ARCO IUS

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24/10/08

Giudice di Pace di Marigliano, sentenza del 24 ottobre 2008



Vacanza rovinata - Risarcimento danni

PRENOTAZIONE DI PACCHETTO TURISTICO SU SITO INTERNET – NEL VILLAGGIO PESSIME CONDIZIONI IGIENICHE – MALORI - ABBANDONO STRUTTURA TURISTICA – DOMANDA DI RISOLUZIONE DEL CONTRATTO PER GRAVE INADEMPIMENTO - RISARCIMENTO DANNI (DANNO PATRIMONIALE ED EXTRAPATRIMONIALE) - RESPONSABILITA’ DEL TOUR OPERATOR

UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI MARIGLIANO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Pace Avv. Giuseppe Esposito Alaia ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 2033/08 del Ruolo Generale, trattenuta in decisione all'udienza del 24.10.08 e vertente

TRA

Meviox, rappresentato e difeso in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione dall’avv. … ed elettivamente domiciliato, per questo atto, in … presso lo studio dell’Avv. … -attore-

CONTRO

KKKKK S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Milano, …., rappresentata e difesa dagli Avv.ti … e … ed elettivamente domiciliata presso il loro studio, in …, giusta procura in calce all’atto di citazione notificato –convenuta-

Oggetto: risarcimento danni da vacanza rovinata.
Con atto di citazione ritualmente notificato l’attore esponeva che, nel periodo dal 08.07.07 al 22.07.07, prenotava sul sito internet della convenuta società, un soggiorno per quattro persone con pensione completa a buffet ed acqua e vino ai pasti, presso il Villaggio XXXX sito nel Comune di Zzzz (CZ).
Parte attrice deduceva che, durante tale soggiorno turistico, accusava una serie di malori di tipo gastrointestinale, causati dalle pessime condizioni igienico-sanitarie della struttura sia ristorativa che ricettiva, tali da costringere la stessa a ricorrere all’intervento della locale guardia medica, oltrechè ad abbandonare la struttura turistica a causa della situazione di malessere psicofisico in cui versava; chiedeva, pertanto, che venisse condannata la convenuta società KKKKK S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., previa dichiarazione di risoluzione del contratto di viaggio per grave inadempimento della stessa, al risarcimento di tutti i danni da vacanza rovinata, patrimoniali e morali, subiti dall’istante da quantificarsi in corso di causa e nei limiti di € 2.500,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. Chiedeva, altresì, che la stessa fosse condannata al pagamento di spese e competenze di causa con attribuzione.
Si costituiva in giudizio a mezzo dei suoi procuratori, in sede di precisazione delle conclusioni e discussione della causa, la convenuta società eccependo l’improcedibilità, l’inammissibilità e l’improponibilità della domanda attorea.

CONCLUSIONI DELLE PARTI

Nel riportarsi a tutti i propri atti di causa, i procuratori delle parti concludevano così come da verbale di causa del 24.10.08.
Il Giudice, sulla base della documentazione prodotta nonché delle conclusioni sopra trascritte, assegnava la causa a sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, la domanda risulta proponibile ed ammissibile, sussistendo, nella fattispecie, i presupposti processuali e le condizioni dell’azione.
Non si controverte in merito alla legitimatio ad causam, resta, pertanto, superata la prova sulla legittimazione attiva e passiva così come dimostrano le ricevute di prenotazione e di pagamento in atti.
Nel merito la domanda è fondata, in quanto, occorre rilevare che l’organizzazione di viaggi e vacanze da parte di un tour operator è un tipo di rapporto atipico che ha però trovato ora una organica collocazione dapprima in sede comunitaria con la direttiva del Consiglio del 13 giugno del 1990 n. 90/314/Cee, concernente i viaggi, le vacanze e i circuiti “tutto compreso”, trasfusa poi in sede nazionale nel Dlgs 17 marzo 1995 n. 111. Naturalmente per far valere la responsabilità del tour operator occorre che il viaggio sia incasellato entro le strette e ben delimitate indicazioni recate dal Dlgs. 111/1995, ovvero le vacanze e i circuiti “tutto compreso” devono, innanzitutto risultare dalla prefissata combinazione di almeno due elementi: venduti ed offerti ad un prezzo forfettario, e di durata superiore alle ventiquattro ore, ovvero estendersi per un periodo di tempo comprendente almeno una notte: a) trasporto; b) alloggio; c) servizi turistici non accessori al trasporto o all’alloggio. A maggiore tutela del fruitore del servizio, il secondo comma dell’art. 2 del Dlgs 111/1995 precisa che la fatturazione separata degli elementi di uno stesso “pacchetto turistico” non sottrae l’organizzatore o il venditore agli obblighi del decreto. Ciò evidentemente ad evitare che col frazionamento della fatturazione si venga a camuffare l’unitarietà sostanziale del rapporto e a sottrarsi così alla responsabilità nei confronti del consumatore.
Ad abundantiam, va poi ribadito che, a norma del comma 1 dell’art. 14 del Dlgs. 111/1995, in caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico l’organizzatore ed il venditore sono tenuti al risarcimento del danno, secondo le rispettive responsabilità, se non provano che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a loro non imputabile. Pertanto, al consumatore basterà dimostrare il mancato o inesatto adempimento delle prestazioni concordate – oltre naturalmente la sussistenza del danno subito – mentre sarà il tour operator, per sfuggire alle proprie responsabilità, a dover fornire la prova dell’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Va, altresì incluso nella responsabilità dell’organizzatore e del venditore tutto quanto accaduto per fatti di prestatori di servizio di cui costoro si siano avvalsi, e comunque incombe ad essi la prova del carattere imprevedibile o inevitabile dell’evento, ovvero del caso fortuito o della forza maggiore che deve essere fornita da chi deduce il fatto che esimerebbe da responsabilità.
Ebbene, tali ultime argomentazioni hanno trovato pieno riscontro nella prova espletata.
Infatti la deposizione del teste di parte attrice è risultata attendibile. La teste escussa, la Sig.ra Tiziax, ha affermato che, in occasione di una visita al cognato nel villaggio turistico XXXX, constatava le condizioni igieniche e sanitarie disastrose, stante la presenza di “cibi adulterati sui banconi del self-service, nonché mosche ed insetti di vario genere che circolavano liberamente sulle pietanze”. Precisava, poi, che il cognato accusava dei malori di tipo gastrointestinale, tali da rendere necessario il trasporto alla locale guardia medica. La teste, inoltre, affermava che il cognato, unitamente ad altri vacanzieri, sporgevano denunzia presso la locale stazione dei carabinieri e che, poco dopo, lo stesso abbandonava la struttura turistica, sebbene prima della scadenza del soggiorno prenotato, per evitare ulteriori disagi per sè e per i suoi familiari.
Tali ultime risultanze processuali sono ulteriormente suffragate dalla denuncia sporta dai malcapitati vacanzieri, tra cui l’istante, presso la locale stazione dei Carabinieri, oltrechè dall’articolo del quotidiano “Catanzaro”da cui si evince anche l’intervento degli specialisti del Nucleo Anti Sofisticazioni.
In merito al riconoscimento dei danni patrimoniali e non patiti dall’istante, va rilevato che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, con sentenza del 12 marzo 2002, ha, nell’ottica di predisporre un pieno riconoscimento del danno patito dal consumatore in occasione di una vacanza rovinata, affermato che il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale, oltrechè patrimoniale, derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio turistico “tutto compreso”.
In ordine alla quantificazione del danno patrimoniale subito dall’istante risultano prodotte in atti ricevute pari ad € 1.767,00; per quanto riguarda il danno da vacanza rovinata, ovvero il danno extrapatrimoniale, alcuna giurisprudenza di merito ha ritenuto di poter estendere l’ulteriore tipologia di danno, denominato esistenziale o edonistico a traversie nelle quali viene comunque sacrificata una posizione soggettiva, uno status, senza danni economici concreti, ma con vivo disagio. Potrebbe essere appunto il caso della vacanza andata in fumo in conseguenza della mala gestio da parte del tour operator, cosicché le ferie da tempo sognate e pianificate si risolvono in inutili attese agli aeroporti e così via: quand’anche la parte strettamente economica venga regolata, resta il fatto che bisogna dare addio alle ferie non godute, o comunque malamente sfruttare. Si rileva che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, con sentenza del 12 marzo 2002, ha, nell’ottica di predisporre un pieno riconoscimento del danno patito dal consumatore in occasione di una vacanza rovinata, affermato che il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale, oltrechè patrimoniale, derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio turistico “tutto compreso”.
Poiché il secondo comma dell’art. 113 c.p.c. stabilisce che sono sottratte al giudizio di equità le cause derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 del c.c. , ossia mediante moduli o formulari: forma questa da seguire e comunque usuale per la conclusione del contratto avente ad oggetto “il pacchetto turistico”, questo Giudicante ritiene di quantificare il danno patrimoniale in € 1.767,00 e quello extrapatrimoniale in € 700,00 per un totale di € 2.467,00 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo.
Pertanto la convenuta va condannata al pagamento della somma complessiva di € 2.467,00 in favore dell'attore, oltre le spese di lite per il principio della soccombenza.

P.Q.M.

Il Giudice, definitivamente pronunciando sulla domanda di risarcimento danni da vacanza rovinata proposta da Meviox così provvede:
1 – dichiara la esclusiva responsabilità della convenuta società KKKKK S.p.A. nella causazione dei danni subiti dall’istante;
2 - dichiara la risoluzione del contratto di viaggio per grave inadempimento della convenuta società KKKKK S.p.A.
3 – per l’effetto, condanna la convenuta società KKKKK S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento in favore dell'attore della somma complessiva di € 2.467,00 per i danni patrimoniali e non sofferti dall'istante, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo;
3 – condanna la convenuta società KKKKK S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in complessive € 2.000,00, di cui € 400,00 per spese, € 600,00 per diritti, € 1.000,00 per onorari, oltre il 12,50% per le spese generali nonché I.V.A. e C.P.A come per legge, con distrazione alla procuratrice avv. … dichiaratasi anticipataria;
5 - dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva ex art. 282 c.p.c..
Così deciso in Marigliano, li 24.10.08
Il Giudice di Pace
Avv. Giuseppe Esposito Alaia

21/10/08

GdP Catanzaro, sent. 21.10.08

Giudice di Pace
Catanzaro
Sentenza 21 ottobre 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Pace di Catanzaro, dottor Francesco LECCE,
ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n° 2303/2008 R.G. promossa
DA
Nunnari Concetta, avvocato, rapp.ta e difesa da sé medesima ex art. 86 c.p.c., elett.te dom.ta presso il suo studio in Catanzaro al vico II c.so Mazzini, n° 2;

ATTRICE

CONTRO

Wind Telecomunicazioni S.p.A., in p. del l. rapp.te p.t., corrente in Roma, rapp.ta e difesa in virtù di procura a margine della comparsa difensiva dall’avv. Antonio Esposito del foro di Napoli, elett.te dom.ta presso lo studio dell’avv. Daniela Iannuzzi in Catanzaro alla via Milano n° 15/bis.

CONVENUTA

OGGETTO: risarcimento danni.
LE PARTI
hanno precisato le conclusioni all’udienza del 17.10.2008 che qui si abbiano per ripetute e trascritte.
IL FATTO
Con prosa di citazione, notificata con le rituali formule, Nunnari Concetta ha chiamato in giudizio l’antagonista come sopra affinché venisse condannata alla riparazione o sostituzione di un telefono cellulare precedentemente acquistato, causa una turbativa di natura meccanica che inibiva l’apertura e la chiusura dell’apparecchio. Ha chiesto, altresì, la condanna della Wind Telecomunicazioni S.p.A. (in prosieguo solo Wind per brevità) al pagamento di € 400,00, o ad altra ritenuta di Giustizia, a titolo di risarcimento danni patrimoniali e morali. Vittoria delle spese di lite. La Wind, costituitasi in giudizio, ha decisamente contestato gli avversi intendimenti poiché infondati in fatto ed in diritto. Preliminarmente ha spiegato: 1) l’incompetenza ratione loci di questo Ufficio in favore dello stesso Ufficio di Roma; 2) l’improponibilità e l’improcedibilità della domanda in mancanza del tentativo obbligatorio di conciliazione, giusta la delibera n° 182/02 Cons. dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; 3) la nullità del libello introduttivo ex art. 164 c.p.c., per carenza dei motivi ex art. 163 nn° 3-4 c.p.c. Consequenziali statuizioni in ordine alle spese di procedura. La natura della causa ha esatto una semplice istruzione per tabulas, senza ulteriori conforti di natura probatoria. Le parti hanno precisato le conclusioni all’udienza del 17.10.2008 e, nella circostanza, l’Ufficio ha trattenuto la causa in decisione.
LA MOTIVAZIONE
Vengono all’esame del Giudice le questioni preliminari rappresentate dalla convenuta Wind. Il decidente Ufficio è competente ratione loci a conoscere del caso de quo in quanto il contratto di telefonia mobile è stato stipulato per uso privato e non per uso affari. In proposito v. art. 21 D.P.R. n° 641/1972 e Risoluzione n° 44/E del 12.02.2008 dell’Agenzia delle Entrate dai quali emergono due differenti scaglioni della tassa di concessione governativa: € 5,16 per utenza residenziale ed € 12,91 per utenza affari. Tra l’altro nel caso de quo, la Wind applica in bolletta il primo scaglione riconoscendo così un servizio di telefonia mobile per uso privato (v. in proposito fattura Wind n° 2008T000936442 del 17.07.2008 prodotta agli atti dall’attrice). Trova così qui albergo l’applicazione dell’art. 63 D. Lgs. n° 206/2005 c.d. Codice del Consumo e non la norma generale di cui all’art 19 c.p.c., per come, invece, sostenuto dalla Wind nella propria letteratura difensiva. Ancora, appare estranea l’eccepita improcedibilità e/o inammissibilità della domanda per non aver esperito ella attrice il tentativo obbligatorio di conciliazione giusta la Delibera n° 182/02 Cons. dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, organismo istituito con L. n° 241/1997. L’attrice non lamenta vizi da imputare a servizi di telecomunicazione (promozioni, offerte, piano tariffario, servizi ADSL non richiesti ecc.), bensì rappresenta un difetto genetico di uno strumento di telefonia mobile con conseguente inibizione di un suo corretto utilizzo, per come dichiarato, tra l’altro, nelle schede di lavorazione dalla Phone Box S.r.L. corrente in Parma (v. in atti di parte attrice). Poiché il bene acquistato presenta un vizio sorto anche in seguito al momento della consegna, il consumatore acquirente ha titolo per rivolgersi direttamente al venditore per ottenere uno dei rimedi previsti dalla legge, in virtù delle garanzie legali di cui al D. Lgs. n° 206/2005 “Codice del Consumo” (artt. 128 e ss.). In ordine ad una eventuale nullità dell’atto di citazione ex art. 164 c.p.c., per carenza dei motivi ex art. 163 nn° 3-4 c.p.c., il Giudice osserva quanto segue: dall’intera letteratura di libello la vicenda viene descritta con sufficiente dettaglio e circa il petitum, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, non è necessario l’uso di formule sacramentali, essendo sufficiente che esso sia comunque individuabile attraverso un esame complessivo dell’atto introduttivo che compete al Giudice nell’interpretazione della domanda (in linea con Cass. nn° 3911/2001, 7448/2001 ed ex plurimis). In definitiva, esaminando partitamente le divergenti argomentazioni l’Ufficio non ravvisa la segnalata nullità della domanda (v. comparsa Wind). Prova ne è come la parte convenuta abbia disatteso energicamente le avverse ragioni con una copiosa letteratura di comparsa confermando a pieno la comprensione del contenuto dell’atto di citazione. Queste prassi generano nel Giudicante la convinzione che si turbi e si ritardi il corso della lite per mezzo di domande non utili e non pertinenti al fine primario della causa in corso. Tra l’altro nel procedimento innanzi al Giudice di Pace il contenuto della domanda è notevolmente semplificato (v. art. 318 c.p.c.) rispetto a quanto richiesto dall’art. 163 c.p.c. per la citazione da proporsi avanti il Tribunale. Nel merito la domanda è sufficientemente provata con la sola istruzione per tabulas e, pertanto, la Wind è tenuta a soddisfare le legittime pretese di libello ex artt. 130 e 132 del Codice del Consumo. Ne deriva come la domanda promossa da Nunnari Concetta sia meritevole di accoglimento con conseguente riconoscimento di risarcimento del solo danno patrimoniale, atteso come un telefono cellulare rivesta carattere indispensabile nell’odierna vita di relazione. Per quanto fin qui argomentato non vi è altro in atti in grado di contraddire una tale prospettazione maturata nel corso del giudizio. Circa il quantum richiesto, in atti non vi è prova di un esatto dato aritmetico e, di conseguenza, stante la difficoltà per questo Ufficio di quantificare i danni lamentati, si applica il criterio equitativo ex art. 1226 cod. civ. in virtù di quel potere riconosciuto al Giudice dall’art. 115 c.p.c., diversamente dal potere di decidere secondo equità ex art. 114 c.p.c. In altre parole, l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa ex art. 1226 cod. civ., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto, caratterizzato dalla c.d. equità giudiziale correttiva od integrativa (in linea con Cass. n° 16202/2002). Per l’effetto, la natura della vicenda consente all’Ufficio di ridimensionare la pretesa di libello, appalesandosi spropositata nel suo ammontare. I danni sono perciò quantificati come in dispositivo; concedibili interessi; le spese seguono la soccombenza.
IL DISPOSITIVO
Il Giudice di Pace di Catanzaro, definitivamente pronunciando nella controversia come in epigrafe così provvede: 1) Accoglie la domanda promossa da Nunnari Concetta nei confronti di Wind Telecomunicazioni S.p.A., in p. del l. rapp.te p.t., corrente in Roma; 2) Per l’effetto, ordina a Wind Telecomunicazioni S.p.A., in p. del l. rapp.te p.t., corrente in Roma la riparazione o sostituzione del telefono cellulare LG I – Mode LG 3431 I; 3) Condanna la società convenuta al pagamento della somma di € 200,00 in favore dell’attrice, a titolo di danno patrimoniale, oltre interessi; 4) Condanna la società convenuta al pagamento delle competenze di giudizio che liquida in € 300,00 di cui € 30,00 per esborsi, € 160,00 per diritti, e 110,00 per onorari, oltre alle dovute occorrende ope legis.
Così deciso in Catanzaro il 21.10.2008.
IL GIUDICE DI PACE
Dott. Francesco LECCE

Corte dei conti, sez. giurisdiz. Marche - sent. n. 380/08


SENT. N. 380/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE
PER LE MARCHE


nella persona del Giudice Unico nella materia pensionistica Cons. Giuseppe De Rosa ha pronunciato, nella pubblica udienza del 21 ottobre 2008 con l’assistenza del Segretario Dott.ssa Maria Pia Acquabona, la seguente


SENTENZA


sul ricorso iscritto al n. 20644/PC del registro di Segreteria presentato il 24 aprile 2008 dai Sig.ri:
...omissis.

tutti elettivamente domiciliati ad Ascoli Piceno in strada Provinciale Mezzina 043, Località Villa S. Antonio s.n.c., presso lo Studio dell’Avvocato Diego Silvestri dal quale sono rappresentati e difesi.
Nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione e dell’INPDAP, per il riconoscimento del diritto alla maggiorazione del 18% dell’ex voce retributiva “indennità integrativa speciale”.
UDITI, nella pubblica udienza del 21 ottobre 2008, l’Avvocato Diego Silvestri per i ricorrenti, il Funzionario Giovani Capomagi per l’Amministrazione scolastica e la Dott.ssa Angela Grosso per l’INPDAP.


FATTO


Con il ricorso all’esame, i ricorrenti - già dirigenti scolastici, cessati dal servizio dal 1° settembre 2002 al 1° settembre 2007 - impugnavano i propri provvedimenti di liquidazione dei trattamenti pensionistici nella parte in cui non veniva computata la maggiorazione del 18% prevista dall’articolo 15 della legge n. 177 del 1976 all’intera voce “stipendio tabellare”, comprensiva quindi della “ex voce retributiva indennità integrativa speciale (I.I.S.)”, come risultante dall’applicazione dei CC.NN.LL. area V Dirigenza scolastica del 1° marzo 2002 e dell’11 aprile 2006 (CC.NN.LL. allegati al ricorso).
Nella sede giurisdizionale si allegava e comprovava che:
- tutti i ricorrenti venivano collocati in pensione col sistema retributivo;
- il trattamento di quiescenza veniva determinato ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 503 del 1992;
- la c.d. quota A della pensione veniva calcolata senza la maggiorazione della quota relativa alla I.I.S. (rif.: note allegate dell’Amministrazione scolastica di risposta a quella cumulativa in data 7 gennaio 2008, con la quale gli interessati domandavano di conoscere natura e misura delle voci maggiorate del 18%), nonostante questa risultasse conglobata nello stipendio tabellare annuo lordo a decorrere dal 31 dicembre 2001 (rif.: articolo 40, comma 3, del CCNL 1° marzo 2002, Area V Dirigenza Scolastica).
Nel merito, la difesa dei ricorrenti sosteneva che dall’esame del combinato disposto degli articoli 37 e 40, comma 3, del CCNL del 1° marzo 2002 si evinceva chiaramente che a decorrere dal 31 dicembre 2001 lo stipendio annuo lordo era determinato in euro 36.151,98. Ciò per l’effetto: dell’incremento di cui all’articolo 40, comma 1; del conglobamento nella voce stipendio dell’importo di cui all’articolo 40, comma 2 nonché del conglobamento, sempre nello stipendio tabellare, dell’intero importo dell’indennità integrativa speciale.
Al riguardo si affermava che, a decorrere dalla predetta data, l’indennità integrativa speciale cessava di esistere come voce retributiva autonoma. Piena conferma di ciò, si sosteneva, poteva trarsi dal secondo contratto collettivo relativo alla dirigenza scolastica (CCNL relativo al periodo 2002-2005, sottoscritto l’11 aprile 2006 e con decorrenza giuridica ed economica 1° gennaio 2002), non elencante più l’I.I.S. tra le voci componenti la struttura della retribuzione dei Dirigenti scolastici.
Motivo della mancata maggiorazione del 18%, quindi, si affermava discendere dall’utilizzo d’un sistema informatico, da parte dell’INPDAP, non considerante la novità introdotta dai contratti collettivi (rif.: Informativa INPDP n. 21 del 14 aprile 2003: “(….). Dal punto di vista operativo si segnala in ogni caso che nel supporto magnetico del M.I.U.R. le voci che compongono lo stipendio tabellare sono indicate separatamente ed il pacchetto applicativo acquisisce tali dati con la medesima modalità (quindi con l’i.i.s. separata dalla voce stipendiale). Pertanto, la procedura S7 provvede a maggiorare automaticamente la base pensionabile escludendo l’indennità integrativa speciale”).
Al riguardo, si ribadiva che la materia del contendere non era l’I.I.S., né la maggiorazione del 18% di tale indennità, bensì il giusto diritto dei ricorrenti ad aver maggiorato del 18% l’intero stipendio tabellare, vale a dire “senza scorporazione dell’I.I.S.”.
Nel merito si annotava che l’articolo 40, comma 3, del CCNL del periodo 2002-2006, nel realizzare il conglobamento nella voce stipendio dell’importo dell’indennità integrativa speciale, non poneva alcuna limitazione circa la computabilità dell’indennità stessa ai fini della maggiorazione del 18% e, sul punto, si affermava che la ex voce I.I.S. doveva essere maggiorata in quanto giuridicamente ed economicamente “stipendio tabellare”.
In particolare, si sosteneva che la fattispecie andava riguardata prescindendo dalla normativa pensionistica in materia di I.I.S. (articolo 15 della legge n. 177 del 1976), dovendosi fare riferimento esclusivamente alle norme relative al trattamento economico, affidato alla contrattazione collettiva di comparto. Dal conglobamento, quindi, conseguiva che ogni qualsivoglia richiamo ai disposti degli articoli 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e 15 della legge n. 177 del 1976, in punto d’indennità ed emolumenti accessori, doveva valutarsi del tutto inconferente, poiché costringente l’interprete a ritenere l’I.I.S. una voce retributiva a sé stante e tuttora vigente, laddove una corretta interpretazione dei CC.NN.LL. portava ad affermare la “scomparsa giuridica” dell’I.I.S. medesima in quanto confluita, a tutti gli effetti, sia giuridici sia economici, nella voce “stipendio tabellare”.
A sostegno si richiamava:
- la deliberazione n. 2/2004/P del 26 febbraio 2004 resa, con riferimento ad altra disciplina contrattuale (CCNL Area I, Dirigenza comparto Ministeri, quadriennio 1998-2001 parte normativa e biennio economico 1998-1999), dalla Sezione centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, nel cui ambito la Sezione rilevava: “ … dalla lettura combinata dei commi 3 e 4 dell’articolo 38 CCNL 5 aprile 2001 non è dato ricavare che l’indennità integrativa speciale sia stata conglobata nello stipendio - la qualcosa avrebbe senz’altro reso riferibile all’emolumento l’aumento del 18% - bensì nel trattamento economico fondamentale, indistintamente considerato”;
- la deliberazione n. 6/2005/P della medesima Sezione centrale di controllo, che relativamente al decreto d’un altro Dirigente ministeriale (Dirigente di prima fascia del M.I.U.R.), ribadiva quanto già espresso nella precitata deliberazione n. 2 del 2004.
Si constatava dunque che, diversamente dai casi concreti esaminati dalla Sezione del controllo, ma nel senso dalla medesima precisato, dalla lettura combinata degli articoli 37 e 40 del CCNL del 1° marzo 2002 e degli articoli 52, 53 e 54 del CCNL dell’11 aprile 2006, per Area V della Dirigenza scolastica, risultava che il conglobamento dell’I.I.S., nello stipendio tabellare veniva invece attuato.
Ulteriormente, si annotava:
- dal 1° gennaio 2002 spariva dai cedolini stipendiali dei Dirigenti scolastici la voce I.I.S.;
- conseguentemente, venivano operate le ritenute in conto entrate Tesoro sull’importo maggiorato del 18% concernente l’intero stipendio tabellare dei medesimi, comprensivo dunque dell’ex I.I.S. .
Il ricorso concludeva per il riconoscimento dell’invocato diritto nonché per la condanna dei convenuti al pagamento dei ratei spettanti, maggiorati di interessi e rivalutazione come per legge, fino al soddisfo.
Con memoria depositata il 2 luglio 2008 si costituiva in giudizio l’Amministrazione scolastica allegando che l’INPDAP, con informativa n. 27 dell’11 marzo 2002, richiamava che per tutte le tipologie di collocamento a riposo del personale del comparto Scuola l’Istituto avrebbe provveduto sia alla determinazione dell’ammontare del trattamento di quiescenza che al relativo pagamento, sulla base del prospetto dati fornito dall’Ufficio scolastico provinciale competente, contenente le notizie fondamentali per la determinazione dell’importo della pensione e la documentazione prescritta. Nel predetto prospetto dati, gli elementi retributivi venivano espressi in dodici mensilità ed indicati senza alcuna maggiorazione.
Con nota in data 10 settembre 2008, quindi, l’Amministrazione scolastica depositava tutti i prospetti concernenti i ricorrenti.
Con memoria depositata il 7 ottobre 2008, la difesa dei ricorrenti richiamava le deliberazioni della Corte dei conti, Sezione di controllo, n. 2 del 2004 e n. 6 del 2005 ed al riguardo precisava:
- i CC.NN.LL. disponevano liberamente la struttura della retribuzione in forza dell’articolo 45 del decreto legislativo n. 165 del 2001;
- una volta individuate le voci della struttura retributiva, ciascuna di esse seguiva le disposizioni di legge sulla materia previdenziale e/o contributiva di riferimento, nel momento della collocazione in pensione del lavoratore;
- i ricorrenti domandavano la maggiorazione del 18% dello stipendio tabellare e non dell’I.I.S., voce conglobata non più esistente, sostanzialmente risultando dunque inconferente, sulla tematica, l’articolo 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973 disponente: “Agli stessi fini, nessun altro assegno o indennità, anche se pensionabile, possono essere considerati se la relativa disposizione di legge non ne preveda espressamente la valutazione nella base pensionabile”;
- la trasformazione dell’I.I.S. in stipendio, nella sostanza, trovava un precedente nel disposto dell’articolo 15 del d.P.R. n. 494 del 1987, mediante il quale una parte dell’indennità in argomento, lire 1.081.000=, veniva specificamente “conglobata”, ovvero trasformata in stipendio, senza sollevazione di qualsivoglia eccezione in merito alla valutazione ed alla conseguente attribuzione dell’incremento del 18% previsto dall’articolo 15 della legge n. 177 del 1976; ciò si sosteneva contraddire l’affermazione dell’INPDAP secondo cui “permane immodificabile la struttura della base pensionabile stabilita da specifiche disposizioni di legge anche qualora, in sede contrattuale, un emolumento venga conglobato in una diversa voce retributiva” (rif.: nota INPDAP 30 aprile 2004, 27, allegata al ricorso);
- forviante risultava il riferimento alla natura e provenienza degli emolumenti conglobati nello stipendio tabellare, poiché costringente l’interprete ad esaminare ogni singolo conglobamento deciso dalle parti; in base a questa verifica si sarebbe dovuta conservare “memoria storica” della provenienza di ogni singolo emolumento conglobato nello stipendio a far data dal 1976 (entrata in vigore della legge n. 177), fatto mai avvenuto in quanto decisiva al riguardo risultava unicamente la voce d’approdo dell’emolumento conglobato;
- ai sensi dell’articolo 40, comma 2, del CCNL Area V del 1° marzo 2002 veniva altresì conglobato nello stipendio l’importo di euro 1.105,22 proveniente dalla voce ex indennità di direzione, con contestuale riduzione in via permanente delle risorse previste dal successivo articolo 42 per la retribuzione di posizione e di risultato; ordunque, nonostante dette voci non risultassero maggiorabili in via autonoma, l’importo conglobato di euro 1.105,22 non soffriva della relativa provenienza, in quanto a tutti gli effetti ritenuto “stipendio” e, come tale, veniva incrementato del 18%;
- doveva escludersi ogni rilevanza delle pregresse disposizioni fondate sul presupposto dell’autonomia della voce retributiva conglobata, come chiarito da giurisprudenza del Giudice del lavoro, secondo il quale - per l’ex personale direttivo della scuola, inquadrato nella dirigenza scolastica - la I.I.S. non faceva più parte della struttura della retribuzione ed aveva perduto la sua originaria funzione previdenziale (di adeguamento del costo della vita) (rif.: Tribunale di Roma, 22 luglio 2008 n. 13424; all. n. 31 alla memoria);
- il Ministero della Pubblica Istruzione, con nota 30 giugno 2003 (all. n. 32 alla memoria), sosteneva che nei contratti concernenti l’Area della Dirigenza l’I.I.S. non veniva dichiarata pensionabile, bensì veniva assorbita nella voce “stipendio”, da ciò discendendo che il richiamo all’articolo 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973 risultava del tutto inconferente, laddove una corretta interpretazione degli Accordi doveva considerare l’I.I.S “scomparsa dal mondo giuridico per confluire nella voce stipendio”, con valutazione successiva ai fini pensionistici in termini di mera conseguenza obbligatoria e non già di risultato diretto concernente una diversa valutazione, ai fini pensionistici, dell’indennità medesima;
- la contrattazione collettiva costituiva “metodo di disciplina” del rapporto di pubblico impiego, devolvendosi alla medesima la competenza, anche particolare, di spostare risorse dal trattamento di posizione a quello tabellare, oppure di determinare nuovi livelli dello stipendio tabellare, anche tramite il conglobamento di voci retributive preesistenti (rif: Corte costituzionale n. 314 del 2003);
- ogni contratto collettivo rivestiva valenza giuridica propria (rif.: Cass. 5 maggio 2005, n. 9342): non risultava quindi applicabile analogicamente ai Dirigenti scolastici quanto preveduto in altro contratto collettivo; ciò si sosteneva con riferimento alla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 28 marzo 2003 riguardante il Contratto del personale non Dirigente del comparto Ministeri 1998-2001, secondo cui: “la quota di i.i.s. conglobata nello stipendio non modifica la base di calcolo ai fini della base pensionabile e dell’applicazione dell’articolo 2, comma 10, della legge n. 335 del 1995” (articolo 21, comma 3);
- la stessa deliberazione del Consiglio dei Ministri del 28 marzo 2003 confermava che, in mancanza di apposita clausola (segnatamente, quella inserita per volontà contrattuale nell’Accordo del personale non Dirigente del comparto Ministeri), il conglobamento dell’I.I.S. nello stipendio tabellare modificava la base di calcolo ai fini della base pensionabile;
- in sede di contrattazione collettiva, a seguito dell’attribuzione della qualifica dirigenziale ai Capi d’Istituto, le parti contraenti avevano voluto adeguare - per l’importo comune di euro 36.151,98 - lo stipendio tabellare della nuova Dirigenza scolastica a quello dei Dirigenti Ministeriali di seconda fascia dell’Area I, concorrendo pertanto l’I.I.S. a formare lo stipendio tabellare per la configurazione delle nuove funzioni dirigenziali: si trattava d’un nuovo ruolo, con nuove funzioni e responsabilità, cui doveva corrispondere un nuovo trattamento economico allo scopo di adeguare lo stipendio tabellare alla mutata qualifica professionale;
- nella riunione del 6 dicembre 2006 tra il M.P.I. e il Sindacato Associazione Nazionale Dirigenti e Alte professionalità della Scuola, l’Amministrazione produceva un nuovo prospetto per il trattamento di pensione individuante la struttura retributiva dei dirigenti, per le quote A e B, e nel quale rimaneva incongruamente l'evidenziazione dell'importo della indennità integrativa speciale fino al 31 dicembre 2005, mentre l'eliminazione della voce relativa all'I.I.S. e l'effettivo conglobamento della stessa nello stipendio venivano disposti solo a partire dall’11 aprile del 2006 (data di stipula del secondo CCNL); in detta riunione le OO.SS. dell'Area V domandavano all'Amministrazione di retrocedere l'applicazione di tale disposizione quanto meno al 1° gennaio 2002, data di decorrenza giuridica ed economica del nuovo CCNL siglato il 11 aprile 2006, considerato che, a partire dal 2002: nei cedolini stipendiali dei dirigenti spariva la voce I.I.S.; venivano operate le ritenute sul 118% dell'intero stipendio tabellare. Al riguardo le OO.SS. prospettavano le seguenti conseguenze: penalizzazione dei dirigenti collocati in pensione a partire dal 1° gennaio 2002 (anche il CCNL 1° marzo 2002, prevedeva il conglobamento dell'indennità integrativa e pertanto la disposizione andava applicata anche ai pensionati del 2002); penalizzazione dei dirigenti che si apprestavano ad andare in pensione relativamente al calcolo sia della quota A che della quota B. Inoltre, sempre per evitare penalizzazioni, secondo le OO.SS., occorreva individuare tutte le voci retributive (stipendio ed indennità) percepite prima dell'ingresso nella Dirigenza. L'Amministrazione si riservava di apportare le opportune correzioni e di discutere con le OO.SS. il nuovo modello prima di inoltrarlo all'INPDAP. Nella successiva riunione del 6 febbraio 2007, tuttavia, l’Amministrazione rimaneva ferma nella decisione che la scomparsa dell’I.I.S., come voce stipendiale a se stante, decorreva dall’11 aprile 2006, data di sottoscrizione del secondo CCNL. Quindi, solo da allora veniva riconosciuta la modifica la base pensionabile ai fini della maggiorazione del 18%. Al riguardo, la delegazione sindacale ribadiva che la decorrenza giuridica ed economica del secondo contratto era il 1° gennaio 2002, per cui almeno da tale data doveva essere presa in considerazione la nuova base pensionabile, fermo restando che già nel primo CCNL, con decorrenza 1° gennaio 2001, l’I.I.S. veniva conglobata nello stipendio tabellare. Tutto ciò si asseriva dimostrare che il Ministero della Pubblica Istruzione considerava indefettibile la posizione dell’ARAN e dell’INPDAP e pertanto assumeva - sul tavolo del confronto negoziale - un atteggiamento di apertura rispetto alle richieste delle parti sindacali che avevano sottoscritto gli Accordi;
- a seguito della conclusione dei contratti dell’Area V della Dirigenza scolastica in argomento - non oggetto di alcun rilievo da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della P.I. - tutti i Dirigenti regolarmente avevano versato e continuavano a versare le ritenute in conto entrate del Ministero del Tesoro sul 118% dell’intero stipendio tabellare, oramai conglobato e giuridicamente indistinto. Sul punto la memoria si soffermava con ampia e articolata dimostrazione, tesa a confutare quanto dall’INPDAP sostenuto nella Circolare n. 27 del 30 aprile 2004: “Si precisa che le norme contrattuali hanno modificato la struttura della retribuzione, senza peraltro prevedere, per i dirigenti ai quali si applica la normativa pensionistica in oggetto, alcuna quantificazione dei maggiori oneri connessi all’applicazione del 18% sull’incremento di stipendio derivante dal conglobamento dell’i.i.s.”;
- l’avvenuto versamento delle ritenute in conto entrate Tesoro denegava ogni rilievo alle norme sulle quali si fondava l’erroneo presupposto dell’autonomia della voce retributiva, in primis la legge n. 724 del 1994 che escludeva espressamente dalla retribuzione imponibile la I.I.S. (articolo 15, comma 1); per contro, si sosteneva, proprio la legge n. 724 del 1994 dimostrava il fondamento della pretesa dei ricorrenti in quanto, ai sensi dell’articolo 15, commi 1 e 3, lo stipendio tabellare (comprensivo della ex voce I.I.S.) risultava figurativamente aumentato della quota di maggiorazione del 18%.
La memoria dei ricorrenti, da ultimo, insisteva per l’accoglimento del ricorso e, in caso di contestazione su quanto allegato, si domandava la disposizione d’una ordinanza istruttoria al fine di richiedere al Ministero della Pubblica Istruzione, all’INPDAP e al Ministero dell’Economia e Finanze di chiarire, con dettagliata relazione, per ognuno dei ricorrenti: l’ultimo stipendio tabellare annuo percepito; la presenza o meno della voce I.I.S. nell’ultimo prospetto paga cedolino; il versamento delle ritenute in conto entrate Tesoro - a conguaglio di fine esercizio, a partire dall’anno 2002 - sulla maggiorazione del 18% dell’intero stipendio tabellare comprensivo dell’ammontare dell’i.i.s. ivi conglobata.
Con memoria depositata il 10 ottobre 2008 si costituiva in giudizio l’INPDAP, premettendo che - a seguito della richiesta cumulativa del 7 gennaio 2008 - l’Istituto rispondeva con comunicazioni individuali specificando che le singole voci concorrenti a determinare la retribuzione pensionabile, all’atto della cessazione del servizio, venivano individuate sulla base dell’articolo 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, come modificato dall’articolo 15 della legge n. 177 del 1976, nonché dalle circolari INPDAP n. 27 del 30 aprile 2004, n. 21 del 14 aprile 2003, n. 74 del 17 ottobre 2002 e della Deliberazioni della Corte dei conti n. 2/2004/P del 26 febbraio 2004. Per l’effetto, l’I.I.S., così come la retribuzione di posizione, concorrevano a formare la quota A di pensione ma non venivano maggiorate del 18%.
Nel merito l’INPDAP sosteneva che “Il C.C.N.L. quadriennio 1998/2001 del personale Dirigente Area I e del personale Area V della Dirigenza scolastica prevede un trattamento economico fisso annuo comprensivo, tra l’altro, dell’indennità integrativa speciale. Tali norme contrattuali, nel modificare la struttura della retribuzione, hanno previsto per i Dirigenti ai quali si applica la normativa pensionistica alcuna quantificazione dei maggiori oneri connessi all’applicazione del 18% sull’incremento dello stipendio derivante dal conglobamento dell’indennità integrativa speciale.”.
Inoltre, si osservava che ai sensi dell’articolo 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, come modificato dall’articolo 15 della legge n. 176 del 1977, ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza, la base pensionabile soggetta all’aumento del 18% veniva data dallo stipendio o dalla paga o retribuzione e dagli assegni o indennità tassativamente indicati dalla medesima disposizione di legge. Pertanto, dalla maggiorazione andavano esclusi tutti gli assegni o indennità ancorché qualificati come pensionabili, tutte le volte che la relativa disposizione di legge non ne prevedeva espressamente la valutazione nella base pensionabile aumentata del 18%.
Sul punto si rilevava che, secondo quanto prescritto dalla Circolare INPDAP n. 27 del 30 aprile 2004: “.. in ogni caso, le modifiche contrattuali non possono incidere sulle modalità di calcolo del trattamento pensionistico che restano, pertanto, disciplinate dalle disposizioni legislative vigenti”.
Inoltre, il Dipartimento della Funzione pubblica, con nota prot. n. 35051/04/7.515 del 7 aprile 2004, diramata d’intesa con il Ministero dell’Economia e Finanze ed il Ministero del Lavoro, aveva invitato l’Istituto ad attenersi alle indicazioni formulate dalla Corte dei conti con deliberazione n. 4 del 2004.
L’Istituto aveva quindi escluso la maggiorazione dell’I.I.S. in quanto la struttura della base pensionabile, stabilita dalle specifiche disposizioni di legge, permaneva immodificabile, anche quando in sede contrattuale un emolumento veniva conglobato in una diversa voce retributiva.
La memoria dell’INPDAP concludeva:
- in via principale e nel merito, per il rigetto del ricorso in quanto infondato;
- in denegato subordine, per la dichiarazione della prescrizione quinquennale e, in relazione alla corresponsione degli interessi, per l’applicazione delle leggi n. 412 del 1991 e n. 724 del 1994 nonché del decreto ministeriale n. 352 del 1998.
In ogni caso, tenuto indenne l’Istituto dalle spese del giudizio.
Nell’udienza del 21 ottobre 2008 l’Avvocato Silvestri osservava che la difesa dell’INPDAP poggiava sull’affermazione dell’esistenza dell’I.I.S. nonostante ormai conglobata nello stipendio tabellare. Al riguardo ribadiva che o doveva riconoscersi alle parti della contrattazione collettiva di poter stabilire la struttura della retribuzione dei dipendenti pubblici oppure tale possibilità doveva essere negata, tuttavia ciò contravvenendo all’articolo 1, comma 3 del decreto legislativo n. 165 del 2001 ed all’articolo 2 della legge n. 421 del 1992, in base ai quali la disciplina dei rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche risultava esclusivamente demandata alla contrattazione collettiva.
Quanto al “conglobamento”, si richiamava ulteriormente il precedente storico costituito dalla trasformazione in stipendio della quota di lire 1.081.000=, per evidenziare l’ininfluenza del dato di provenienza delle somme (nel caso, dall’I.I.S.) ed affermare l’assoggettibilità di quanto comunque conglobato ai fini della maggiorazione in argomento. Il legale concludeva insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Il rappresentante dell’Amministrazione scolastica, nel riconoscere che dopo una certa data veniva eliminata l’evidenziazione dell’I.I.S. sia dai cedolini stipendiali sia dai riepiloghi delle situazioni alla cessazione del servizio, domandava l’estromissione dell’Amministrazione dal giudizio sostenendo non residuare più alcuna competenza pensionistica in capo alla medesima.
La rappresentante dell’INPDAP, nel confermare la richiesta di del ricorso, affermava che la contrattazione collettiva non poteva modificare la disciplina pensionistica e che, in assenza di specifiche disposizioni legislative, le novità contrattuali non potevano assumere rilievo ai fini pensionistici.


DIRITTO


1. La controversia ha per oggetto la richiesta dei ricorrenti - ex Dirigenti scolastici cessati dal servizio dal 1° settembre 2002 al 1° settembre 2007 - tesa ad ottenere un più favorevole trattamento pensionistico per l’effetto dell’applicazione della maggiorazione del 18% sull’intero stipendio tabellare annuo lordo percepito in attività di servizio, comprensivo della ex voce “indennità integrativa speciale”.
Sostengono al riguardo la difesa dei pensionati, con articolate argomentazioni svolte sia in sede di ricorso che di memoria integrativa (estesamente riportate in FATTO), il diritto dei ricorrenti alla maggiorazione di che trattasi anche sulla “ex voce retributiva indennità integrativa speciale”.
Ciò in base alla constatazione della volontà manifestata dalle parti contraenti nell’ambito dei CC.NN.LL. dell’Area V della Dirigenza del 1° marzo 2002 e dell’11 aprile 2006, di adeguare lo stipendio tabellare della nuova Dirigenza scolastica a quello dei Dirigenti Ministeriali di seconda fascia - per l’importo comune di 36.151,98 euro - al riguardo configurandosi del tutto irrilevante la provenienza delle risorse utilizzate (altre indennità contestualmente soppresse: segnatamente l’indennità di direzione e l’indennità integrativa speciale ovvero finanziamenti provenienti dallo specifico fondo destinato alla copertura della retribuzione di posizione e di risultato), in quanto decisiva risultante, per la corretta soluzione della problematica, unicamente l’individuazione della voce di “approdo” dell’emolumento utilizzato: nel caso, lo stipendio tabellare.
Tanto motivatamente si è affermato, sulla base dell’approfondita disamina:
- dei CC.NN.LL. dell’Area V, relativi al biennio giuridico ed economico 2000-2001 ed al quadriennio normativo 2002-2005 altresì concernente il biennio economico 2002-2003, nonché di riconnesse vicende negoziali ancorché allo stato non formalizzate in accordo alcuno (incontri intervenuti tra il Ministero della Pubblica Istruzione e le OO.SS.);
- della disciplina di ulteriori CC.NN.LL. (segnatamente concernenti la Dirigenza del comparto dei Ministeri - c.d. Area I – quadriennio 1998-2001 e primo biennio economico 1998-1999 nonché il personale non Dirigente del medesimo comparto relativamente al quadriennio normativo 202-2005 e biennio economico 2002-2002);
- della normativa pensionistica, in particolare l’articolo 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, come modificato dall’articolo 15 della legge n. 177 del 1976, e l’articolo 15 della legge n. 724 del 1994;
- della giurisprudenza della Corte dei conti, con riferimento alle deliberazioni della Sezione centrale del controllo nn. 2/2004/P e 6/2005/P, aventi ad oggetto l’inquadramento pensionistico di ex Dirigenti dello Stato di prima fascia, riguardati dalla disciplina dettata dal precitato CCNL relativo al quadriennio 1998-2001 nonché al primo biennio economico 1998-1999;
- degli atti interni a diverso titolo emanati da Amministrazioni dello Stato, dall’ARAN e dall’INPDAP, concernenti direttamente od indirettamente la vexata questio dell’incremento del 18% dell’indennità integrativa speciale ai fini pensionistici.
L’Amministrazione scolastica, costituitasi nel giudizio, ha unicamente allegato di non essere più competente a disporre nella materia pensionistica, limitandosi meramente a compilare per l’INPDAP il prospetto - ivi esclusa ogni individuazione degli emolumenti da assoggettare o meno all’incremento del 18% in argomento - sulla cui base l’Istituto poi provvede alle pensioni.
L’INPDAP, da parte sua, ha denegato il fondamento del ricorso sostanzialmente affermando che:
- le discipline contrattuali dei Dirigenti dell’Area I e dell’Area V non avevano previsto la quantificazione dei maggiori oneri connessi all’applicazione del 18% sull’incremento dello stipendio derivante dal conglobamento dell’indennità integrativa speciale;
- ai sensi dell’articolo 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, come modificato dall’articolo 15 della legge n. 176 del 1977, venivano esclusi dalla maggiorazione tutti gli assegni o le indennità per i quali la legge non ne prevedeva espressamente l’incremento;
- ininfluenti si configuravano le modifiche contrattuali sulle modalità di calcolo del trattamento pensionistico che restavano, pertanto, disciplinate dalla legge.
2. Deve essere dapprima esaminata la domanda di estromissione dal giudizio formulata in udienza dall’Amministrazione scolastica.
Se nel corso di un processo il diritto controverso si trasferisce, il successore - ai sensi dell’articolo 111 del codice di procedura civile - può essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono (n.d.r.: secondo giurisprudenza anche tacitamente), l’alienante o il successore universale possono esserne estromessi.
Secondo consolidata giurisprudenza, la successione ex lege di un’Amministrazione ad un'altra integra una successione a titolo particolare (cfr. tra le altre, Cass. Sez. Tributaria 12 marzo 2008, n. 6591) e, nel caso di specie, tanto risulta integrato con il trasferimento della titolarità del rapporto pensionistico dall’Amministrazione scolastica all’INPDAP.
Tuttavia, quel che rileva in concreto è che il trasferimento di funzioni (risalente all’anno 2001) non è avvenuto nel corso del processo (ricorso introdotto nell’anno 2008), il che esclude di poter ritenere integrata la fattispecie prevista per l’estromissione dell’Amministrazione, ex articolo 111 del codice di procedura civile.
Peraltro, si osserva, il ricorso neppure è teso ad ottenere condanna alcuna del Ministero della Pubblica Istruzione, con ciò non ponendosi neanche un problema di legittimazione del medesimo, ma unicamente un’ipotesi di litisconsorzio necessario (nei confronti dell’Ente datore di lavoro) - da questo Giudice ritenuta sussistente - considerato che il fondamentale presupposto in fatto dell’odierna decisione è costituito dall’esatta determinazione dei contenuti d’una specifica disciplina di rapporti di lavoro.
3. Il ricorso appare fondato, per quanto di successiva motivazione.
3.1. Nei casi all’esame, i trattamenti pensionistici sono stati liquidati in base al sistema retributivo che, a mente dell’articolo 1, comma 13, della legge n. 335 del 1995, viene applicato in modo integrale a coloro che, come i ricorrenti, alla data del 1° gennaio 1996 possedevano un’anzianità contributiva non inferiore ai diciotto anni.
Come è noto, ai fini del predetto calcolo vanno considerati innanzitutto l’articolo 13 del decreto legislativo n. 503 del 1992 e l’articolo 2, comma 9, della legge n. 335 del 1995, secondo i quali la pensione risulta costituita dalla somma di due quote (la c.d. quota A e la c.d. quota B).
La quota A è calcolata con riferimento alla retribuzione spettante all’atto del collocamento a riposo ed all’anzianità maturata al 31 dicembre 1992 e viene determinata applicando l’aliquota corrispondente all’anzianità maturata a quella data (articoli 43 e 44 del d.P.R. n. 1092 del 1973, relativamente all’ex personale dipendente dell’Amministrazione dello Stato) alla retribuzione goduta dal dipendente alla cessazione (maggiorata del 18% ai sensi dell’articolo 15 della legge n. 177 del 1976).
La quota B è determinata sulla base della media retributiva dei restanti anni di servizio, alla quale viene applicata la differenza tra l’aliquota corrispondente all’anzianità totale e quella utilizzata per il calcolo della quota A.
La c.d. quota A di pensione è disciplinata dall’articolo 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, come sostituito dall’articolo 15 della legge n. 177 del 1976, il quale, per quanto all’esame maggiormente in evidenza, dispone:
- “Ai fini della determinazione del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili, la base pensionabile, costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga o retribuzione e dagli assegni o indennità pensionabili sotto indicati, integralmente percepiti, è aumentata del 18%. (…..). Agli stessi fini, nessun altro assegno o indennità, anche se pensionabile possono essere considerati se la relativa disposizione di legge non ne preveda espressamente la valutazione nella base pensionabile.”.
Al riguardo, la consolidata giurisprudenza di questa Corte dei conti ha sempre distinto, in punto di applicazione della maggiorazione di che trattasi, tra “trattamento stipendiale”, come tale assoggettabile all’incremento del 18%, e le “ulteriori voci retributive” non computabili a fini di maggiorazione se non nei casi espressamente preveduti dalla legge (ancorché concernenti voci pensionabili, pertanto valutabili ai fini pensionistici nella c.d. quota A di pensione).
Sulla base del carattere di specialità degli ordinamenti pensionistici, è stata quindi costantemente sostenuta l’infondatezza della tesi individuante nella fonte contrattuale disciplinante il rapporto di pubblico impiego - e non nella normativa pensionistica - il parametro sulla cui base classificare ai fini previdenziali un dato emolumento retributivo (recte: elemento retributivo non stipendiale).
A detto criterio chiarisce questo Giudice di doversi attenere, pur pervenendo a soluzione diversa da quella accolta dalla prevalente giurisprudenza pensionistica formatasi sull’identica questione oggi all’esame.
3.2. Tanto premesso, sostiene la difesa dei ricorrenti che, nei casi di specie, non si verte in tema di maggiorazione dell’indennità integrativa speciale (come invece sostanzialmente ritenuto, ad avviso di questo Giudicante, in numerose sentenze: cfr., tra le altre, Corte dei conti, Sezione Campania 13 luglio 2007, n. 1739 e Sezione Friuli Venezia Giulia 2 luglio 2008, n. 309), ma di esatta determinazione dello stipendio tabellare da assoggettare alle modalità di computo previste dall’articolo 43, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 1973.
Sul punto va innanzitutto riscontrato che, inequivocabilmente, ai sensi dei CC.NN.LL. dell’Area V, precitati:
- alla data del 31 dicembre 2001, lo stipendio tabellare annuo lordo dei dirigenti scolastici ammontava ad euro 36.151,98, ivi inclusa la ex voce retributiva “indennità integrativa speciale” (stipendio a regime; cfr. l’articolo 40, comma 3, e la tabella B, del CCNL firmato il 1° marzo 2002, relativo al biennio, normativo ed economico, 2000-2001);
- alla data del 31 dicembre 2003, lo stipendio tabellare annuo lordo dei dirigenti scolatici ammontava ad euro 38.296,98 (stipendio a regime; cfr. l’articolo 53 del CCNL firmato l’11 aprile 2006, relativo al biennio economico 2002-2003), importo esattamente pari alla sommatoria degli incrementi del periodo (euro 86,00 x 13 mensilità = euro 1.118,00 ed euro 79,00 X 13 mensilità = euro 1.027,00) e dello stipendio tabellare del periodo precedente (euro 36.151,98, ivi inclusa la ex voce “indennità integrativa speciale”).
Deve dunque prendersi atto, come del resto riconosciuto anche dall’Amministrazione scolastica (n.d.r.: ancorché dalla data di stipula del secondo CCNL; cfr. quanto riportato in FATTO), che nello stipendio tabellare annuo lordo dei Dirigenti scolastici - a far data 31 dicembre 2001 (ai sensi degli articoli 40, comma 3, del CCNL Area V, biennio normativo ed economico 2000-2001, e 52 del CCNL Area V, quadriennio 2002-2005 e biennio economico 2002-2003) - è confluita, espressamente ed in via del tutto indistinta, l’indennità integrativa speciale.
Sotto il profilo pensionistico, sostiene quindi la difesa dei ricorrenti che, ai sensi dell’articolo 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, l’I.I.S. non rileverebbe più come autonoma voce retributiva, in quanto tale precedentemente valutata “indennità” a sé stante (articolo 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, ultimo comma).
3.3. Le argomentazioni formulate a sostegno della tesi, ad avviso di questo Giudice, si appalesano congrue ed esaustive, considerato che:
- indubitabile risulta la legittimazione a stabilire la struttura delle retribuzioni dei dipendenti pubblici, di valenza primaria, devoluta alle parti contraenti (decreto legislativo n. 165 del 2001 e articolo 2 legge n. 421 del 1992; cfr. Corte cost. sentenza n. 314 del 2003);
- del tutto privo di rilievo giuridico, ai fini delle determinazioni pensionistiche, assume il dato della provenienza delle somme poi conglobate nello stipendio tabellare (se da specifiche indennità o meno), non potendosi ammettere la sostanziale disapplicazione di regolamentazioni normative del tutto vincolanti sul piano degli effetti; a conferma di ciò, si constata, nessun problema di maggiorazione hanno mai originato né il conglobamento negli stipendi dei dipendenti pubblici di quota parte dell’I.I.S. ex articolo 15 del d.P.R. n. 494 del 1987 (lire 1.081.000=), né gli specifici conglobamenti di altre somme negli stipendi dei Dirigenti scolastici, previsti dall’articolo 40, commi 1 e 2, del CCNL Area V biennio normativo ed economico 2000-2001 (indennità di direzione e somme provenienti dal fondo per la retribuzione di posizione e di risultato);
- l’applicazione della normativa pensionistica (articolo 43, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 1973) al nuovo stipendio tabellare, assume rilievo in termini di “mera” conseguenza, con specifico riferimento al dato che il conglobamento è espressamente avvenuto nella voce “stipendio”, senza eccezione o riserva alcuna (cfr. nota 30 giugno 2003 del Ministero della Pubblica Istruzione, allegato n. 32 alla memoria integrativa dei ricorrenti, nonché le pari affermazioni di principio contenute nelle deliberazioni della Corte dei conti, Sezione centrale del controllo, n. 4 del 2004 e n. 6 del 2005).
Da tutto quanto esposto - trasformazione in “stipendio tabellare” della pregressa voce “indennità integrativa speciale” - discende inoltre l’irrilevanza, ai fini del decidere, dell’articolo 15, commi 1 e 3, della legge n. 724 del 1994 (concernente il conglobamento dell’indennità integrativa speciale nel trattamento pensionistico base, e la relativa esclusione dall’onere contributivo previsto per le voci della base pensionabile assoggettate all’incremento del 18%), nel senso dall’INPDAP prospettato.
Al riguardo, questo Giudice condivide pienamente le seguenti considerazioni già svolte in altra decisione: “la predetta disposizione è da riferire unicamente ai casi in cui l’indennità ha conservato una propria autonomia; nella specie, al contrario, la stessa ha perduto la sua connotazione originaria ed è confluita nella voce stipendio, da cui può essere distinta solo tramite operazioni di scorporo che non appaiono fondate sulla vigente normativa, spettando alla contrattazione collettiva la determinazione dei livelli stipendiali, ai sensi dell’articolo 45, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” (Corte dei conti, Sezione Liguria 3 ottobre 2007, n. 771).
Ulteriormente deve annotarsi:
- quanto alle vicende strettamente afferenti la specifica contrattazione collettiva, che la statuizione dell’elevazione dello stipendio tabellare dei Dirigenti scolastici sino ad euro 36.151,98 (CCNL Area V biennio 2000-2001) - importo esattamente pari allo stipendio tabellare a regime dei Dirigenti di seconda fascia del comparto “Ministeri” (lire 70.000.000 = euro 36.151,98, ex CCNL Area I biennio economico 2000-2001 firmato il 5 aprile 2004; cfr. anche l’articolo 52, comma 2, del CCNL Area I firmato il 21 aprile 2006) - è sorretta da un’evidente finalità di adeguamento dello stipendio tabellare dei Dirigenti scolastici al trattamento stipendiale dei Dirigenti di seconda fascia del comparto “Ministeri” - per i quali, oltretutto, l’indennità integrativa speciale risultava attribuita “non conglobata” (cfr. l’articolo 37, comma 2, lett. b) del CCNL firmato il 5 aprile 2001 concernente il quadriennio 1998-2001 e il primo biennio economico 1998-2001) - assolutamente razionale, coerente e giustificata;
- la scomparsa della voce “indennità integrativa speciale”, che ha concorso a formare lo stipendio tabellare per la configurazione delle nuove funzioni dell’ex personale direttivo della Scuola - per l’effetto dei CC.NN.LL. dell’Area V in argomento - con conseguente perdita della sua originaria funzione previdenziale di adeguamento della retribuzione al costo della vita, risulta essere stata già affermata nel competente ambito giurisdizionale (rif.: Tribunale di Roma, sentenza 22 luglio 2008, n. 13424; all. n. 31 alla memoria integrativa di parte ricorrente);
- le deliberazioni adottate dalla Corte dei conti in sede di controllo, richiamate sia dalla parte ricorrente sia dall’INPDAP, hanno riguardato ex Dirigenti ministeriali di prima fascia (e non Dirigenti scolastici, come detto economicamente “allineati” ai Dirigenti ministeriali di seconda fascia), con riferimento ai quali i Collegi hanno fondamentalmente sostenuto che la formulazione letterale dei commi 3 e 4 dell’articolo 38 del CCNL Area I, firmato il 5 aprile 2001, non consentiva (n.d.r.: diversamente da quanto risultante dai CC.NN.LL. dell’Area V, sopra evidenziati) di sostenere l’avvenuto conglobamento dell’indennità integrativa speciale in una specifica componente della base pensionabile (n.d.r.: nel caso all’esame lo “stipendio tabellare”), suscettibile di maggiorazione ex articolo 15 della legge n. 177 del 1976 (Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delibere nn. 2/2004/P e 6/2005/P);
- l’autonomia riconosciuta alle parti contrattuali nella stipulazione dei singoli CC.NN.LL. (cfr., tra le altre, Cass. 5 maggio 2005, n. 9342 e Tribunale di Roma sentenza n. 13424/08 precit.) inibisce anche al Giudice delle pensioni la considerazione di discipline, diverse, non espressamente concernenti la tipologia di personale all’esame (cfr. sulla materia della maggiorazione dell’I.I.S. - oltre alle fattispecie ad oggetto delle precitate deliberazioni della Sezione centrale del controllo della Corte dei conti - l’articolo 21, comma 3, del CCNL relativo ai dipendenti non Dirigenti del comparto Ministeri, relativo al quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003, nonché l’articolo 76, comma 3, del CCNL relativo al personale docente e non docente del comparto Scuola, relativo al quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003);
- sulla base della specifica disciplina contrattuale concernente i Dirigenti scolastici in argomento nonché dell’articolo 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, non troverebbe giustificazione nel contesto normativo di riferimento la tesi secondo cui “la i.i.s. pur essendo confluita nel minimo contrattuale, costituisce un valore fisso (come un assegno ad personam) non soggetto a rivalutazioni o incrementi previsti per le voci variabili della retribuzione” (Corte conti, Sezione Liguria 1° settembre 2008, n. 473).
3.4. Da ultimo, questo Giudice prende atto delle dimostrazioni fornite dalla difesa dei ricorrenti - del tutto plausibili e dall’INPDAP non confutate - relative all’asserito assolvimento, da parte dei medesimi, dell’obbligo di contribuzione previsto dall’articolo 15, comma 1, della legge n. 724 del 1994 altresì sulla ex voce “indennità integrativa speciale”, in quanto attuato a conguaglio, dall’anno 2002, con riferimento all’addebito dell’incremento figurativo del 18% alla ex voce I.I.S. (cfr. gli allegati n. 38 e n. 39 alla memoria integrativa).
Ciò nonostante si giudica che nessuna istruttoria si rende necessaria al fine della verifica del rispetto dell’onere in argomento, conseguendo dalla pronuncia favorevole sul ricorso l’obbligo, eventualmente non già assolto, di regolarizzazione delle singole posizioni contributive.
E’ appena il caso di annotare che, in fattispecie, del tutto non persuasiva si prospetta l’osservazione dell’INPDAP secondo cui le norme contrattuali - a seguito del conglobamento della I.I.S. nello stipendio - non avrebbero previsto la maggiorazione degli oneri del 18%, ciò discendendo direttamente dalla legge pensionistica; del resto, si osserva, non vi è motivo per ritenere che la norma non sia stata attuata con riferimento al conglobamento degli ulteriori importi nello stipendio tabellare dei Dirigenti scolastici, ex articolo 40, commi 1 e 2, del CCNL Area V, biennio normativo ed economico 2000-2001.
4. Per tutto quanto sopra esposto, precisato e motivato, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, va riconosciuto in favore dei ricorrenti - Dirigenti scolastici cessati dal servizio dal 1°settembre 2002 al 1° settembre 2007 - il diritto alla riliquidazione dei rispettivi trattamenti pensionistici previa valorizzazione, nel calcolo della quota A delle pensioni, della maggiorazione del 18% su tutto l’importo dello stipendio tabellare.
In termini di applicazione del beneficio pensionistico nei confronti della specifica categoria di personale si osserva che, ai sensi dell’articolo 40, comma 3, del CCNL biennio normativo ed economico 2000-2001, il conglobamento dell’I.I.S. nello stipendio tabellare è stato dalle parti contraenti concordato con decorrenza 31 dicembre 2001.
Ne consegue che, ai fini pensionistici, risulta aver maturato il diritto alla maggiorazione del 18% in argomento il personale dirigenziale in servizio alla predetta data, non giustificandosi per l’effetto quella diversa (di stipula del secondo CCNL), dall’Amministrazione scolastica presa in considerazione (cfr. quanto riportato in FATTO).
5. Ai sensi dell’articolo 429, comma 3, del codice di procedura civile spetta ai ricorrenti - nei termini fondamentalmente chiariti dalle Sezioni Riunite di questa Corte con sentenza 18 ottobre 2002, n. 10/QM/2002 - il diritto al c.d. “maggior importo” tra le percentuali degli interessi e della rivalutazione, secondo gli indici ISTAT ex articolo 150 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, rilevati anno per anno, da applicarsi sulle somme dovute alle scadenze normativamente previste ed a decorrere da ciascun rateo.
6. In ragione della complessità delle disaminate questioni e degli indirizzi giurisprudenziali allo stato prevalenti, sussistono giustificati motivi per compensare le spese del giudizio.


PER QUESTI MOTIVI


la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per le Marche con sede ad Ancona, in sede monocratica, definitivamente pronunciando nel merito ACCOGLIE il ricorso iscritto al numero n. 20644/PC del Registro di Segreteria e, per l’effetto, dichiara in favore dei ricorrenti il diritto alla riliquidazione dei trattamenti pensionistici sul computo della maggiorazione del 18%, ex articolo 15 della legge n. 177 del 1976, a valere sugli interi stipendi tabellari già in godimento, comprensivi della ex voce retributiva “indennità integrativa speciale”.
Spettano gli interessi e la rivalutazione monetaria come in motivazione determinati.
Spese compensate.
Così deciso ad Ancona, nella Camera di Consiglio del giorno 21 ottobre 2008.

IL GIUDICE UNICO



PUBBLICATA IL 03/11/2008

G d P Catanzaro, sent. 21.10.08

Giudice di Pace di Catanzaro
Sentenza 21 ottobre 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Pace di Catanzaro, dottor Francesco LECCE,
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n° 2303/2008 R.G. promossa
DA
Nunnari Concetta, avvocato, rapp.ta e difesa da sé medesima ex art. 86 c.p.c., elett.te dom.ta presso il suo studio in Catanzaro al vico II c.so Mazzini, n° 2;
ATTRICE
CONTRO
Wind Telecomunicazioni S.p.A., in p. del l. rapp.te p.t., corrente in Roma, rapp.ta e difesa in virtù di procura a margine della comparsa difensiva dall’avv. Antonio Esposito del foro di Napoli, elett.te dom.ta presso lo studio dell’avv. Daniela Iannuzzi in Catanzaro alla via Milano n° 15/bis.
CONVENUTA
OGGETTO: risarcimento danni.
LE PARTI
hanno precisato le conclusioni all’udienza del 17.10.2008 che qui si abbiano per ripetute e trascritte.
IL FATTO
Con prosa di citazione, notificata con le rituali formule, Nunnari Concetta ha chiamato in giudizio l’antagonista come sopra affinché venisse condannata alla riparazione o sostituzione di un telefono cellulare precedentemente acquistato, causa una turbativa di natura meccanica che inibiva l’apertura e la chiusura dell’apparecchio. Ha chiesto, altresì, la condanna della Wind Telecomunicazioni S.p.A. (in prosieguo solo Wind per brevità) al pagamento di € 400,00, o ad altra ritenuta di Giustizia, a titolo di risarcimento danni patrimoniali e morali. Vittoria delle spese di lite. La Wind, costituitasi in giudizio, ha decisamente contestato gli avversi intendimenti poiché infondati in fatto ed in diritto. Preliminarmente ha spiegato: 1) l’incompetenza ratione loci di questo Ufficio in favore dello stesso Ufficio di Roma; 2) l’improponibilità e l’improcedibilità della domanda in mancanza del tentativo obbligatorio di conciliazione, giusta la delibera n° 182/02 Cons. dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; 3) la nullità del libello introduttivo ex art. 164 c.p.c., per carenza dei motivi ex art. 163 nn° 3-4 c.p.c. Consequenziali statuizioni in ordine alle spese di procedura. La natura della causa ha esatto una semplice istruzione per tabulas, senza ulteriori conforti di natura probatoria. Le parti hanno precisato le conclusioni all’udienza del 17.10.2008 e, nella circostanza, l’Ufficio ha trattenuto la causa in decisione.
LA MOTIVAZIONE
Vengono all’esame del Giudice le questioni preliminari rappresentate dalla convenuta Wind. Il decidente Ufficio è competente ratione loci a conoscere del caso de quo in quanto il contratto di telefonia mobile è stato stipulato per uso privato e non per uso affari. In proposito v. art. 21 D.P.R. n° 641/1972 e Risoluzione n° 44/E del 12.02.2008 dell’Agenzia delle Entrate dai quali emergono due differenti scaglioni della tassa di concessione governativa: € 5,16 per utenza residenziale ed € 12,91 per utenza affari. Tra l’altro nel caso de quo, la Wind applica in bolletta il primo scaglione riconoscendo così un servizio di telefonia mobile per uso privato (v. in proposito fattura Wind n° 2008T000936442 del 17.07.2008 prodotta agli atti dall’attrice). Trova così qui albergo l’applicazione dell’art. 63 D. Lgs. n° 206/2005 c.d. Codice del Consumo e non la norma generale di cui all’art 19 c.p.c., per come, invece, sostenuto dalla Wind nella propria letteratura difensiva. Ancora, appare estranea l’eccepita improcedibilità e/o inammissibilità della domanda per non aver esperito ella attrice il tentativo obbligatorio di conciliazione giusta la Delibera n° 182/02 Cons. dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, organismo istituito con L. n° 241/1997. L’attrice non lamenta vizi da imputare a servizi di telecomunicazione (promozioni, offerte, piano tariffario, servizi ADSL non richiesti ecc.), bensì rappresenta un difetto genetico di uno strumento di telefonia mobile con conseguente inibizione di un suo corretto utilizzo, per come dichiarato, tra l’altro, nelle schede di lavorazione dalla Phone Box S.r.L. corrente in Parma (v. in atti di parte attrice). Poiché il bene acquistato presenta un vizio sorto anche in seguito al momento della consegna, il consumatore acquirente ha titolo per rivolgersi direttamente al venditore per ottenere uno dei rimedi previsti dalla legge, in virtù delle garanzie legali di cui al D. Lgs. n° 206/2005 “Codice del Consumo” (artt. 128 e ss.). In ordine ad una eventuale nullità dell’atto di citazione ex art. 164 c.p.c., per carenza dei motivi ex art. 163 nn° 3-4 c.p.c., il Giudice osserva quanto segue: dall’intera letteratura di libello la vicenda viene descritta con sufficiente dettaglio e circa il petitum, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, non è necessario l’uso di formule sacramentali, essendo sufficiente che esso sia comunque individuabile attraverso un esame complessivo dell’atto introduttivo che compete al Giudice nell’interpretazione della domanda (in linea con Cass. nn° 3911/2001, 7448/2001 ed ex plurimis). In definitiva, esaminando partitamente le divergenti argomentazioni l’Ufficio non ravvisa la segnalata nullità della domanda (v. comparsa Wind). Prova ne è come la parte convenuta abbia disatteso energicamente le avverse ragioni con una copiosa letteratura di comparsa confermando a pieno la comprensione del contenuto dell’atto di citazione. Queste prassi generano nel Giudicante la convinzione che si turbi e si ritardi il corso della lite per mezzo di domande non utili e non pertinenti al fine primario della causa in corso. Tra l’altro nel procedimento innanzi al Giudice di Pace il contenuto della domanda è notevolmente semplificato (v. art. 318 c.p.c.) rispetto a quanto richiesto dall’art. 163 c.p.c. per la citazione da proporsi avanti il Tribunale. Nel merito la domanda è sufficientemente provata con la sola istruzione per tabulas e, pertanto, la Wind è tenuta a soddisfare le legittime pretese di libello ex artt. 130 e 132 del Codice del Consumo. Ne deriva come la domanda promossa da Nunnari Concetta sia meritevole di accoglimento con conseguente riconoscimento di risarcimento del solo danno patrimoniale, atteso come un telefono cellulare rivesta carattere indispensabile nell’odierna vita di relazione. Per quanto fin qui argomentato non vi è altro in atti in grado di contraddire una tale prospettazione maturata nel corso del giudizio. Circa il quantum richiesto, in atti non vi è prova di un esatto dato aritmetico e, di conseguenza, stante la difficoltà per questo Ufficio di quantificare i danni lamentati, si applica il criterio equitativo ex art. 1226 cod. civ. in virtù di quel potere riconosciuto al Giudice dall’art. 115 c.p.c., diversamente dal potere di decidere secondo equità ex art. 114 c.p.c. In altre parole, l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa ex art. 1226 cod. civ., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto, caratterizzato dalla c.d. equità giudiziale correttiva od integrativa (in linea con Cass. n° 16202/2002). Per l’effetto, la natura della vicenda consente all’Ufficio di ridimensionare la pretesa di libello, appalesandosi spropositata nel suo ammontare. I danni sono perciò quantificati come in dispositivo; concedibili interessi; le spese seguono la soccombenza.
IL DISPOSITIVO
Il Giudice di Pace di Catanzaro, definitivamente pronunciando nella controversia come in epigrafe così provvede: 1) Accoglie la domanda promossa da Nunnari Concetta nei confronti di Wind Telecomunicazioni S.p.A., in p. del l. rapp.te p.t., corrente in Roma; 2) Per l’effetto, ordina a Wind Telecomunicazioni S.p.A., in p. del l. rapp.te p.t., corrente in Roma la riparazione o sostituzione del telefono cellulare LG I – Mode LG 3431 I; 3) Condanna la società convenuta al pagamento della somma di € 200,00 in favore dell’attrice, a titolo di danno patrimoniale, oltre interessi; 4) Condanna la società convenuta al pagamento delle competenze di giudizio che liquida in € 300,00 di cui € 30,00 per esborsi, € 160,00 per diritti, e 110,00 per onorari, oltre alle dovute occorrende ope legis.
Così deciso in Catanzaro il 21.10.2008.
IL GIUDICE DI PACEDott. Francesco LECCE

10/10/08

Corte Costituzionale, 10 ottobre 2008 n. 335


SENTENZA N. 335
ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Giovanni Maria FLICK - Presidente- Francesco AMIRANTE - Giudice- Ugo DE SIERVO - Giudice- Paolo MADDALENA - Giudice- Alfio FINOCCHIARO - Giudice- Alfonso QUARANTA - Giudice- Franco GALLO - Giudice- Luigi MAZZELLA - Giudice- Gaetano SILVESTRI - Giudice- Maria Rita SAULLE - Giudice- Giuseppe TESAURO - Giudice- Paolo Maria NAPOLITANO - Giudice
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario che in quello modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), promossi con ordinanze del 3 e 31 maggio e del 18 settembre 2007 dal Giudice di pace di Gragnano, rispettivamente iscritte al n. 830 del registro ordinanze 2007 e ai nn. 38 e 184 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 3, 10 e 26, prima serie speciale, dell'anno 2008.Visti gli atti di costituzione della s.p.a. G., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;udito nell'udienza pubblica del 23 settembre 2008 e nella camera di consiglio del 24 settembre 2008 il Giudice relatore Franco Gallo;uditi gli avvocati Vincenzo Cocozza e Ferdinando Pinto per la s.p.a. G. e l'avvocato dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

RITENUTO IN FATTO

1. - Nel corso di un giudizio civile, il Giudice di pace di Gragnano - con ordinanza del 3 maggio 2007 (r.o. n. 830 del 2007) - ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 41 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), nel testo modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale) [in vigore dal 28 agosto 2002 al 28 aprile 2006], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.Il rimettente riferisce che: a) l'oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da Savino Cesarano nei confronti della s.p.a. G., società di gestione del servizio idrico integrato nel Comune di Gragnano, affinché sia accertata e dichiarata non dovuta la quota di tariffa riferita alla depurazione di acque reflue da lui pagata per l'anno 2003, con conseguente restituzione della stessa; b) l'attore afferma che la società convenuta aveva richiesto il pagamento del canone di depurazione «pur non avendo effettuato né potendo effettuare il servizio di depurazione delle acque reflue, per essere notoriamente carente degli appositi impianti»; c) la convenuta chiede il rigetto della domanda, in quanto infondata, perché, in base all'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, pur essendosi verificata «la trasformazione della natura del canone di depurazione da tributaria in tariffaria», l'obbligazione di corrispondere il canone è comunque «inderogabile per espressa previsione di legge, e ciò indipendentemente dalla sussistenza o meno di un servizio corrispettivo».Il rimettente osserva che l'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994 - il quale prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione sia dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi e che «i relativi proventi, determinati ai sensi dell'articolo 3, commi da 42 a 47, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, aumentati della percentuale di cui al punto 2.3 della delibera CIPE 4 aprile 2001, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 165 del 18 luglio 2001, affluiscono a un fondo vincolato a disposizione dei soggetti gestori del Servizio idrico integrato la cui utilizzazione è vincolata alla attuazione del piano d'ambito» - víola: a) l'art. 2 della Costituzione, perché «importa l'aggressione del diritto inviolabile alla qualificazione dell'individuo come soggetto di diritto», per il quale è esclusa «ogni forma di potere arbitrario e persecutorio, compreso quello che impone una prestazione patrimoniale in assenza della relativa controprestazione», e perché, «non prevedendo [...] un limite temporale oltre il quale non sia possibile procedere alla riscossione del canone di depurazione in assenza del servizio, rimette al mero arbitrio degli amministratori locali, deputati all'applicazione della norma, la cessazione del pagamento del canone in assenza del depuratore» e differisce, cosí, «sine die la realizzazione della qualità di soggetto di diritto»; b) l'art. 3 della Costituzione, perché, imponendo irragionevolmente agli utenti di versare la quota di tariffa del servizio di fognatura e depurazione anche in mancanza del servizio stesso, determina una discriminazione dei cittadini che versano la tariffa senza usufruire del servizio di depurazione, rispetto a coloro che versano la tariffa e si giovano, invece, del servizio; c) l'art. 32 Cost., perché incoraggia «il lassismo degli enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall'inquinamento che ne scaturisce»; d) l'art. 41 Cost., perché il privato cui è affidata la «gestione delle risorse idriche», «imponendo il pagamento di una tariffa pur in assenza del servizio di depurazione, espleta una attività economica in contrasto con la dignità umana e l'utilità sociale» e perché «i valori intangibili della dignità umana e dell'utilità sociale [...] risultano ancor di piú compromessi dalla mancata previsione normativa di un limite temporale alla cessazione del pagamento della tariffa senza il corrispondente servizio, oltre che dalla rimessione del predetto limite temporale esclusivamente alla mera discrezionalità degli amministratori locali deputati all'applicazione della norma»; e) l'art. 97 Cost., perché consente alla pubblica amministrazione «d'imporre ai cittadini una sorta di "tassa sine titulo" la cui finalizzazione ad una futura esecuzione degli impianti appare generica ed astratta».In punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo premette di essere giurisdizionalmente competente, rilevando che la causa di fronte a lui instaurata «ha ad oggetto la non debenza e la conseguente restituzione del canone di depurazione pagato per l'anno 2003» e che, «per giurisprudenza costante, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario e non piú quella delle commissioni tributarie [...], ogni qualvolta la lite giudiziaria sia relativa alla non debenza o alla restituzione del canone di depurazione per un periodo successivo al 3 ottobre 2000».Osserva il rimettente che «la definizione del giudizio di costituzionalità dell'art. 14, legge n. 36/1994, come modificato dall'art. 28, [della legge] 31 luglio 2002, n. 179, è assolutamente rilevante per la risoluzione della controversia, in quanto la predetta norma rappresenta sia la disposizione che dovrà essere applicata in giudizio, sia il riferimento normativo indispensabile per il merito della controversia», perché «dal 28 agosto 2002 fino al 28 aprile 2006, il canone di depurazione è stato [...] regolamentato dall'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, come modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179».2. - Si è costituita la s.p.a. G., eccependo preliminarmente la manifesta inammissibilità delle proposte questioni, perché: a) «è assolutamente generica la valutazione effettuata dal Giudice sulla rilevanza della questione», in quanto egli «si limita [...] all'affermazione, tautologica, secondo cui la norma oggetto di sindacato è quella che "dovrà essere applicata in giudizio"»; b) «l'ordinanza è [...] contraddittoria e omissiva nella ricostruzione della fattispecie normativa, in riferimento alla situazione concreta», in quanto non tiene conto del fatto che, in caso di mancanza di impianti di depurazione, i canoni vengono utilizzati per l'attuazione del piano d'ambito; c) è «contraddittoria l'impostazione adottata laddove, da una parte, il Giudice ricostruisce la tariffa in termini di corrispettivo di una prestazione e, dall'altra, ricostruisce i vizi in termini di illegittimo esercizio del potere autoritativo».Nel merito, la s.p.a. G. chiede che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate.In riferimento all'evocato art. 2 Cost., rileva la genericità dei rilievi svolti dal rimettente e osserva che l'obbligo del pagamento del canone di depurazione delle acque reflue si inquadra tra i doveri del cittadino verso la comunità, fissati dallo stesso art. 2 Cost., senza che in contrario rilevi la circostanza che il Comune non abbia preventivamente fissato un termine per lo svolgimento dei lavori di realizzazione dell'impianto di depurazione. Infatti - sempre ad avviso della s.p.a. G. - tale ultima circostanza non attiene alla «legittimità di una previsione legislativa astratta e generale», ma alla «efficacia amministrativa di un ente locale cui, al piú, può contestarsi proprio la mancata attuazione del disposto legislativo». Il termine entro il quale «debbano essere utilizzate le somme accantonate non rileva ai fini della imposizione e della conseguente valutazione circa la sua legittimità», perché «non può [...] che essere rimesso, in concreto, all'attività amministrativa in funzione del suo svolgersi, condizionato, come è, da elementi che, in quanto tali, non possono valutarsi in astratto e che si differenziano in relazione alle singole realtà fattuali, su cui finiscono per incidere». L'agire amministrativo - sostiene la s.p.a. G. - «non può essere condizionato da tempistiche aprioristicamente ed astrattamente definite», ferma restando, comunque, «la possibilità, per i cittadini anche attraverso le forme associative in cui spesso gli interessi diffusi si organizzano, di sollecitare gli interventi». Tale sollecitazione potrebbe «avvenire anche attraverso strumenti formali, con la fissazione di termini normativamente previsti, quali quelli contenuti nella legge n. 241/90 sull'agire amministrativo». In ogni caso, la controprestazione sarebbe legittimamente strutturata dal legislatore in maniera complessa quale attuazione del piano d'ambito, «fase prodromica al completamento del servizio relativo al ciclo integrato delle acque».In riferimento all'evocato art. 3 Cost., la s.p.a. G. rileva preliminarmente la genericità della censura per la mancanza di un tertium comparationis e di una «adeguata descrizione della fattispecie concreta da cui emerga una ontologica differenza della ipotesi che giustifichi, ai fini del giudizio di "ragionevolezza", una differente disciplina». Osserva, inoltre, che - contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente - la norma censurata, essendo diretta a rendere concreto, attraverso la raccolta dei fondi con vincolo di destinazione, il diritto dei cittadini a godere di un servizio di depurazione delle acque reflue, realizza effettive condizioni di parità ed uguaglianza dei cittadini, perché elimina la discriminazione che si verifica per la mancanza degli impianti in parte del territorio.In riferimento all'art. 32 Cost., la s.p.a. G. sostiene che la censura è generica, in quanto non è chiaro quale sia il collegamento tra l'affermazione del giudice a quo per cui la disposizione censurata «incoraggia il lassismo degli Enti Locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall'inquinamento che ne scaturisce» e il diritto alla salute. La disposizione in questione, anzi, «è diretta attuazione delle norme costituzionali, in quanto costituisce strumento giuridico necessario a realizzare una situazione ambientale piú idonea a garantire il diritto alla salute dei residenti di un determinato territorio».In riferimento all'art. 41 Cost., la s.p.a. G. richiama le considerazione già svolte in relazione agli altri parametri evocati, osservando che «il giudice a quo, lungi dal proporre ulteriori eccezioni di legittimità costituzionale, ripropone le medesime argomentazioni già affrontate in precedenza».In riferimento, infine, al parametro dell'art. 97 Cost., la medesima società per azioni rileva che esso attiene all'imparzialità e al buon andamento della pubblica amministrazione e, pertanto, non ha alcun nesso con «la scelta legislativa di destinare fondi alla realizzazione del Piano d'Ambito, finanziando gli stessi con un parziale contributo dei cittadini». In ogni caso, «proprio lo strumento del vincolo posto ai proventi per la realizzazione dell'impianto, e, dunque, la illegittimità di ogni eventuale differente utilizzazione, dimostra la coerenza della previsione con i generali principi di buon andamento».3. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o comunque per l'infondatezza delle questioni.L'Avvocatura generale sostiene, in particolare che: a) «la carente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale impedisce di comprendere quale sia l'inadempienza accertata ai danni della società G. s.p.a. gestore del servizio idrico integrato per giustificare l'eventuale ripetizione delle somme corrisposte a titolo di canone di depurazione»; b) il canone di depurazione delle acque reflue ha natura di prestazione patrimoniale imposta; c) non sussiste la violazione dell'art. 2 Cost. lamentata dal rimettente, in quanto «la norma in questione lungi dal mortificare la persona umana come soggetto di diritti, viceversa ne esalta la soggettività giuridica favorendo la prestazione di un servizio pubblico irrinunciabile, quale è la depurazione delle acque reflue»; d) «l'eventuale inerzia nella realizzazione dell'impianto di depurazione da parte degli enti pubblici competenti costituisce una circostanza di mero fatto che non può determinare l'incostituzionalità della norma, ma può eventualmente rilevare nel senso dell'attribuzione della relativa responsabilità agli enti medesimi con le normali conseguenze di legge»; e) «il tributo di cui si controverte presenta [...] elementi di forte analogia con la tassa per lo smaltimento dei rifiuti, il cui versamento è dovuto anche laddove l'impianto di smaltimento non sia stato ancora realizzato ed i rifiuti vengano in ipotesi trasportati in impianti situati fuori regione; f) non sussiste la violazione dell'art. 3 Cost., perché l'eventuale disparità di trattamento fra chi usufruisce e chi non usufruisce del servizio di depurazione non discende dalla norma, ma, al piú, dalle modalità della sua applicazione; g) non sussiste la violazione dell'art. 32 Cost., in quanto il prelievo censurato è destinato a finanziare opere ed impianti di depurazione e ha la funzione di supplire ad eventuali carenze di fondi dei Comuni; h) non sussiste la violazione dell'art. 41 Cost., con riferimento all'asserita violazione della dignità umana, perché «la norma è preordinata proprio a garantire la copertura finanziaria per lo svolgimento di un'attività di utilità sociale quale la depurazione delle acque reflue»; i) non sussiste la violazione dell'art. 97 Cost., in quanto la norma realizza l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione, «mediante la predisposizione di una copertura finanziaria per l'erogazione di un servizio pubblico irrinunciabile».4. - Con successiva memoria depositata in prossimità dell'udienza, la s.p.a. G. ha sostanzialmente ribadito, nel merito, quanto già sostenuto nell'atto di costituzione, eccependo la manifesta inammissibilità delle sollevate questioni, sui rilievi che: a) le questioni sono premature, essendo la loro rilevanza «solo futura ed ipotetica ed anzi neanche prevista, giacché [...] il giudice rimettente non era ancora nelle condizioni di prospettare alcun esito del giudizio, essendo assenti valutazioni essenziali ai fini della controversia come introdotta dal ricorrente»; b) «assolutamente vago è il riferimento a formule stereotipate per sostenere la violazione dell'art. 2 della Costituzione e della "dignità di soggetto di diritto"»; c) è incoerente la scelta di denunciare, in riferimento al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., una norma che, attraverso il vincolo di destinazione delle somme derivanti dalla riscossione della quota di tariffa riferita alla depurazione all'attuazione del piano d'ambito, è diretta ad eliminare la disuguaglianza fra chi beneficia della depurazione e chi no; d) è incoerente la censura relativa alla violazione dell'art. 32 Cost., perché basata sulla considerazione non giuridica che la formulazione della norma impugnata «incoraggia il lassismo degli Enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall'inquinamento che ne scaturisce»; e) i riferimenti del rimettente ai parametri degli artt. 41 e 97 Cost. sono indeterminati e contraddittori.La s.p.a. G. afferma, inoltre, che le sollevate questioni non sono fondate e sostiene, in particolare, in relazione all'evocato art. 2 Cost., che: a) «la circostanza che una delle prestazioni sia differita nel tempo, in considerazione della complessità dell'intervento non solo tecnico, ma anche organizzativo e gestionale, non ne muta la natura corrispettiva, che è garantita dalla circostanza che tutte le somme sino ad ora riscosse sono e saranno vincolate alla specifica finalità individuata dalla legge»; b) la norma censurata risponde a finalità solidaristiche, prevedendo, nell'interesse della collettività degli utenti, il pagamento della quota di tariffa anche da parte di chi non usufruisca del servizio di depurazione.5. - Nel corso di un diverso giudizio civile, il Giudice di pace di Gragnano - con ordinanza del 31 maggio 2007 (r.o. n. 38 del 2008) - ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 32 e 97 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, nel testo originario [in vigore dal 3 ottobre 2000 al 27 agosto 2002], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione sia dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.Il rimettente riferisce che: a) l'oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da Vincenzo Sabbatino nei confronti del Comune di Gragnano, affinché sia accertata e dichiarata non dovuta la quota di tariffa riferita alla depurazione di acque reflue da lui pagata per l'anno 2001, con conseguente restituzione della stessa; b) secondo l'attore, il Comune convenuto gli aveva richiesto il pagamento del canone di depurazione pur non avendo assicurato agli utenti la fruizione del servizio di depurazione delle acque reflue, per mancanza degli appositi impianti; c) sempre secondo l'attore, «in assenza di tale fruizione, nella chiara configurazione sia di un inadempimento contrattuale che dei presupposti per la risoluzione per inadempimento limitatamente a singole coppie di prestazioni, il somministrato aveva diritto alla restituzione della somma pagata al convenuto per il servizio di depurazione»; d) il convenuto solleva, in via preliminare, eccezione di difetto di legittimazione passiva, asserendo che «i suoi compiti erano limitati solo alla riscossione del canone in questione per conto della Regione Campania, alla quale venivano versati i corrispettivi incassati» e, nel merito, chiede il rigetto della domanda attorea, in quanto infondata, perché, in base all'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, il canone di depurazione è, comunque, dovuto anche in mancanza dei relativi impianti.Il rimettente osserva che l'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, prevedendo che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione sia dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi e che «i relativi proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione», víola: a) l'art. 2 Cost., perché «importa l'aggressione del diritto inviolabile alla qualificazione dell'individuo come soggetto di diritto», per il quale è esclusa «ogni forma di potere arbitrario e persecutorio, compreso quello che impone una prestazione patrimoniale in assenza della relativa controprestazione», e perché, «non prevedendo [...] un limite temporale oltre il quale non sia possibile procedere alla riscossione del canone di depurazione in assenza del servizio, rimette al mero arbitrio degli amministratori locali, deputati all'applicazione della norma, la cessazione del pagamento del canone in assenza del depuratore» e differisce, cosí, «sine die la realizzazione della qualità di soggetto di diritto»; b) l'art. 3 Cost., perché determina una discriminazione dei cittadini che versano il tributo senza usufruire del servizio di depurazione, rispetto a coloro che versano la tariffa e si giovano invece del servizio; c) l'art. 32 Cost., perché incoraggia «il lassismo degli enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall'inquinamento che ne scaturisce»; d) l'art. 97 Cost., perché consente alla pubblica amministrazione «d'imporre ai cittadini una sorta di "tassa sine titulo" la cui finalizzazione ad una futura esecuzione degli impianti appare generica ed astratta».In punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo premette di essere giurisdizionalmente competente, rilevando che la causa di fronte a lui proposta ha ad oggetto la non debenza e la conseguente restituzione del canone di depurazione pagato per l'anno 2001, periodo in relazione al quale la Corte di cassazione ha affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario e non piú quella delle commissioni tributarie. Premette, altresí, che sussiste la legittimazione passiva del Comune convenuto, «visto che esso all'epoca dei fatti di causa (anno 2001) era il diretto gestore del servizio idrico integrato» ed «ha proceduto alla riscossione del canone di depurazione dall'attore mediante emissione della fattura di pagamento, proprio in qualità di titolare della pretesa creditoria».Osserva il rimettente che «la definizione del giudizio di costituzionalità dell'art. 14, legge n. 36/1994, come modificato dall'art. 28, [della legge] 31 luglio 2002, n. 179, è assolutamente rilevante per la risoluzione della controversia, in quanto la predetta norma rappresenta sia la disposizione che dovrà essere applicata in giudizio, sia il riferimento normativo indispensabile per il merito della controversia», perché dal «3 ottobre del 2000 sino al 27 agosto del 2002, la disciplina del canone di depurazione è stata regolamentata dall'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994, nella sua formulazione originaria ».6. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nel giudizio r.o. n. 830 del 2007 e concludendo per l'inammissibilità o comunque per l'infondatezza delle questioni.7. - I giudizi, la cui trattazione era inizialmente fissata per l'udienza del 6 maggio e la camera di consiglio del 7 maggio 2008, sono stati trattati all'udienza del 23 settembre e alla camera di consiglio del 24 settembre 2008.8. - Nel corso di un altro giudizio civile, il Giudice di pace di Gragnano - con ordinanza del 18 settembre 2007 (r.o. n. 184 del 2008) - ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 41 e 97 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, nel testo modificato dall'art. 28 della legge n. 179 del 2002 [in vigore dal 28 agosto 2002 al 28 aprile 2006], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.Il rimettente riferisce che: a) l'oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da C. A. nei confronti della s.p.a. G., società di gestione del servizio idrico integrato nel Comune di Gragnano, affinché sia accertata e dichiarata non dovuta la quota di tariffa riferita alla depurazione di acque reflue da lei pagata per l'anno 2003, con conseguente restituzione della stessa; b) l'attrice afferma che la società convenuta le aveva richiesto il pagamento del canone di depurazione «pur non avendo effettuato né potendo effettuare il servizio di depurazione delle acque reflue, per essere notoriamente carente degli appositi impianti»; c) la convenuta chiede il rigetto della domanda attorea, in quanto infondata, perché, in base all'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, pur essendosi verificata «la trasformazione della natura del canone di depurazione da tributaria in tariffaria», l'obbligazione di corrispondere il canone è comunque «inderogabile per espressa previsione di legge, e ciò indipendentemente dalla sussistenza o meno di un servizio corrispettivo».Quanto alle questioni di legittimità costituzionale prospettate e alla motivazione sulla rilevanza e non manifesta infondatezza delle stesse, il giudice a quo svolge considerazioni identiche a quelle esposte nell'ordinanza r.o. n. 830 del 2007, sopra riportate.9. - Si è costituita la s.p.a. G., concludendo per la manifesta inammissibilità o, in subordine, per la manifesta infondatezza delle proposte questioni e svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nella memoria di costituzione nel giudizio r.o. n. 830 del 2007.10. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o comunque per l'infondatezza delle questioni e svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nel giudizio r.o. n. 830 del 2007.11. - Con memoria depositata in prossimità dell'udienza, la s.p.a. G. ha ribadito quanto già sostenuto nell'atto di costituzione, svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nella memoria depositata in prossimità dell'udienza nel giudizio r.o. n. 830 del 2007.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. - Con le ordinanze r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008, di contenuto sostanzialmente identico, il Giudice di pace di Gragnano dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 32, 41 e 97 della Costituzione, della legittimità dell'art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), nel testo modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale) [in vigore dal 28 agosto 2002 al 28 aprile 2006], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione - quota che affluisce «a un fondo vincolato a disposizione dei soggetti gestori del Servizio idrico integrato la cui utilizzazione è vincolata alla attuazione del piano d'ambito» - è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.In particolare, per il rimettente, la norma censurata víola: a) l'art. 2 Cost., perché incide sul «diritto inviolabile alla qualificazione dell'individuo come soggetto di diritto»; b) l'art. 3 Cost., perché irragionevolmente impone agli utenti di versare la quota di tariffa del servizio di fognatura e depurazione anche in mancanza del servizio di depurazione; c) l'art. 32 Cost., perché consente che la salute dei cittadini e delle future generazioni sia danneggiata dall'inquinamento che deriva dal «lassismo degli enti locali»; d) l'art. 41 Cost., perché il gestore delle risorse idriche, imponendo senza limiti temporali il pagamento di una tariffa pur in assenza del servizio di depurazione, «espleta una attività economica in contrasto con la dignità umana e l'utilità sociale»; e) l'art. 97 Cost., perché consente alla pubblica amministrazione «d'imporre ai cittadini una sorta di "tassa sine titulo" la cui finalizzazione ad una futura esecuzione degli impianti appare generica ed astratta».2. - Con l'ordinanza r.o. n. 38 del 2008, lo stesso giudice rimettente dubita - sollevando in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 97 Cost. questioni analoghe a quelle sollevate con le ordinanze r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008 - della legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, nel testo originario [in vigore dal 3 ottobre 2000 al 27 agosto 2002], nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione - quota che affluisce a un fondo vincolato ed è destinata «esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione» - è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.3 - I tre giudizi sopra menzionati vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi, in considerazione dell'evidente analogia delle questioni prospettate.4 - Come appena ricordato, nei giudizi r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008, il rimettente denuncia, in riferimento all'art. 3 Cost., l'irragionevolezza della norma censurata, perché essa ingiustificatamente impone agli utenti di versare la quota di tariffa del servizio di fognatura e depurazione anche nel caso in cui gli impianti centralizzati di depurazione manchino o siano temporaneamente inattivi, cosí discriminando tali utenti rispetto a quelli che versano la tariffa e si giovano, invece, della controprestazione costituita dal servizio.4.1. - In detti due giudizi, la costituita s.p.a. G., cioè la società di gestione del servizio idrico integrato nel Comune di Gragnano, eccepisce l'inammissibilità della suddetta questione, per difetto di rilevanza o di motivazione sulla rilevanza, e comunque per la mancata prospettazione di un tertium comparationis. La difesa erariale, a sua volta, eccepisce l'inammissibilità della medesima questione, affermando che «la carente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale impedisce di comprendere quale sia l'inadempienza accertata ai danni della società G. s.p.a. gestore del servizio idrico integrato per giustificare l'eventuale ripetizione delle somme corrisposte a titolo di canone di depurazione».Le eccezioni non sono fondate.Entrambe le ordinanze di rimessione, infatti: a) descrivono sufficientemente le fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, specificando che esse riguardano richieste di rimborso della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione per l'anno 2003; b) muovono dal presupposto che gli utenti hanno pagato la suddetta quota in mancanza del servizio di depurazione delle acque reflue (come del resto riconosciuto dalla stessa s.p.a. G.); c) chiariscono che la norma applicabile ratione temporis alla fattispecie è la norma denunciata; d) denunciano la violazione dell'art. 3 Cost. sia per l'irragionevolezza intrinseca della norma sia per la disparità di trattamento che questa crea, nell'ambito di coloro che sono tenuti al pagamento della tariffa del servizio idrico integrato, tra chi fruisce e chi non può fruire del servizio di depurazione delle acque.4.2. - La s.p.a. G. eccepisce, altresí, l'inammissibilità della medesima questione, affermandone l'incoerenza, perché essa ha ad oggetto una norma che, attraverso il vincolo di destinazione all'attuazione del piano d'ambito delle somme derivanti dalla riscossione della quota di tariffa riferita alla depurazione, è diretta proprio ad eliminare la disuguaglianza fra chi beneficia della depurazione e chi no. Tuttavia tale eccezione, allegando la ragionevolezza della norma, si risolve in un rilievo sull'infondatezza della questione e, pertanto, non può essere esaminata in via preliminare, separatamente dal merito della questione medesima.5. - Passando all'esame del merito della dedotta violazione dell'art. 3 Cost., deve innanzi tutto rilevarsi che le censure proposte riguardano solo la quota dell'unitaria tariffa del servizio idrico integrato riferita al servizio di depurazione, quota costituente oggetto esclusivo delle richieste di rimborso degli utenti nei giudizi principali.Ancorché la norma denunciata non distingua espressamente tale quota da quella riferita al servizio di pubblica fognatura, tuttavia l'autonoma rilevanza di essa si desume dall'espresso riferimento che l'art. 3, comma 42, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), fa alla quota medesima, determinandone in modo distinto la misura da applicarsi transitoriamente fino alla «entrata in vigore della tariffa del servizio idrico integrato, prevista dall'articolo 13 della legge 5 gennaio 1994, n. 36». Tale distinzione è presente anche nella normativa di attuazione della legge n. 36 del 1994, costituita: a) dal d.m. 1^ agosto 1996 (Metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato); b) dalla delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 131/02 (Direttive per la determinazione, in via transitoria, delle tariffe dei servizi acquedottistici, di fognatura e di depurazione per l'anno 2002). In particolare, ai fini della determinazione, con il metodo normalizzato, della «componente modellata dei costi operativi» della tariffa di riferimento, il primo dei due suddetti provvedimenti individua, al punto 3.1, «formule di costo» diverse per i tre distinti elementi nei quali si articola il servizio idrico integrato, e cioè il «servizio acque potabili», «il servizio fognature» e il «servizio trattamento reflui» (attinente, appunto, alla depurazione). Il secondo provvedimento, ai fini della determinazione degli investimenti specifici per i singoli servizi, individua interventi distinti per il servizio di fognatura e per quello di depurazione (allegato 1, punti 2.2 e 2.3) e disciplina, all'allegato 2 - significativamente intitolato «Adeguamento parametri per la tariffa di depurazione 2002» - la sola quota di tariffa riferita al servizio di depurazione.Sulla base di tale ricostruzione del quadro normativo, lo scrutinio di questa Corte va, pertanto, circoscritto alla quota dell'unitaria tariffa del servizio idrico integrato riferita al servizio di depurazione.6. - Il giudice a quo denuncia l'irragionevolezza della disposizione censurata, nella parte in cui essa prevede che la suddetta quota di tariffa, pur avendo natura di corrispettivo, sia dovuta dagli utenti anche quando manchi la controprestazione cui essa è collegata, e cioè «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi».La censura è fondata.6.1. - Il rimettente muove dal presupposto interpretativo che nel sistema delineato dalla legge n. 36 del 1994 la tariffa del servizio idrico integrato, articolato in tutte le sue componenti - e, quindi, anche quella relativa al servizio di depurazione - ha natura di corrispettivo di prestazioni contrattuali e non di tributo.Questa Corte ritiene che tale presupposto sia corretto e trovi fondamento nelle seguenti considerazioni.Innanzi tutto, dall'analisi dei lavori preparatori relativi alla norma censurata si desume che il legislatore ha inteso costruire la tariffa in modo tale da coprire i costi del servizio idrico integrato. In tali lavori si afferma che «l'utilità particolare che ogni utente [...] ottiene dal servizio dovrà essere pagata per il suo valore economico» e che «la tariffa deve [...] essere espressiva del costo industriale del servizio idrico rappresentato [...] dall'integrazione dei servizi di captazione, adduzione, distribuzione, collettamento e depurazione» (atti Camera dei deputati, XI legislatura, 6 ottobre 1993, pagina 18599; nello stesso senso, anche atti Camera dei deputati, XI legislatura, VIII Commissione permanente, 15 giugno 1993, pagine 57-58). In coerenza con tale impostazione, l'art. 13, comma 1, della citata legge n. 36 del 1994 stabilisce espressamente che tutte le componenti della tariffa rappresentano «il corrispettivo del servizio idrico integrato», costituito, in base a quanto previsto dall'art. 4, comma 1, lettera f), della stessa legge, «dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue».La natura di corrispettivo della tariffa è, poi, confermata dal successivo comma 2 dell'art. 13, il quale stabilisce che essa deve assicurare «la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio». In particolare, essa deve essere determinata in base a criteri sostanzialmente analoghi a quelli stabiliti in via generale per la determinazione delle tariffe dei servizi pubblici locali dall'art. 117 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), e cioè «tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia». Tale impostazione legislativa è analoga a quella adottata dal legislatore in altri settori concernenti la determinazione della remunerazione di prestazioni di pubblici servizi e, in particolare, a quella di cui agli artt. 11-nonies e seguenti del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, per la determinazione dei diritti aeroportuali mediante il metodo del cosiddetto price cap. Tali diritti sono stati qualificati come non tributari, con norma di carattere interpretativo, dall'art. 39-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, aggiunto dalla legge di conversione 29 novembre, n. 222, e la loro natura di «corrispettivi dovuti in base a contratti» è stata affermata da questa da questa Corte con la sentenza n. 51 del 2008.La natura non tributaria della quota di tariffa disciplinata dalla norma censurata è stata, inoltre, costantemente riconosciuta dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, che, con riguardo proprio alle controversie relative alla quota riferita al servizio di depurazione, hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, sul presupposto che, con il passaggio dalla disciplina previgente a quella della legge n. 36 del 1994, i "canoni" di depurazione delle acque reflue si sono trasformati da tributo a «corrispettivo di diritto privato» (ex plurimis, Cassazione, sezioni unite civili, sentenze n. 6418 del 2005, n. 16426 e n. 10960 del 2004; tutte precedenti all'entrata in vigore dell'art. 3-bis, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, il quale ha espressamente attribuito alla giurisdizione tributaria le controversie relative alla debenza del «canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue», indipendentemente dalla loro qualificazione come tributo o corrispettivo).L'uso legislativo del termine «corrispettivo» e la rilevata struttura sinallagmatica del rapporto con l'utente si armonizzano, altresì, con il disposto dell'alinea e della lettera b) del quinto comma dell'art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), come modificato dall'art. 31, comma 30, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), i quali considerano le quote di tariffa riferite ai servizi di fognatura e depurazione come veri e propri corrispettivi dovuti per lo svolgimento di attività commerciali, «ancorché esercitate da enti pubblici», come tali assoggettate a IVA. Infatti, la qualificazione, anche ai fini di quest'ultima imposta, di dette quote di tariffa come corrispettivi evidenzia ulteriormente la scelta del legislatore di non ricondurre le quote stesse al novero di quei «diritti, canoni, contributi» che la normativa comunitaria (da ultimo, art. 13, paragrafo 1, primo periodo, della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006) esclude in linea generale dall'assoggettamento a IVA, perché percepiti da enti pubblici «per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità».Sempre in questa prospettiva va, infine, interpretata l'inapplicabilità alla tariffa del servizio idrico integrato - disposta dalla stessa legge n. 36 del 1994 contenente la disposizione censurata (in combinato disposto con l'art. 17, ottavo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante «Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento») - di quelle modalità di riscossione mediante ruolo, che sono tipiche (anche se non esclusive) dei prelievi tributari. L'art. 15 della citata legge n. 36 del 1994 si limita, infatti, a disporre che «la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio idrico integrato», eliminando ogni riferimento a quei meccanismi coattivi di riscossione dei tributi che erano, invece, espressamente richiamati dal previgente art. 17, ottavo comma, primo periodo, della legge n. 319 del 1976 - il quale ne prevedeva l'applicabilità solo «fino all'entrata in vigore della tariffa fissata dagli articoli 13, 14, 15 della legge 5 gennaio 1994, n. 36» - e disciplinati dagli artt. 273 e seguenti del regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 e dagli artt. 68 e 69 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43.L'interpretazione della legge n. 36 del 1994, condotta alla stregua dei comuni criteri ermeneutici, porta dunque a ritenere che la tariffa del servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell'utente, bensì nel contratto di utenza. L'inestricabile connessione delle suddette componenti è evidenziata, in particolare, dal fatto sopra rilevato che, a fronte del pagamento della tariffa, l'utente riceve un complesso di prestazioni, consistenti sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione. Ne consegue che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto (art. 13 della legge n. 36 del 1994).6.2. - Dall'accertata volontà del legislatore di costruire la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione come corrispettivo deriva la fondatezza della censura di irragionevolezza della disposizione denunciata, nella parte in cui prevede che la suddetta quota di tariffa è dovuta dagli utenti anche quando manchi il servizio di depurazione.La norma censurata, imponendo l'obbligo di pagamento in mancanza della controprestazione, prescinde dalla natura di corrispettivo contrattuale della quota e, pertanto, si pone ingiustificatamente in contrasto con la sopra delineata ratio del sistema della legge n. 36 del 1994, che, come si è visto, è invece fondata sull'esistenza di un sinallagma che correla il pagamento della tariffa stessa alla fruizione del servizio per tutte le quote componenti la tariffa del servizio idrico integrato, ivi compresa la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione.Ad evidenziare il rilevato contrasto vale anche la considerazione che la disciplina della quota di tariffa in questione, da un lato, qualifica detta quota come corrispettivo di una prestazione commerciale, come tale assoggettato ad IVA, e, dall'altro, contraddittoriamente, non consente la tutela civilistica dell'utente. Infatti, mentre l'alinea e la lettera b) del quinto comma dell'art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 sottopongono ad IVA - come sopra ricordato - la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, perché considerano detta quota in ogni caso come corrispettivo, invece, la disposizione censurata, prescindendo dal sinallagma genetico e funzionale fra la prestazione di pagamento e la controprestazione del servizio, impedisce irragionevolmente all'utente di tutelarsi da eventuali inadempimenti della controparte mediante gli ordinari strumenti civilistici previsti per i contratti a prestazioni corrispettive (quali, ad esempio, l'azione di adempimento, l'exceptio inadimpleti contractus, l'azione di risoluzione per inadempimento).6.2.1. - A tale conclusione non può obiettarsi - come fa la difesa della s.p.a. G. - che la corrispettività fra la suddetta quota e il servizio di depurazione sussisterebbe comunque, perché le somme pagate dagli utenti in mancanza del servizio sarebbero destinate, attraverso un apposito fondo vincolato, all'attuazione del piano d'ambito, comprendente anche la realizzazione dei depuratori. Va osservato, in contrario, che: a) l'ammontare della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è determinato indipendentemente dal fatto se il depuratore esista o no, essendo esso in ogni caso commisurato al costo del servizio di depurazione, in applicazione del cosiddetto «metodo normalizzato», e non al costo di realizzazione del depuratore (come risulta dall'allegato del citato d.m. 1^ agosto 1996, punto 3.1, lettera c, e dall'allegato 1, punto 2.3, della citata delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 131/02); b) il provento costituito dalla quota confluente nel fondo vincolato può essere destinato alla realizzazione di depuratori non utilizzabili dal singolo utente obbligato al pagamento, come nel caso in cui i depuratori siano realizzati in Comuni diversi da quello in cui si trova l'utente, oppure nel caso in cui l'utente, dopo il pagamento della tariffa, si sia trasferito in altro Comune; c) nel caso in cui il Comune non gestisca direttamente il servizio idrico, la scelta del tempo e del luogo di realizzazione dei depuratori è affidata, dall'art. 11, comma 3, della legge n. 36 del 1994, a soggetti terzi rispetto al contratto di utenza, e cioè ai Comuni e alle Province, nell'esercizio della loro competenza a predisporre il piano d'ambito; d) l'attuazione di tale piano si inserisce nel rapporto fra gestore e autorità d'ambito e non in quello fra esso e l'utente, perché produce un'utilità riferita all'ambito territoriale ottimale nel suo complesso e non anche quella «utilità particolare che ogni utente [...] ottiene dal servizio», la quale sola - come chiarito dai lavori preparatori richiamati al punto 6.1. - consente di qualificare come corrispettivo la tariffa del servizio idrico integrato; e) il contratto di utenza e il pagamento della quota tariffaria non costituiscono presupposto necessario per l'attuazione dello stesso piano, essendo quest'ultima prevista e disciplinata, anche nei tempi e nelle modalità, non già dal contratto di utenza, ma da moduli procedimentali di diritto amministrativo.Dall'impossibilità di qualificare l'attuazione del piano d'ambito come controprestazione contrattuale del pagamento della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione discende la già evidenziata conseguenza che l'utente può agire contro l'inerzia dell'amministrazione nella realizzazione dei depuratori, non già in forza del rapporto contrattuale di utenza utilizzando gli ordinari strumenti civilistici di tutela, ma solo esercitando il generale potere di denuncia attribuitogli dall'ordinamento uti civis.6.2.2. - Neppure potrebbe opporsi che la denunciata irragionevolezza non sussiste in considerazione di un'adombrata natura di prelievo tributario della quota tariffaria riferita al servizio di depurazione. L'unitarietà della tariffa impedisce, infatti, di ritenere che le sue singole componenti abbiano natura non omogenea, e, conseguentemente, che anche solo una di esse, a differenza delle altre, non abbia natura di corrispettivo contrattuale. E ciò perché il legislatore, per la remunerazione delle varie componenti del servizio idrico integrato, non ha istituito tariffe distinte, ma ha concepito la tariffa di detto servizio come un tutto unico, nell'ambito del quale la suddivisione in quote risponde solo all'esigenza di una più precisa quantificazione della tariffa stessa, che tenga conto di tutte le prestazioni che il gestore deve erogare.L'armonia di un sistema di finanziamento del servizio idrico integrato, costruito unitariamente dal legislatore sull'esistenza di un nesso sinallagmatico, sulla sufficienza di un contratto di utenza ai fini della nascita dell'obbligo di pagamento e, perciò, su una tariffa unica, sarebbe, in conclusione, lesa dalla previsione, quale mezzo di finanziamento, di un prelievo coattivo, la cui ratio confliggerebbe ingiustificatamente con la logica unitaria sopra detta, in quanto introduce un obbligo di pagamento non correlato alla controprestazione. Solo un autonomo prelievo tributario avulso dalla tariffa e, perciò, del tutto sganciato dal sistema del servizio idrico integrato potrebbe giustificare una tassazione per fini ambientali diretta a far contribuire anche colui che non utilizza il servizio alla spesa pubblica per la depurazione.7. - Nel giudizio r.o. n. 38 del 2008, il rimettente - formulando la stessa censura di cui alle ordinanze r.o. n. 830 del 2007 e n. 184 del 2008 - denuncia l'intrinseca irragionevolezza dell'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, nel testo originario, il quale prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione - quota i cui «proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione» - è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. La disposizione denunciata è uguale a quella risultante dalla modifica introdotta dall'art. 28 della legge n. 179 del 2002 ed oggetto delle ordinanze di rimessione sopra esaminate, con la sola differenza che la prima prevede che i proventi della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione sono destinati esclusivaente alla realizzazione e alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione, la seconda - come visto - ne prevede la destinazione a un fondo vincolato per l'attuazione del piano d'ambito.La censura è fondata, per le stesse ragioni esposte al precedente punto 6, perché la norma denunciata, eliminando ogni diretta relazione tra il pagamento di tale quota e l'effettivo svolgimento del servizio che tale pagamento dovrebbe retribuire, ha irragionevolmente disciplinato il pagamento della quota in modo non coerente con la sua natura di corrispettivo contrattuale.8. - L'accoglimento delle esaminate questioni comporta la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall'art. 28 della legge n. 179 del 2002, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi».9. - La riconosciuta fondatezza delle suddette questioni riferite alla violazione dell'art. 3 Cost. comporta l'assorbimento delle altre questioni sollevate dal rimettente.10. - Il censurato art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994 è stato, con decorrenza dal 29 aprile 2006, abrogato dall'art. 175, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e sostituito dall'art. 155, comma 1, primo periodo, dello stesso decreto legislativo, il quale prevede che «Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'Autorità d'ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito».L'analogia tra quest'ultima disposizione e quelle sopra dichiarate incostituzionali rende evidente che le considerazioni dianzi svolte, in ordine alla irragionevolezza di queste ultime, valgono anche per la prima.In conclusione, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi».

P. Q. M.

LA CORTE COSTITUZIONALEriuniti i giudizi,1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi»;2) dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2008.
Giovanni Maria FLICK - Presidente
Franco GALLO - Redattore
Gabriella MELATTI - Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2008.

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