la concreta avvistabilità, in definitiva, degli operanti e della vettura di servizio; elementi tutti che devono essere indicati nel verbale per esplicare in concreto le condizioni di fatto dell'accertamento, e dare conto dell'elemento specifico dell'avvistabilità degli agenti, presupposto di legittimità dell'accertamento; specie in caso di verbale relativo ad un accertamento in orario notturno.Sulla base delle soprastanti considerazioni, quindi, deve riscontrarsi la corretta applicazione dei principi dell'onere probatorio e la correttezza e sufficienza della motivazione da parte del primo giudicante e, viceversa, l'infondatezza dell'appello.Ogni altro motivo di appello è, infatti, superato ed assorbito dall'accoglimento del motivo di ricorso che, per le ragioni sopra esposte, conduce all'annullamento dell'accertamento.Ne consegue il rigetto dell'appello e la condanna alle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, respinge l'appello proposto dal Comune di Cavezzo verso la sentenza n. 21/08 del giudice di pace di Mirandola;dichiara tenuto e condanna il Comune di Cavezzo a rifondere a M. A. le spese processuali che liquida nella misura di complessivi euro 1.721,90, di cui euro 15,48 per spese, euro 515,00 per competenze, euro 720,00 per onorari, euro 156,31 per rimborso spese generali.

Tribunale di Taranto, Sentenza 25 novembre 2008

Telecomunicazioni: va disattesa l'eccezione di improcedibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c. sollevata per il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione.

TRIBUNALE DI TARANTO
SEZIONE DISTACCATA DI GINOSA

n. ???/2008 r.g. spec.
IL GIUDICE DESIGNATO
letti gli atti relativi al ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in data 28 ottobre 2008 dalla ????? srl (avv. Tommaso Bozza) nei confronti della ???????? spa (avv. L. P.);
sentite le parti;
sciolta la riserva di cui al verbale di udienza del 18 novembre 2008;

osserva in fatto:
la società ricorrente lamenta l'inadempimento da parte della ????????? spa del contratto di telefonia relativo all'utenza fissa n. ????????; in particolare, deduce che dalla metà di settembre la predetta linea telefonica risulta interrotta, probabilmente a causa della caduta di taluni pali, e da allora non più ripristinata, nonostante le numerose segnalazione al call center n. ??? (divenute addirittura quotidiane dal mese di ottobre), il fax di diffida del 16 settembre e la raccomandata inviata il successivo 22 settembre, con la quale si è paventato il pericolo di gravi danni all'attività commerciale svolta dalla ???????? srl. Ed invero, l'impossibilità di effettuare e ricevere ordinativi per telefono (aggravata dall'inutilizzabilità del servizio di posta elettronica) avrebbe determinato, a partire dal mese di settembre, un sensibile calo del fatturato rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno, sicché la ricorrente chiede che sia ordinato alla società resistente l'immediato ripristino della linea telefonica. Vinte le spese di lite.
Con memoria depositata all'udienza del 18 novembre 2008 si è costituita la ???????? spa, la quale ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per difetto del requisito della residualità, avendo l'ordinamento predisposto altra e tipica tutela cautelare disciplinata dall'art. 5, comma 3, della delibera n. 173/07/Cons dell'Autorità Garante per le comunicazioni; nonché l'improcedibilità dell'azione proposta per omesso esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 3, comma 1, della predetta delibera, attuativi della previsione normativa contenuta nell'art. 1, comma 11, legge 31 luglio 1997, n. 249. Nel merito, peraltro, la società resistente asserisce l'attuale impossibilità di intervenire per il ripristino della rete telefonica, in quanto i proprietari del terreno, sul quale insistono i pali caduti a seguito di un incidente stradale verificatosi nello scorso mese di luglio, si oppongono all'ingresso di dipendenti ?????? all'interno della loro proprietà. Deduce, infine, la mancanza di qualsivoglia periculum in mora, sia perché, come chiarito da taluna giurisprudenza di merito, "la risalenza nel tempo della vicenda esclude l'imminenza di un pregiudizio irreparabile" (comparsa di costituzione, p. 9), sia perché il danno paventato avrebbe natura prettamente patrimoniale e, quindi, integralmente risarcibile, anche in considerazione del rilievo che "venuto meno il regime di monopolio... [l'utente potrebbe] nelle more del giudizio ordinario usufruire dei servizi equivalenti offerti da altri gestori di telefonia fissa e mobile" (comparsa di costituzione, p. 11). Chiede, pertanto, il rigetto dell'istanza cautelare, con vittoria delle spese di lite.

osserva in diritto:

va, preliminarmente, disattesa l'eccezione di improcedibilità sollevata dalla società resistente per il mancato esperimento, da parte della ricorrente, del tentativo obbligatorio di conciliazione disciplinato dall'art. 3, comma 1, della delibera n. 173/07/Cons dell'Autorità Garante per le comunicazioni.
Ed invero, il Giudicante ritiene che, in mancanza di un'espressa previsione di legge, la dedotta condizione di procedibilità non possa trovare applicazione nei procedimenti cautelari d'urgenza, anche in considerazione dell'art. 412 bis cpc, in forza del quale "...il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti speciali d'urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV. In proposito, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 276 del 2000, ha osservato come il limite all'immediatezza della tutela giurisdizionale, in materia di controversie di lavoro, risulti ragionevole, tra l'altro, proprio perché "prima dell'espletamento del tentativo di conciliazione e durante il tempo per il suo espletamento, la situazione sostanziale è comunque tutelabile in via cautelare, onde è posta al riparo da eventuali pregiudizi dalla durata del processo a cognizione piena". La tutela cautelare, in definitiva, costituisce uno strumento d'azione necessario per l'effettiva tutela del diritto controverso, costituzionalmente rilevante ai sensi degli artt. 24 e 111 della nostra Carta fondamentale, quando si prospetti una situazione di pericolo nel ritardo, che, in quanto tale, non tollera attese e necessita di una risposta di tutela a volte immediata, come confermato dalla possibilità di assumere persino provvedimenti inaudita altera parte (in tal senso la prevalente giurisprudenza di merito: fra gli altri, Trib. Lanciano, 11 marzo 2005; Trib. Brindisi, 18 agosto 2006; Trib. Roma, 20 maggio 2002).
Né, in senso contrario, si può sostenere che le esigenze cautelari dell'utente troverebbero, comunque, adeguata tutela nei "provvedimenti temporanei" del Dipartimento garanzie e contenzioso dell'Autorità delle comunicazioni - previsti dall'art. 5, Gomma 3, della già richiamata delibera n. 173 del 2007 -, i quali, pur diretti a garantire l'erogazione del servizio o a far cessare forme di abuso o di scorretto funzionamento da parte dell'organismo di telecomunicazioni sino al termine della procedura conciliativa, sono adottati da un'Autorità non giurisdizionale e, dunque, sono privi di quell'esecutività e coercibilità necessarie per rispondere con immediatezza ed effettività alle esigenze di natura cautelare del consumatore (fra gli altri, Trib. Isernia, 26 gennaio 2006). È appena il caso di rilevare, infatti, che essi, quand'anche fossero ritenuti titoli esecutivi, richiederebbero pur sempre l'attivazione di una procedura esecutiva - da instaurarsi con apposito ed ulteriore atto di precetto - non necessaria, invece, in presenza di un provvedimento ex art. 700 cpc, che, senza altre formalità, può essere attuato ex art. 669 duodecies cpc.
Non può, del pari, trovare condivisione l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto del requisito della residualità, fondata per l'appunto sull'espressa previsione della tutela d'urgenza sopra richiamata. Ed invero il principio di residualità contribuisce a delineare la portata applicativa dell'art. 700 cpc esclusivamente nell'ambito dei rimedi giurisdizionali, laddove i "provvedimenti temporanei" di cui all'art. 5, comma 3, hanno, come già chiarito, natura chiaramente non giurisdizionale e non possono, pertanto, porsi in rapporto di incompatibilità con lo strumento cautelare atipico previsto dal codice di rito.
Ciò premesso, è appena il caso di rilevare che la concessione di un provvedimento d'urgenza richiede la compresenza del fumus boni iuris e del periculum in mora. Quanto al primo dei due presupposti, la ricorrente assume che l'utenza n. ????????? risulta interrotta dal mese di settembre 2008 e tale circostanza non trova contestazione alcuna da parte della resistente (nella relativa comparsa, p. 6, anzi, si individua l'origine del disservizio in un incidente verificatosi nel precedente mese di luglio), la quale, tuttavia, deduce l'impossibilità di porre rimedio al guasto per la ferma opposizione dei coniugi ???????????, comproprietari del terreno sul quale insistono i pali caduti della rete telefonica. In altri termini, la ?????? spa ammette l'inadempimento, ma nega che esso possa ritenersi colpevole, non essendo imputabile ad una sua negligenza o inattività. Sennonché, la dedotta opposizione dei predetti terzi non individua una circostanza di per sé idonea a giustificare la perdurante interruzione del servizio telefonico. A tal fine, infatti, la società resistente avrebbe anzitutto dovuto affermare (e richiesto di comprovare) che non sussistono soluzioni tecniche al guasto alternative ad un intervento di manutenzione all'interno della proprietà ???????????, nonché, soprattutto, di aver intrapreso ogni iniziativa volta a superare le resistenze di questi ultimi. Ed invero, la ??????? spa, in quanto titolare di diritti di servitù sui terreni che ospitano i pali della rete, è tenuta a farli valere anche in via giudiziaria, se necessario per assicurare alla propria clientela l'effettività del servizio telefonico, laddove, nel caso di specie, non ha neppure dedotto azioni volte a contrastare l'asserito spoglio della servitù esistente sul fondo servente appartenente ai su menzionati terzi. Conseguentemente, il Giudicante ha ritenuto del tutto ininfluente ai fini della concessione dell'interdetto l'escussione dell'informatore ??????? richiesta dalla società resistente (e finalizzata, come detto, alla dimostrazione della mera impossibilità di fatto di accedere sui terreni sui quali ricadono i pali danneggiati), nonché la chiamata in causa dei coniugi ????????????, rispetto ai quali - pur prescindendo dal rilievo della assai dubbia compatibilità fra la chiamata in causa di terzi e la natura cautelare del presente procedimento - non può certo affermarsi la comunanza della controversia oggetto di causa (al più la ?????? potrebbe avanzare pretese di rivalsa, allorché fosse proposta dall'odierna ricorrente ed accolta dall'autorità giudiziaria adita un'eventuale domanda risarcitoria in suo danno).
In conclusione, il comportamento della ???????, ponendosi in evidente contrasto con il preciso obbligo di ripristinare tempestivamente gli eventuali disservizi della rete e/o del servizio, individua senz'altro una grave violazione di quei principi di buona fede e correttezza, che regolano il fisiologico sviluppo di ogni rapporto contrattuale, rendendo così manifesto il diritto della ???????????? srl di pretendere l'immediata riattivazione della propria utenza telefonica.
Quanto al periculum, è noto che esso si risolve nel fondato motivo di temere che il diritto azionato sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile durante il tempo occorrente per farlo valere in via ordinaria. Nel caso di specie, l'impossibilità di comunicare telefonicamente, sia in entrata che in uscita, incide in modo significativo sulle modalità di svolgimento dell'attività commerciale della ricorrente (si pensi, ad esempio, all'impossibilità di effettuare o di ricevere ordinativi anche via internet), la quale si trova esposta al rischio obiettivo di perdita di clientela; il che individua un pregiudizio difficilmente rimediabile, attesa la peculiare natura dei rapporti commerciali, fondati su scelte dei consumatori che avvengono sulla base non solo di apprezzamenti individuali ma anche per vicende accidentali. Non senza osservare, peraltro, che un tale pregiudizio, pur se ritenuto prettamente economico, presenterebbe enormi difficoltà probatorie in sede di merito, ove i relativi effetti persistessero nel tempo. Né un tale danno potrebbe essere evitato rivolgendosi ad altro gestore telefonico, giacché, da un lato, l'attivazione di una nuova linea fissa, pur mantenendo lo stesso numero, comporterebbe tempi tecnici (correlati alla risoluzione del preesistente rapporto contrattuale e alla successiva conclusione di un nuovo contratto), che aggraverebbero inevitabilmente il danno lamentato dal cliente; dall'altro, l'attivazione di una linea mobile non rimuoverebbe il pregiudizio connesso all'interruzione dell'utenza fissa, oramai nota ai clienti abituali della ricorrente e, comunque, agevolmente conoscibile attraverso gli elenchi telefonici dell'anno in corso, nei quali, ovviamente, non si potrebbe rinvenire il nuovo numero di cellulare.
D'altronde non può trovare condivisione alcuna la tesi, pure sostenuta da una parte della giurisprudenza di merito, secondo la quale il decorso di un significativo lasso temporale tra la realizzazione della condotta lesiva e la proposizione del ricorso escluderebbe il requisito del periculum in mora. Al contrario, è per l'appunto la protrazione nel tempo della condotta antigiuridica che può rendere imminente il pregiudizio lamentato; nel caso di specie, invero, viene in rilievo un illecito contrattuale permanente, che tende ad aggravare sempre più l'evento dannoso e a consolidarne gli effetti sì da renderlo irreparabile, quand'anche trascurabile nella sua fase iniziale.
In definitiva, il Giudicante ritiene, sia pure nei limiti della sommaria cognizione della presente fase processuale, che nel caso che ci occupa ricorrano entrambi i presupposti del fumus boni juris e del periculum in mora: il primo, sotto il profilo dell'obiettivo inadempimento del contratto da parte della resistente; il secondo, per la natura irrimediabile del pregiudizio lamentato dalla ricorrente: l'istanza cautelare merita, pertanto, accoglimento.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

p.q.m.

visti gli artt. 669 sexies ed octies c.p.c.;
pronunziando sul ricorso in epigrafe, così provvede:
ORDINA alla ??????? spa di riattivare immediatamente e senza indugio l'utenza telefonica n. ?????;
CONDANNA la società resistente a pagare in favore della ??????? s.r.l. le spese di lite, che liquida in complessivi euro??????? (di cui ?????? per esborsi e ????? per diritti), oltre rimborso forf., IVA e CAP come per legge.
Così deciso in Ginosa il giorno 25 novembre 2008
Il GiudiceDott. Italo FEDERICI

24/11/08

Corte d'Appello Perugia, 24.11.08

Danno non patrimoniale – unicum – voci risarcitorie – superamento – tutela – integralità del risarcimento – necessità [art. 2059 c.c.]
Corte di Appello
Perugia
Sentenza 24 novembre 2008
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI PERUGIA
SEZIONE CIVILE

Composta dai Magistrati:
...omissis...
Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. … anno … Ruolo Gen. Contenzioso Civile,
TRA
W. e J. (in proprio e nell’interesse dei figli minori Y. e K.), elettivamente domiciliati in … , presso lo Studio dell’Avv. …, e rappresentati e difesi in giudizio dall’Avv. …, in forza di procura estesa in calce all’atto di appello

APPELLANTI

E

X., elettivamente domiciliato in … , presso lo Studio dell’Avv. … , e rappresentato e difeso in giudizio, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti … , in forza di procura estesa a margine della memoria di costituzione in appello

APPELLATO

E

… ASSICURAZIONE … ., in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in …, presso lo Studio dell’Avv. …, che la rappresenta e difende in giudizio in forza di delega estesa a margine del “ricorso notificato” (retro pag. 23)

APPELLATA

CONCLUSIONI DEI PROCURATORI DELLE PARTI:

Per W. e J. come all’atto di appello:
Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello di Perugia adita, in accoglimento del presente gravame,
annullare e/o riformare, previa sospensione dell’efficacia esecutiva, l’impugnata decisione del Tribunale di Terni … e, per l’effetto, riconoscersi il Sig. X., in qualità di padrone del cane, responsabile di ogni danno subito dalla piccola Y. e dal di lei fratello, come richiesti nell’atto di citazione in primo grado e, comunque, come identificati e quantificati in sede di CTUR, oltre che dei danni tutti patiti dai genitori e patendi, con condanna del medesimo al pagamento. Con ogni consequenziale pronuncia anche in ordine alle spese, con condanna anche di quelle di cui al primo grado di giudizio.
* Per X. come alla memoria di costituzione in appello
Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello di Perugia respingere l’appello ex adverso proposto per tutte le considerazioni sopra esposte e per quelle che saranno ulteriormente esposte in memoria, con conferma della sentenza di primo grado.
Con vittoria di spese del grado.
In subordine, e salvo gravame, nella deprecata ipotesi di accoglimento in tutto o in parte dell’appello ex adverso proposto, piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello di Perugia condannare la società “… Assicurazioni … ”, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in …, chiamata in causa, a tenere
indenne il signor X., in forza del contratto di assicurazione da tutte le pretese delle parti appellanti, e sia pertanto condannata a pagare quanto fosse dovuto dal sig. X. agli appellanti e comunque a rifondergli ogni e qualsiasi somma al pagamento della quale fosse dichiarato tenuto.
Per … Assicurazione … come alla comparsa di costituzione e risposta in appello:
Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello di Perugia adita, contrariis reiectis, rigettare il ricorso in appello, in quanto infondato in fatto ed in diritto e confermare integralmente la sentenza … impugnata.
Con vittoria di spese, funzioni ed onorari di causa.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto di citazione in data 15/5/2003, ritualmente notificato, i Sigg.ri W. e J., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sui figli minori Y. e K., esponevano
che il 2/7/2001 la figlia Y., di anni 4, mentre si trovava presso l’abitazione del padre sita all’interno del cortile della villa della Sig.ra … (sita in …), era stata, improvvisamente, aggredita, “in modo estremamente violento” con inflizione di “innumerevoli morsi”, da un cane pastore maremmano di proprietà del Sig. X.;
che dall’occorso era derivata alla bambina una pluralità di danni, tutti assai gravi: inabilità temporanea assoluta ed inabilità temporanea parziale “di molti giorni”; “danno biologico notevole”; danno alla vita di relazione e danno morale “di rilevante incidenza”;
che dall’occorso erano derivati danni anche all’altro figlio degli istanti, K. (anni 7), il quale, “nell’assistere all’evento dannoso”, aveva “subito un serio pregiudizio alla sua integrità personale”, essendogli derivata “una condizione psicologica caratterizzata da una dinamica regressiva e dalla presenza di una sintomatologia ansioso-depressiva concretatasi in un disturbo stabile della sfera emozionale oltre che in rilevante danno morale”;
che gli esponenti, oltre ai disagi ed alle sofferenze derivati dall’accaduto, avevano dovuto affrontare spese rilevanti (medicine, assistenza, alimentazione speciale, trasporti etc.).
Tutto questo posto, W. e J. convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Terni, X., per sentirlo dichiarare responsabile dell’occorso e per sentirlo condannare al risarcimento dei danni materiali e morali subiti dagli esponenti e dai figli minori, quantificati in complessivi Euro 77.468,53 (di cui Euro 51.645,69 per i danni subiti da Y., Euro 10.329,14 per i danni subiti da J. ed Euro 7.746,85 per ciascuno dei genitori), salva la diversa somma “di giustizia”.
2. Costituitosi in giudizio, il Sig. X. eccepiva, preliminarmente, la carenza di legittimazione attiva degli attori per quanto inerente alle domande risarcitorie proposte nell’interesse dei minori, avendo intrapreso l’azione giudiziaria senza essersi preventivamente provvisti dell’autorizzazione del Giudice tutelare, necessaria “anche in ragione del conflitto di interessi esistente”, la responsabilità dell’accaduto dovendo, invero, essere addebitata in via esclusiva alla condotta del W..
Nel merito, il convenuto chiedeva la reiezione della domanda, dedottane l’infondatezza, a tal uopo adducendo
che il W. occupava, “da solo senza alcun familiare”, una delle due unità immobiliari costituenti il fabbricato sito in …, l’altra unità essendo utilizzata, come abitazione, dall’esponente e dalla sua famiglia;
che le due unità immobiliari erano circondate da un giardino protetto da un’unica recinzione;
che, sin dall’inizio del rapporto con il W., il cane (ben conosciuto dall’attore), si aggirava liberamente nel predetto giardino;
che il giorno 2/7/2001, verso le 18,30, il W. si era recato con i figli “non conviventi” “sull’uscio dell’abitazione della famiglia X.”, avvicinandosi alla Sig.ra … che ivi sostava, la quale li aveva avvertiti “circa la presenza del cane che si aggirava per l’abitazione e il giardino”, invitandoli ad allontanarsi, invito ribadito anche dalla Sig.ra …, affacciatasi da una delle finestre poste al piano superiore della sua abitazione;
che i bambini con il padre avevano, invece, tentato di avvicinare il cane;
che i bambini avevano ripetutamente chiamato l’animale, “nonostante gli avvertimenti delle … Galeazzi” di non chiamarlo e “tanto meno tentare di giocarci” ed erano rimasti innanzi all’uscio dell’abitazione Galeazzi;
che, in tale contesto, il cane, avvicinatosi, “con uno scatto improvviso da non permettere l’intervento delle persone presenti”, aveva aggredito la piccola Y.;
che, ciò stante, nessuna responsabilità poteva essere ascritta all’esponente, quale proprietario del cane, che “era contenuto all’interno del giardino in uso alla famiglia del convenuto, provvisto di idonea recinzione, in una situazione ben nota al W.”;
che, in ogni caso, le domande attrici dovevano essere contestate in punto di an, per quanto inerente ai danni asseritamente subiti dal W. e dalla J. e dal figlio K., e in punto di quantum, perché “infondate, non provate e comunque esagerate …”.
Il X. chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa sia “… Assicurazioni ….”, per essere manlevato da ogni richiesta risarcitoria, sia il W., “stante la comunanza di causa e le evidenti ragioni di connessione e affinché il giudizio” facesse “stato anche nei suoi confronti dello stesso ai fini dell’affermazione della sua responsabilità nell’incidente …”.
3. Costituitasi in giudizio a seguito della chiamata in causa, la Compagnia assicuratrice eccepiva, preliminarmente, l’inammissibilità della domanda attrice esperita nell’interesse dei minori per carenza (per le stesse ragioni già esposte da X.) di legittimazione attiva del W. e della YYYi e, nel merito, chiedeva la reiezione della domanda, dedottane l’infondatezza, dovendo l’occorso essere ascritto alla condotta del W..
4. Udito il W. in sede di interrogatorio formale, assunte deposizioni testimoniali, disposte c.t.u. medico-legali ed acquisiti i relativi elaborati, con sentenza del 4/8-17/10/2005, il Tribunale adito, disattesa la preliminare eccezione di carenza di legittimazione attiva proposta dal convenuto e dalla chiamata in causa, respingeva la domanda attrice e compensava le spese di lite, ponendo a carico degli attori le spese delle c.t.u.
5. Avverso tale pronuncia hanno proposto appello, chiedendone l’integrale riforma, il W. e la J., in proprio e nell’interesse dei figli minori, ribadendo nelle forme del gravame la domanda originariamente proposta.
Costituitisi in giudizio, sia il X. che il suo assicuratore hanno chiesto la reiezione del gravame, dedottane l’infondatezza in fatto e in diritto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo Giudice, dopo avere ritenuto che gli originari attori/odierni appellanti avessero compiutamente assolto all’onere probatorio loro incombente, avendo dato prova della sussistenza del danno e del suo collegamento causale con il comportamento dell’animale/con la condotta dell’originario convenuto/odierno appellato X., ha, peraltro, altresì ritenuto che quest’ultimo avesse fornito prova liberatoria, dimostrando l’intervento di un fattore estraneo ai suddetti comportamento/condotta, interruttivo del nesso causale, consistito nella “condotta altamente imprudente dell’attore W. …, genitore dei due minori …”.
1.1 A carico di quest’ultimo è stato annotato
che egli, conduttore di una unità immobiliare sita all’interno del giardino della villa abitata dal convenuto con la famiglia, villa ed unità circondate da una unica recinzione, aveva più volte visto il cane aggirarsi libero per il giardino e per la casa della famiglia X. (testi …); essendo, in ogni caso, “del tutto attendibile che, stante la recinzione, il cane fosse a volte lasciato libero di poter correre e girare nel giardino”;
che “il W. non abitava con i figli nella abitazione, ma i figli lo venivano, a volte, a visitare”;
che il X., “che non doveva ricevere alcuno e che non era certo a conoscenza della venuta e della presenza nel giardino di bambini, non aveva alcun obbligo di tenere chiuso nel box il pastore né di mettergli la museruola per farlo girare nel giardino”, obblighi che avrebbe avuto solo se fosse stato a conoscenza della presenza dei bambini nel giardino, “e ciò tanto più tenendo presente che i bambini, soprattutto di pochi anni, possono a volte infastidire con i loro comportamenti e grida l’animale non rendendosi conto che questo può avere delle reazioni aggressive, se infastidito, e ciò, soprattutto, quando si tratta di un cane della razza del cane in esame destinato alla guardia, di dimensioni non piccole”;
che, giusta le deposizioni testimoniali (…), fu il W., con i bambini, a presentarsi all’ingresso dell’abitazione del X. e, benché fosse stato avvisato che il cane si aggirava libero e fosse stato invitato ad allontanarsi, non aveva dato seguito a tali avvertimento ed invito, dicendo che i bambini volevano giocare con il cane;
che, giusta le deposizioni testimoniali, i bambini avevano, prima dell’occorso, ripetutamente chiamato, ed a gran voce, il cane.
Il primo Giudice ha, altresì, annotato che quanto riferito dalle testi (…) appariva credibile, “posto che i bambini hanno grande interesse per gli animali e non hanno paura degli stessi in quanto non in grado di sapere, per mancanza di conoscenza ed esperienza, che gli animali possono avere atteggiamenti e reazioni di aggressività, in specie se infastiditi dai richiami dei bambini”; dovendo, viceversa, negarsi credibilità all’assunto del W. in sede di risposta all’interrogatorio formale (“la parte, invero, in sede di interrogatorio, non ha l’obbligo di dire la verità, obbligo, invece, che hanno i testi che possono essere denunciati per falsa testimonianza, onde, in mancanza di elementi per ritenere che abbiano reso dichiarazioni false, le dichiarazioni dei testi hanno credibilità”), secondo cui che il cane aveva aggredito la piccola mentre la stessa era intenta a giocare davanti “alla sua abitazione” con il fratello e che i due bambini non avevano chiamato il cane.
Il primo Giudice ha, quindi, concluso affermando che “la responsabilità del W. è evidente posto che, essendo a conoscenza che il cane veniva, a volte, fatto circolare nel giardino, lo stesso, prima di lasciare i bambini nel giardino, si sarebbe dovuto accertare se il cane fosse o meno chiuso nel box. Ed invero, costituisce una enorme imprudenza lasciare dei bambini, da soli, in un giardino ove è possibile che circoli un cane di dimensioni non piccole e destinato, per la sua razza, alla guardia e, quindi, con istinti di aggressività maggiori rispetto a quelli di un cane di piccole dimensioni che vive al chiuso”.
2. Gli appellanti hanno mosso censura alla suddetta sentenza per una pluralità di profili, ed essenzialmente per avere ritenuto che X. avesse fornito prova del ricorrere, nella fattispecie, del “caso fortuito”, individuato nella colpevole condotta del X., pervenendo a tale
conclusione partendo “da presupposti del tutto errati e da una rappresentazione della realtà non corrispondente al vero”, vale a dire dando, erroneamente, per acquisito, sulla scorta di deposizioni testimoniali (quelle rese da …) non attendibili (“le medesime erano le custodi dell’animale e ne avevano il legittimo possesso … e, comunque, in assenza del sig. X., e, per tale motivo, esse stesse parti del processo perché responsabili della bestia in quanto custodi di essa … ”) o (quelle rese da …) non rilevanti (essendosi il teste limitato ad affermare di avere visto “altre volte il cane … che si aggirava per il giardino e la casa della famiglia X.” , ove si recava “quasi tutte le settimane”),
a) che “il W. non abitava con i figli nella abitazione ma i figli lo venivano, a volte, a visitare”;
b) che “il X. non doveva ricevere alcuno e non era certo a conoscenza della venuta e della presenza nel giardino dei bambini”;
c) che il W., con i figli, si era presentato all’ingresso dell’abitazione dei X. e, “benché fosse stato avvisato che il cane si aggirava libero ed invitato ad allontanarsi, non ebbe ad allontanarsi dicendo che i bambini volevano giocare con il cane”;
d) che i bambini avevano chiamato “ripetutamente e a gran voce, il cane”.
3. Appare opportuno, prima di dare corso all’esame del fatto, richiamare i principi vigenti in materia e le circostanze ormai definitivamente acquisite.
Ai sensi dell'art. 2052 c.c., "il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui l’ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito".
Tale disposizione collega la responsabilità ad un duplice presupposto: da un lato, la sussistenza di nesso causale tra il fatto dell'animale e l'evento dannoso; dall'altro, la mera sussistenza di un rapporto di proprietà o di autonoma utilizzazione da parte di soggetto diverso dal proprietario in capo alla persona chiamata a rispondere del suddetto evento, nell’un caso e nell’altro essendovi possibilità di “liberarsi” da responsabilità esclusivamente dando la prova del caso fortuito (si vedano, in tal senso, ex multis, Cass. 14 settembre 2000 n. 12161; Cass. 30 marzo 2001 n. 4742; Cass. 9 gennaio 2002 n. 200; Cass. 23 gennaio 2006 n. 1210).
3.1 Stante l’assenza di contestazioni sul punto (va ribadito che l’onere probatorio gravante sul W. e sulla J. risulta essere stato - come già annotato (paragrafo 1.1) - compiutamente assolto, nessun onere loro incombendo ai sensi dell’art. 2048 c.c., disposizione evocata dall’appellato, ma del tutto inconferente nella fattispecie, in cui non vengono in rilievo danni cagionati dal fatto illecito dei figli minori), deve ritenersi acclarato che i danni sofferti dalla piccola Y., nonché quelli subiti dal fratello K. e dai loro genitori sono riconducibili al comportamento dell’animale (nel “nostro” caso: l’aggressione nei confronti della piccola Y. descritta nella premessa di fatto; di nessun interesse, per il profilo in esame, palesandosi le modalità dell’occorso, se quelle narrate dagli originari attori o quelle narrate dall’originario convenuto - si veda, sulle rispettive versioni, il paragrafo 1.1), titolarità passiva nella vicenda competendo a X., incontestatamente proprietario dell’animale.
In altri termini, è da ritenere fuori di ogni questione (il relativo assunto non è stato in alcun modo contestato in questa fase) che in esito all’occorso la piccola Y. ebbe a subire lesioni personali e che tali lesioni siano state prodotte dall’animale.
Del pari, non essendo stati i relativi assunti in alcun modo contestati in questa fase, deve ritenersi fuori di ogni questione che in esito all’occorso il piccolo K., il W. e la J. abbiano subito danni (non patrimoniali il primo, non patrimoniali e patrimoniali il secondo e la terza).
3.2 Per sottrarsi alla responsabilità ex art. 2052 c.c. - la quale è presunta (presunzione iuris et de iure), e prescinde, pertanto, dalla sussistenza della colpa - l’originario convenuto/odierno appellato X. era tenuto a fornire la prova del “caso fortuito”; avrebbe, in altri termini, dovuto non già semplicemente fornire la prova negativa della sua assenza di colpa (essendo la responsabilità presunta fondata sul rapporto di fatto con l’animale), bensì fornire la prova positiva della causazione del danno ad opera di un evento fortuito, id est di un fattore esterno idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, provvisto dei caratteri della imprevedibilità, dell’inevitabilità e dell’assoluta eccezionalità, tale, in altri termini, da escludere ogni rilevanza causale del suo comportamento (si vedano, in tal senso, ex multis, Cass. 4 dicembre 1998 n. 12307; Cass. 14 settembre 2000 n. 12161; Cass. 30 marzo 2001 n. 4742; Cass. 9 gennaio 2002 n. 200; Cass. 19 marzo 2007 n. 6454).
3.2.1 Deve escludersi che la suddetta presunzione sia stata vinta.
Così come costantemente affermato dalla giurisprudenza, il caso fortuito può consistere anche nel fatto del terzo o nella colpa del danneggiato (si vedano, in tal senso, Cass. 22 febbraio 2000 n. 1971; Cass. 19 marzo 2007 n. 6454), ma l’uno o l’altra, per avere effetti liberatori, devono consistere in un comportamento cosciente e volontario che assorba l'intero rapporto causale, e cioè in una condotta che, esponendo il danneggiato al rischio, e rendendo questo per ciò stesso possibile in concreto, s'inserisca in detto rapporto con forza determinante.
Ciò deve essere escluso nel caso concreto.
3.2.1.1 In suo pro, X. adduce, essenzialmente, tre circostanze:
* il cane veniva, non infrequentemente, “ammesso”, dal box di custodia, a vagare nel giardino (è da ritenere acquisito che il giardino era comune alle abitazioni del X. e del W., parti di un unico complesso immobiliare) e nell’abitazione del X.;
* il W. era a conoscenza di tale circostanza;
* il W. ebbe a tenere, il giorno dell’occorso, comportamento rilevantemente imprudente - fatto da ritenere acquisito sia nell’ipotesi, rispondente a realtà, in cui la vicenda si fosse svolta secondo quanto riferito dalle testi … (W. rimasto insensibile agli avvertimenti ed agli inviti), sia qualora la vicenda si fosse svolta secondo quanto riferito dal W. stesso in risposta all’interrogatorio formale (“mi trovavo all’interno della mia casa di abitazione intento a preparare la cena per me e per i miei bambini, che si trovavano nel cortile davanti alla casa”), in tal caso dovendo addebitarsi al W. di aver “lasciato che i propri figli, di pochissimi anni e privi di qualsiasi capacità di discernimento, vagassero nel giardino …, pur essendo ben a conoscenza della presenza di un cane che a volte veniva lasciato libero … Tutto ciò in evidente violazione dei doveri di custodia delle persone incapaci a lui affidate” - comportamento assolutamente negligente (“per il quale” non era stata “fornita la prova liberatoria di cui all’art. 2048 c.c.”, tale da determinare l’interruzione di qualsiasi nesso causale.
Pur ammessa la veridicità di tutte tali circostanze, l’assunto del X. secondo cui le stesse avrebbero effetto “scriminante” in suo favore è da ritenere sprovvisto di pregio.
Così come sopra annotato, il “caso fortuito” si configura in caso di intervento di un fattore esterno idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, provvisto dei caratteri della imprevedibilità, dell’inevitabilità e dell’assoluta eccezionalità, caratteri che non si riesce a cogliere nella condotta del W., quand’anche i fatti si fossero svolti secondo la versione data dalle testi … , fatta propria dall’originario convenuto/odierno appellato.
Ed invero - ammessa la veridicità di tale versione dei fatti -, era, da parte di chiunque, da ritenere del tutto prevedibile che i bambini, così come annotato dallo stesso autore della sentenza gravata, potessero condursi nei confronti dell’animale in guisa da infastidirlo e da provocare reazione alla “molestia”, il che avrebbe dovuto indurre la teste …, anziché trattenere sull’uscio il W. e i suoi figli, e limitarsi a dare avvertimenti ed a porre divieti, a farli accedere all’abitazione od a richiamare il cane, munendolo di museruola o, meglio ancora, a reimmetterlo nella sua dimora.
Tutte tali omissioni vanno a far carico a X., sia in caso di sua assenza dai luoghi, giusta l’onere di lasciare disposizioni (osservanza di cautele etc.) al temporaneo custode dell’animale, persistendo la sua ingerenza nel governo dello stesso (si veda, in ordine a tale incombenza, Cass. 17 ottobre 2002 n. 1473), sia, tanto più, in caso di sua (peraltro non riferita) presenza sui luoghi stessi.
4. Ciò posto, deve escludersi che X. abbia assolto all’onere probatorio facentegli carico, non avendo fornito la prova positiva della causazione del danno ad opera di un evento fortuito giacché, quand’anche (in mera ipotesi) la versione dell’appellato fosse quella rappresentativa della realtà, non soltanto non potrebbe - contra le “bestiali” evidenze (“attestanti” che, nonostante gli competesse la concreta gestione del controllo dell’animale, egli non fu in grado di adempiere a tale obbligo) - affermarsi che l’eventuale condotta colposa del W. si sia inserita nel rapporto causale con forza tanto “determinante” da “assorbire” l’intero rapporto causale.
5. Per ciò che attiene all’entità e qualità dei danni sofferti da Y. e K. e dai loro genitori , non è stata ribadita da X. in questa sede alcuna delle contestazioni mosse nella sede di prima istanza in punto di an (per quanto inerente ai danni asseritamente sofferti dal W. e dalla J. e dal figlio K.) e in punto di quantum.
5.1 Per ciò che attiene a tali aspetti dei danni (entità e qualità), sia con riferimento alla vicenda della piccola Y. sia con riferimento alla vicenda del piccolo K., debbono “fare testo” le risultanze delle c.t.u. cui gli stessi sono stati sottoposti.
Ed invero, l’opera (elaborati scritti) del c.t.u. (il medesimo in entrambi i casi) si connota per linearità e per compiutezza e le valutazioni dallo stesso compiute si palesano dotate di adeguato supporto motivazionale e puntualmente rispondenti alle “pretese” normative, così da dover andare esenti da qualsiasi critica.
Le lesioni sofferte dalla piccola Y. risultano avere indotto malattia con inabilità temporanea totale assoluta per giorni 40 e con inabilità temporanea parziale per ulteriori giorni 30, residuando postumi invalidanti nella misura del 15%.
Le lesioni sofferte dal piccolo K. risultano avere indotto malattia con inabilità temporanea assoluta per giorni 20 e con inabilità temporanea parziale per ulteriori giorni 40, senza residuo di postumi invalidanti.
5.2 Ai fini della determinazione dell’ “entità” dei danni (non patrimoniali), occorre tenere nella dovuta considerazione i recenti “arresti” delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione in argomento (si vedano Cass. sez. un. 11 novembre 2008 n. 26972 e le sentenze gemelle in pari data).
Ivi sono stati affermati i seguenti principi:
* Il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, i quali si distinguono in due gruppi: le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (ad esempio, nel caso in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato) e quelle in cui la risarcibilità del danno stesso, pur non essendo espressamente e specificamente prevista da una norma di legge, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione.
* Quanto ai suoi contenuti, il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia ed onnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva.
* E’ pertanto scorretto e non conforme al dettato normativo pretendere di distinguere il cd. “danno morale soggettivo”, inteso quale sofferenza psichica transeunte, dagli altri danni non patrimoniali: la sofferenza morale non è che una dei molteplici aspetti di cui il giudice deve tenere conto nella liquidazione dell’unico e unitario danno non patrimoniale, e non un pregiudizio a sé stante.
* E’ parimenti scorretto e non conforme al dettato normativo pretendere di distinguere il cd. “danno esistenziale”, inteso quale la perdita del fare reddituale della persona. Una simile perdita, ove causata da un fatto illecito lesivo di un diritto della persona costituzionalmente garantito, costituisce né più né meno che un ordinario danno non patrimoniale, di per sé risarcibile ex art. 2059 c.c., e che non può essere liquidato separatamente sol perché diversamente denominato.
5.2.1 Stando alla nuova impostazione unitaria del danno non patrimoniale dettata dalle Sezioni Unite, nessuno spazio sembra essere riservato, sul piano liquidatorio alle voci di pregiudizio “degradate”.
Peraltro, tale “degradazione”, se ben si è inteso il senso dell’ “arresto”, rileva unicamente sul piano nominale.
E’ da ritenere, invero, dato certo ed inoppugnabile che ai fini liquidatori tutti i pregiudizi devono venire in rilievo, al fine di garantire il risarcimento integrale, essendo stato ribadito che il giudice deve “procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando anche le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza".
Se pure “la parte del leone” è riservata al danno biologico, al danno biologico stesso è attribuita la “capacità di ricomprendere (con il corredo di una contabilizzazione riferita alle pieghe ripercussionali concretamente determinatesi), il pregiudizio morale e quello esistenziale:
* il primo se ed in quanto venga allegato e riscontrato quale degenerazione patologica della sofferenza, ovverosia sofferenza di natura psichica;
* il secondo … andando a comporre e a riempire la casella del biologico dinamico. In altri termini; allorché l'evento lesivo produca conseguenze pregiudizievoli sia sull'integrità psico-fisica, sia ancora sulla sfera dinamica della persona, la voce di danno da liquidarsi sarà, pur sempre, quella biologica ma con una personalizzazione doverosa, tale da coprire entrambe le faglie sofferenziali (quella biologica statica e quella biologica dinamica, ovverosia esistenziale) (dottrina - n.d.e.)”.
I citati “arresti” giurisprudenziali non determinano, dunque, una deminutio di tutela, bensì una visione prospettica di questa diversa.
Al danno biologico va riconosciuta portata tendenzialmente onnicomprensiva, così come confermato, secondo le pronunce delle Sezioni Unite, dalla definizione normativa adottata dagli articoli 138 e 139 del d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 con riferimento ai danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, da estendere ai danni (meritevoli di tutela) derivanti da qualsiasi altra fonte.
Resta il problema di individuare i criteri risarcitori cui ancorare la liquidazione del danno non patrimoniale.
5.3 In ordine ai criteri di liquidazione del danno non patrimoniale, in giurisprudenza è stato costantemente affermato il principio che la stessa non possa essere compiuta se non con criteri equitativi (in quanto i danni in esame, privi delle caratteristiche della patrimonialità, non si prestano ad una precisa determinazione del loro ammontare mediante criteri obiettivi), tenendo, tuttavia, conto di tutte le particolarità e circostanze del caso concreto, in modo da garantire l’ “adeguatezza” del risarcimento alla fattispecie (si vedano, in tal senso, fra le più recenti pronunce ed ex multis, Cass. 12 maggio 2006 n. 11039; Cass. 25/08/2006 n. 18489; Cass. 11 gennaio 2007 n. 392; Cass. 29 marzo 2007 n. 7740).
In giurisprudenza è stato, inoltre, con altrettanta costanza, affermato, che, al fine di assicurare, quanto più possibile, uniformità di trattamento con riguardo a vicende della medesima natura e per evitare che la valutazione inevitabilmente equitativa del danno non patrimoniale venga ad assumere connotazioni ogni volta diverse ed imprevedibili, suscettibili di apparire arbitrarie, deve ritenersi “non improprio” liquidare le suddette specie di danno sulla base di parametri tendenzialmente uniformi, ricorrendo, per la determinazione dei relativi quanta, all’applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, quali le cosiddette “tabelle”.
Beninteso, ciò dovrà sempre avvenire al di fuori di ogni automatismo, dovendosi ognora “adeguare” il risultato dell’applicazione alla fattispecie, attuando una sorta di “personalizzazione” del danno, tenendo cioè conto delle peculiarità del caso concreto e della reale entità del danno, apportando, se del caso, correttivi in aumento o in diminuzione rispetto al quantum determinato con il metodo tabellare (si vedano, in tal senso, fra le più recenti pronunce ed ex multis, nonché quelle appena sopra citate, Cass. 3 agosto 2005 n. 16225; Cass. 12 luglio 2006 n. 15760; Sez. 3, Sentenza n. 18489 del 25/08/2006, Cass. 9 novembre 2006 n. 23918; Cass. 11 gennaio 2007 n. 392; Cass. Cass. 25 maggio 2007 n. 12247).
Si verte in una materia che non può tollerare differenziazioni di trattamento a seconda della collocazione geografica del danneggiato.
Di guisa che, fermi restando gli “adeguamenti” determinati dalle “peculiarità” del caso concreto, appare opportuno adottare, ai fini di “nostro” interesse, quale parametro base, le “tabelle” statisticamente maggiormente testate, vale a dire quelle del Tribunale di Milano.
D’altronde, tali “tabelle” sono quelle che sino ad oggi sono state normalmente applicate nel territorio di questo distretto.
5.4 E’ da ritenere acquisito - si veda l’affermazione fatta dal primo Giudice riportata nel paragrafo 1., non fatta oggetto di censura da parte di alcuno in questa fase - che sia stata data (dagli onerati W. e J.) prova certa e concreta del danno. Peraltro, in atti non si rinvengono elementi idonei a fornire i parametri plausibili di quantificazione; risultando, pertanto, consentito dare corso a liquidazione in via equitativa (si vedano, in ordine ai presupposti per fare ricorso a tale criterio di liquidazione, ex multis, Cass. 21 novembre 2006 n. 24680; Cass. 7 giugno 2007 n. 13288; Cass. 15 febbraio 2008 n. 3794).
5.4.1 Ponendo mente alla posizione della piccola Y., costei risulta avere sofferto, in ragione dell’occorso, “ferite lacero-contuse multiple al volto ed al cuoio capelluto con esiti cicatriziali inestetici da ripetuti morsi di cane; trauma contusivo all’ala sinistra del naso con frattura delle ossa proprie omolaterali e lieve stenosi respiratoria narinale residua; trauma psichico con disturbo post-traumatico dell’adattamento”; lesioni inducenti malattia di non parvo rilievo: “lenta risoluzione delle lesioni tegumentarie anche attraverso idonei trattamenti topici”, con “riduzione progressiva, ma non scomparsa, delle turbe psicologiche manifestatesi dopo il sinistro”, con “guarigione delle lesioni in circa 70 giorni” (invalidità temporanea assoluta stabilita in giorni 40, invalidità temporanea parziale in giorni 30). Quali postumi, è stato rilevato “danno estetico di discreto rilievo causato da cicatrici alla regione naso-geniena sinistra, al sopracciglio sinistro, alla regione zigomatica ed a quella retroauricolare sinistra ed al cuoio capelluto; disturbo post-traumatico dell’adattamento”, senza che sia “clinicamente prevedibile un miglioramento delle suddette sequele (a meno di un intervento di chirurgia estetica per la correzione delle cicatrici, senz’altro praticabile), né un loro aggravamento” (invalidità permanente determinata nella misura del 15%).
5.4.2 Ciò posto, il danno non patrimoniale “base” va determinato (con riferimento, quanto all’età della danneggiata, all’anno dell’occorso) secondo il calcolo che segue:
a) base del calcolo: “percentuale di invalidità” del “danneggiato” pari al 15%
b) valore del punto: Euro 2.313,10
c) valore del danno (prodotto della moltiplicazione fra il valore del punto e la “percentuale di invalidità”) : Euro 34.697,00
d) correttivo: coefficiente moltiplicatore (0,985, corrispondente all’età - anni 4 - del “danneggiato”)
e) moltiplicazione dei “fattori” sub c) e sub d) (Euro 34.697,00 per 0,985) = Euro 34.176,00 - entità del danno non patrimoniale “base”
5.4.3 Avendo riguardo al caso concreto, non vi è dubbio che si siano manifestate a carico di Y. le “due” specie (“gruppi”) di danno non patrimoniale risarcibile indicate dalle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione con le pronunce sopra ricordate, venendo in rilievo sia danno derivato da illecito di rilievo penale (lesioni colpose), sia danno derivato da grave vulnus inferto a diritti della persona costituzionalmente protetti.
E’ fuori di ogni dubbio - si veda la c.t.u. (che non merita, per quanto detto, censura, né è stata censurata) che la piccola Y. abbia sofferto malattia indotta dalle subite lesioni, subendo inabilità temporanea totale e parziale ed essendole derivati postumi permanenti.
Ed è, del pari, fuori di ogni dubbio che, in ragione dello stesso fatto, la piccola abbia subito sofferenza psichica (“turbe psicologiche”) di non parva entità.
Ed è, infine, fuori di ogni dubbio che, ancora in ragione di quel fatto, sia derivata significativa compromissione delle attività realizzatrici di Y., essendo stato seriamente “inciso” il sereno svolgimento della sua vita, allora e tuttora in divenire, tanto che - come annotato dal c.t.u. - a tre anni di distanza dall’accaduto era ancora presente “disturbo post-traumatico dell’adattamento” e che a carico della danneggiata, pur non essendo clinicamente prevedibile un aggravamento, neppure è prevedibile un miglioramento delle descritte sequele, pur data la praticabilità di intervento di chirurgia estetica per la correzione delle cicatrici (il cui felice esito potrebbe produrre positività su più piani, ma la cui effettuazione produrrà certamente ulteriore “sofferenza”).
Tutto questo posto, assunta a base l’entità determinata secondo il criterio “tabellare” (Euro 34.176,00) ed applicata, in forza delle considerazioni svolte, una maggiorazione del 60%, il quantum del danno non patrimoniale deve essere stabilito in Euro 55,000,00, somma attualizzata alla data di redazione della sentenza.
In favore di Y. deve essere anche liquidata somma a titolo di danno patrimoniale.
Il c.t.u. ha indicato quali spese mediche future quelle relative ad eventuale “trattamento di cicatricectomia per attenuare gli inestetismi conseguenti alle cicatrici residuate al volto ed allo scalpo”, stimando “congruo ed adeguato”, alla data del giugno 2004, il preventivo specialistico di Euro 4.750,00.
Trattasi, per il vero, di esborso soltanto ipotetico, ma, trattandosi dell’ “equivalente” della certa deminutio del “patrimonio” fisico della bimba, la suddetta somma deve essere senz’altro riconosciuta dovuta, attualizzata (alla data di redazione della sentenza) in Euro 5.750,00.
5.5 Per ciò che attiene al piccolo K., è stato diagnosticato un “trauma psichico con disturbo post-traumatico dell’adattamento”, con la precisazione di “riduzione progressiva sino a scomparsa (o a sovrapposizione con altri momenti causali “sopravvenuti ed esclusivi”), delle turbe psicologiche manifestatesi dopo il sinistro; guarigione delle lesioni in circa 60 giorni”, di cui giorni 20 si inabilità temporanea assoluta e giorni 40 di invalidità temporanea parziale.
In tal caso, la liquidazione del danno, significativo se pur non connotato da rilevante gravità, deve essere effettuata con valutazione equitativa pura.
Tenendo in conto la natura della malattia diagnosticata e la sua durata contenuta nel tempo, il quantum del danno non patrimoniale deve essere limitato a Euro 3.000,00, somma anche questa attualizzata alla data di redazione della sentenza
5.6 Per ciò che attiene al W. ed alla J., è fuori di dubbio, attesa la loro qualità genitoriale ed il diretto “vissuto” a seguito del fatto, che anch’essi abbiano subito danno in ragione dell’occorso, sia di natura non patrimoniale (sofferenza psichica di significativa entità), sia di natura patrimoniale, avendo compiuto esborsi in relazione all’accaduto, a titolo di compensi per relazioni specialistiche e c.t.p. [stando al c.t.u., “in atti risultano documenti fiscali per un importo complessivo di Euro 990,91 (circostanza incontestata, il che rende irrilevante il fatto che tali documenti non siano stati rinvenuti in atti in questa fase - n.d.e.) riferiti a prestazioni direttamente connesse con le conseguenze del sinistro”.
Il danno non patrimoniale, da calcolare - in assenza di riferimenti obiettivi diversi dalla gravità del danno sofferto da Y. e dalla significatività del danno sofferto da K. - con valutazione equitativa pura, deve essere determinato nella misura di Euro 7.500,00 per ciascun genitore, mentre il danno patrimoniale deve essere determinato in Euro 1.200,00, somme - entrambe - attualizzate alla data di redazione della sentenza.
6. Tutto questo posto, X. deve essere condannato al pagamento, in favore degli appellanti (in proprio e nella qualità), della complessiva somma di Euro 79.950,00, attualizzata alla data della sentenza, da maggiorare, nel seguito, dei soli interessi legali.
7. Le spese di lite di entrambi i gradi del giudizio debbono seguire la soccombenza e, in assenza di notula, verranno liquidate secondo i valori medi recati dalla tariffa.
8. La … Assicurazione … dovrà tenere indenne l’assicurato X. da qualsiasi onere.

P.Q.M.

La Corte di Appello,
definitivamente pronunciando nella causa come sopra promossa, così provvede:
In riforma della sentenza gravata,
condanna il Sig. X. al pagamento, in favore dei Sigg.ri W. e J., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sui figli minori Y. e K., della complessiva somma di Euro 79.950,00, ivi inclusi Euro 60.750,00 (Euro 55.000,00 danno non patrimoniale; Euro 5.750 danno patrimoniale) a titolo di risarcimento danni relativi a Y., Euro 3.000,00 (danno non patrimoniale) a titolo di risarcimento danni relativi a K., Euro 16.200,00 (Euro 7.500,00 ciascuno danno non patrimoniale; Euro 1.200,00 danno patrimoniale) a titolo di risarcimento danni relativi a W. e J.; con l’aggiunta del dovuto per interessi legali dalla data odierna al giorno del saldo;

condanna, inoltre, il Sig. X. alla refusione, in favore degli appellanti, delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio, che liquida, per il primo grado, in Euro 550,00 per spese, Euro 2.000,00 per diritti, Euro 5.000,00 per onorario e, per il secondo grado, in Euro 600,00 per spese, Euro 1.500,00 per diritti, Euro 5.000,00 per onorario; con l’aggiunta, in entrambi i casi, del dovuto per rimborso forfetario, I.V.A. e c.i.
Pone a carico del Sig. X. il costo delle c.t.u.
Dichiara .. Assicurazione … tenuta a tenere indenne da ogni onere il Sig. X..
Così deciso in Perugia il 24 novembre 2008.
Il Presidente est.
Dott. Sergio Matteini Chiari

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