ARCO IUS

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28/06/08

T.A.R. Sicilia Catania Sez. II Sent., 28/06/2007, n. 1133

La denominazione protetta mira a garantire al consumatore o all'utente finale l'identità di origine del prodotto, per cui la valutazione sul carattere usurpativo o imitativo ovvero, ancora, evocativo di una denominazione generica rispetto ad una denominazione registrata, esige che il giudizio si fondi sulla percezione complessiva che di tale denominazione ha il pubblico interessato e non sulla presunzione che elementi singolarmente privi di carattere imitativo non possano, una volta combinati, presentare siffatto carattere; i diversi elementi, combinati tra di loro, possono determinare una somiglianza sufficiente a comportare un rischio di confusione agli occhi del consumatore, il quale percepisce normalmente un marchio o una denominazione come un tutt'uno e non procede ad un esame dei suoi vari dettagli.

25/06/08

Corte Cass. 25 giugno 2008, n.17361


Autovelox - controllo – taratura – eccesso di velocità – misuratori – necessità - insussistenza [art. 142 c.d.s.]
In tema di rilevazione dell'inosservanza dei limiti di velocità dei veicoli a mezzo di apparecchiature elettroniche, nè il codice della strada nè il relativo regolamento di esecuzione prevedono che il verbale di accertamento dell'infrazione debba contenere, a pena di nullità, l'attestazione che la funzionalità del singolo apparecchio impiegato sia stata sottoposta a controllo preventivo e costante durante l'uso, giacchè, al contrario, l'efficacia probatoria di qualsiasi strumento di rilevazione elettronica della velocità dei veicoli perdura sino a quando non risultino accertati, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall'opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionalità dello strumento stesso, o situazioni comunque ostative al suo regolare funzionamento, senza che possa farsi leva, in senso contrario, su considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse all'idoneità della mancanza di revisione o manutenzione periodica dell'attrezzatura a pregiudicarne l'efficacia.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE

Sentenza 25 giugno 2008, n. 17361
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con sentenza del 22 agosto 2005, il giudice di pace di Venezia respingeva l'opposizione proposta da R.A. e F. P. avverso il verbale di contestazione di infrazione del codice della strada per eccesso di velocità emesso dal comune di Venezia il 21 aprile 2004 con il n. ****. A tal fine il giudicante rigettava tanto le doglianze relative alla affidabilità dell'apparecchiatura autovelox per mancata omologazione, omessa taratura e periodicità dei controlli, quanto i rilievi formali in ordine alla formazione del verbale.
F. e R. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 14/18 novembre 2005, affidandosi a sei motivi di ricorso. Il comune di Venezia si è costituito con controricorso.
E' stata fissata la trattazione della causa con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio. Le parti hanno depositato memoria.
Con il primo motivo è denunciata nullità della sentenza conseguente alla tardiva costituzione del comune, che aveva depositato la memoria autorizzata solo il giorno prima dell'udienza del 30 giugno 2005, così verificandosi acquiescenza dell'ente sui motivi di ricorso.
Con il secondo motivo i ricorrenti, sempre denunciando un vizio del procedimento, assumono che sia stato violato l'art. 111 Cost., comma 2, in relazione alla questione posta sulla verifica annuale e relativa taratura dell'apparecchio autovelox: si sostiene che parte ricorrente aveva eccepito in seconda udienza che il ricorso trovava fondamento anche nel libretto di istruzioni, ma il giudice aveva ritenuto la domanda nuova, mentre trattatasi di specificazione di quanto già esposto originariamente o, al più, di motivo aggiunto, che il giudice doveva peraltro valutare nell'esame del rapporto sottostante la pretesa dell'amministrazione.
Con il terzo motivo è censurato il deposito della sentenza oltre 15 gg. dalla lettura del dispositivo, con la citazione di una sentenza della Corte di cassazione successiva alla data deliberazione, così nuocendo alle ragioni di parte ricorrente, disattese per motivi diversi da quelli effettivamente rilevanti.
Il quarto e quinto motivo espongono violazione o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare dell'art. 201 C.d.S. per utilizzo dell'autovelox 1047C-2 con modalità fissa, in assenza di organi di polizia, senza omologazione apposita. Inoltre l'apparecchio non potrebbe offrire valida prova perchè non sottoposto a verifica iniziale o periodica, nè a taratura.
Con il sesto motivo la sentenza è criticata perchè non avrebbe considerato la rilevanza della mancata indicazione, nel verbale, del giudice di pace competente e delle modalità di ricorso. Conviene esaminare in ordine logico quest'ultimo motivo, il cui accoglimento secondo il ricorrente renderebbe nullo l'atto amministrativo, assorbendo ogni altro vizio del provvedimento e del giudizio di opposizione.
Il motivo è formulato in maniera inammissibile e risulta comunque infondato. Sotto il primo profilo va rilevato che la sentenza impugnata ha disatteso il ricorso sul punto i assumendo che nel verbale alla voce ricorso art. 203 e segg. delle "modalità di estinzione" era ben segnalata l'Autorità competente a ricevere l'opposizione. Per contestare la sentenza parte ricorrente, atteso che la motivazione smentisce il presupposto di fatto lamentato, avrebbe dovuto denunciare il vizio di motivazione, invece di dolersi di una violazione di una legge che non risulta applicata dalla sentenza in modo difforme da quello sollecitato. In secondo luogo, per far emergere l'erroneità della motivazione in relazione alla legislazione vigente, l'istante avrebbe dovuto, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, precisare, mediante integrale trascrizione della medesima, la risultanza contestata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l'esame diretto degli atti, di delibarne la decisività. (Cass 11886/06; 12362/06).
Peraltro la tesi esposta in ricorso è infondata, giacchè giurisprudenza ormai consolidata del Supremo Collegio reputa che in tema di sanzioni amministrative, l'omessa o erronea indicazione nel provvedimento sanzionatorio del termine per proporre l'opposizione e dell'autorità competente a decidere sullo stesso, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 4, non può1 considerarsi nè una mera irregolarità priva di ogni effetto, nè un'omissione che automaticamente rende il provvedimento impugnabile in ogni tempo, ma può, se del caso, e cioè in concorso con le altre circostanze della fattispecie concreta, comportare la scusabilità dell'errore eventualmente commesso dall'interessato, il quale, tuttavia, ha l'onere di dimostrare, e il giudice il dovere di rilevare, la decisività dell'errore (cass 11405/06; 12895/06). Nel caso di specie l'irregolarità asserita non ha pregiudicato in alcun modo parte ricorrente ai fini del ricorso, inoltrato tempestivamente e regolarmente trattato.
Per motivi analoghi risulta inammissibile anche il primo motivo:
parte ricorrente non indica quale concreta limitazione difensiva sia derivata dalla tardività della costituzione in giudizio del Comune o comunque dal deposito tardivo delle memorie, sicchè vano risulta il richiamo degli artt. 24 e 11 Cost.. Nè la norma di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23, che viene indicata per sostenere che da tale ritardato deposito scaturisce automaticamente la nullità della sentenza, contiene una simile previsione; consta invece nella giurisprudenza di questa Corte l'affermazione che nel procedimento di opposizione all'ordinanza - ingiunzione irrogativa di sanzioni amministrative, la previsione della trasmissione, posta dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, comma 2, a carico dell'autorità che ha emesso il provvedimento impugnato, degli atti relativi all'infrazione al giudice che li abbia richiesti, a prescindere dalla costituzione in giudizio di detta autorità, non preclude a quest'ultima la facoltà1 di costituirsi e di depositare poi ogni altro documento ritenuto opportuno per spiegare le proprie difese, nè dispensa il giudice dal dovere, di cui all'art. 116 cod. proc. civ., di compiere una valutazione completa di detti documenti, ponendoli a sostegno dell'accertamento relativo alla violazione commessa. (Cass 12821/03; v. anche n. 14016/02).
Manifestamente infondato è anche il preteso vizio processuale denunciato con il terzo motivo. Il termine per il deposito della motivazione della sentenza resa al termine del procedimento speciale di cui alla L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 è infatti termine ordinatorio, senza che alcuna disposizione preveda che la violazione di esso comporti nullità della sentenza. Nè ha rilevanza il fatto che sia stata citata in motivazione una sentenza di legittimità emessa dopo la lettura del dispositivo della sentenza impugnata. Le sentenze della Corte non costituiscono infatti jus superveniens di cui sarebbe preclusa la rilevanza in una controversia già definita, ma interpretazioni del diritto vivente, richiamate dal giudice di merito a motivazione del percorso argomentativo che ha fondato la decisione già resa.
Inoltre nei gradi di impugnazione ogni sentenza della stessa Corte sarebbe stata comunque utilizzabile, sicchè il motivo di ricorso risulta comunque inammissibile per carenza di interesse.
Secondo, quarto e quinto motivo possono essere trattati congiuntamente perchè sono relativi alla contestata utilizzabilità dell'apparecchiatura autovelox per far risultare la violazione commessa dal conducente del veicolo, fermo che il vizio processuale di cui al secondo motivo non sussiste, perchè dalla sentenza (pag. 5 prima parte) non risulta che sia stata accolta l'eccezione di domanda nuova, meramente riportata in narrativa ma non risolta in motivazione.
Due sono in sostanza le lamentele dei ricorrenti: a) l'omesso, prova di idoneo documento di revisione periodica dell'apparecchiatura e relativo obbligo di taratura; b) la carenza di apposita omologazione che consentisse il funzionamento automatico senza presidio dell'organo di polizia.
Il primo rilievo è infondato. La Corte ritiene infatti di confermare quanto già in altri casi deciso (cfr sent. 23978 del 19 11 2007, pag. 22, relativa a sanzione accertata nel 2005), affermando che le apparecchiature elettroniche utilizzate per rilevare le violazioni dei limiti di velocità stabiliti, come previsto dall'art. 142 C.d.S., non devono essere sottoposte ai controlli previsti dalla L. n. 273 del 1991, istitutiva del sistema nazionale di taratura. Tale sistema di controlli, infatti, attiene alla materia ed metrologica diversa rispetto a quella della misurazione elettronica della velocità ed è competenza di autorità amministrative diverse, rispetto a quelle pertinenti al caso di specie.
Anche il secondo rilievo, sviluppato nel quarto e quinto motivo di ricorso e ai punti 4 e 5 della memoria, risulta privo di fondamento.
Preliminarmente occorre chiarire che non giova ai ricorrenti la sentenza n. 277 del 2007 della Corte costituzionale, che ha dichiarato infondata la questione sottopostale (art. 45 C.d.S.) per erronea individuazione della norma indicata come termine di comparazione, così non pronunciandosi sulla necessità di verifiche successive del funzionamento degli apparecchi. In secondo luogo mette conto qui riportare il contenuto della citata sentenza n. 23978 del 2007, che ha risolto analogo ricorso. Si legge colà che il legislatore non ha adottato nessuna disposizione che commini la decadenza delle omologazioni rilasciate alle apparecchiature in utilizzo. E la sentenza così prosegue:
"In particolare, si è ritenuto che:
- la necessità di omologazione dell'apparecchiatura di rilevazione automatica, ai fini della validità del relativo accertamento, va riferita al singolo modello e non al singolo esemplare, come si desume, sul piano logico e letterale, dal D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 345, comma 2, così come modificato dal D.P.R. 16 settembre 1996, n. 610, art. 197, secondo cui non ciascun esemplare ma "le singole apparecchiature" devono essere approvate dal Ministero dei lavori pubblici (Cass. 5.7.06 n. 15324, 24.3.04 n. 5889);
- ... l'errore tecnico, imputato al Ministero dei Lavori Pubblici nell'esercizio del potere di classificazione degli apparecchi elettronici di rilevazione della velocità può essere fatto valere dall'interessato solo per il tramite di un vizio di legittimità dell'atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere), ma non domandando al giudice, eventualmente anche a mezzo di consulente tecnico, un sindacato di merito di tipo sostitutivo del giudizio espresso dalla P.A. (Cass. 2.8.05 n. 16143);
- il termine di validità dell'omologazione da parte dei competenti organi ministeriali attiene non ad un arco di tempo durante il quale l'apparecchiatura può essere validamente utilizzata ed oltre il quale tale utilizzazione non è più legittima - dacchè tale operatività, una volta omologato il modello, dipende soltanto dalla permanente funzionalità della singola apparecchiatura - ma ad un arco di tempo durante il quale le apparecchiature di quel modello possono continuare ad essere commercializzate dal costruttore; ciò che si evince chiaramente sia dal D.M. 30 novembre 1998, n. 6025, art. 3, sia dal D.M. 20 marzo 2000, n. 1824, art. 2, sia dalle premesse dei detti decreti, nelle quali risulta come la determinazione ministeriale sia adottata sulla richiesta del produttore onde autorizzare la commercializzazione del prodotto in quanto riscontrato conforme agli standard normativamente richiesti;
pertanto, la scadenza del termine d'omologazione del modello d'apparecchiatura incide soltanto sulla possibilità per il costruttore di continuare a vendere le apparecchiature di quel modello e non sull'ulteriore utilizzabilità, oltre la scadenza di quel termine, delle apparecchiature già esistenti da parte degli organi operativi che ne siano dotati; diversamente opinando, si perverrebbe all'assurda conseguenza per cui un'apparecchiatura acquistata in prossimità della scadenza dell'omologazione diverrebbe inutilizzabile a far data da tale scadenza pur se perfettamente funzionante ed idonea allo scopo in ragione degli accertamenti in base ai quali era stata concessa l'omologazione del modello (Cass. 26.4.07 n. 9950);
- nel caso di violazione dei limiti di velocità rilevata attraverso apparecchiature "autovelox", la mancata contestazione immediata della violazione, qualora l'organo accertatore abbia dato atto a verbale dei motivi che hanno reso impossibile procedere alla stessa e tali motivi configurino una delle ipotesi previste dall'art. 384 C.d.S., lett. e), del regolamento di esecuzione del codice della strada, non è consentito al giudice un apprezzamento al riguardo, con l'indicazione di apparecchi più adeguati (o con la prospettazione di una diversa organizzazione del servizio), risolvendosi una tale valutazione in una inammissibile ingerenza nel modus operandi dellapubblica amministrazione, in linea di principio non sindacabile dal giudice ordinario (Cass. 7.11.03 n. 16713, 2.8.05 n. 16143);
in tema di rilevazione dell'inosservanza dei limiti di velocità dei veicoli a mezzo di apparecchiature elettroniche, nè il codice della strada (art. 142, comma 6) nè il relativo regolamento di esecuzione (D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 345) prevedono che il verbale di accertamento dell'infrazione debba contenere, a pena di nullità, l'attestazione che la funzionalità del singolo apparecchio impiegato sia stata sottoposta a controllo preventivo e costante durante l'uso, giacchè, al contrario, l'efficacia probatoria di qualsiasi strumento di rilevazione elettronica della velocità dei veicoli perdura sino a quando non risultino accertati, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall'opponente e debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionalità dello strumento stesso, o situazioni comunque ostative al suo regolare funzionamento, senza che possa farsi leva, in senso contrario, su considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse all'idoneità della mancanza di revisione o manutenzione periodica dell'attrezzatura a pregiudicarne l'efficacia ex art. 142 C.d.S. (Cass. 5.7.06 n. 15324, 16.5.05 n. 10212, 20.4.05 n. 8233, 10.1.05 n. 287, 22.6.01 n. 8515, 5.6.99 n. 5542);" A questo insegnamento la Corte rimane fedele, non essendo scalfito dalla considerazioni di parte ricorrente, che si ostinano a riproporre la necessità di un onere probatorio aggiuntivo dell'amministrazione, oltre quello relativo all'accertamento strumentale dell'eccesso di velocità, relativo alla funzionalità della apparecchiature sulla base, come da ultimo si è riportato, di astratte congetture.
Discende da quanto esposto la manifesta infondatezza del ricorso e la condanna dei soccombenti alla refusione delle spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 680,00 di cui 100,00 per spese e Euro 580,00 per onorari.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 31 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2008.

12/06/08

Corte di Cassazione, sent. 12.06.08

La responsabilità del blogger. Il blog non è "stampa".
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONESEZIONE V PENALE
Sentenza 15 maggio – 12 giugno 2008, n. 24018
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
OSSERVA
Con sentenza del 30 gennaio 2007 la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia di condanna di primo grado, ha assolto - per non aver commesso il fatto - L.F. dal reato di cui all'art. 595 c.p., comma 1 e 3, contestatole "per avere offeso la reputazione di O.A. (all'epoca capo della redazione del settimanale ****), con attribuzione di fatto determinato, mediante pubblicazione su un sito internet (Il barbiere della se la") di un articolo dal titolo "no e poi no. Col barbiere non parlerò", firmato con lo pseudonimo "la ragazza del bar", nel quale affermava contrariamente al vero che un magistrato milanese aveva ottenuto un risarcimento di L. 15.000.000 da Panorama a causa di un articolo dell' O. su tale periodico, a contenuto diffamatorio".La decisione adottata dalla corte romana si affida alle seguenti considerazioni:- lo scritto incriminato, stilato dalla L., non in dica in alcun modo l' O. come autore del pezzo diffamatorio apparso su Panorama, redatto invece da altro giornalista ( M.A.), nè quale "direttore responsabile di questo settimanale, dunque in qualche modo responsabile della pubblicazione per la quale il giornale ave va riportato condanna";- sono invece il titolo e la presentazione del pezzo sul "blog" che esplicitamente attribuiscono l'articolo all' O., sicchè non è possibile superare l'argomento portato a difesa dell'imputata, secondo cui essi erano stati redatti da altre persone - e segnatamente dai responsabili, o titolari o beneficiari o proprietari del "blog" medesimo - così come avviene del resto con riferimento agli articoli pubblicati si giornali e periodici, dove l'impaginazione, il titolo, i sottotitoli, le fotografie e simili sono decisi dalla redazione e non dall'articolista;- e non pare riuscito il tentativo dell'accusa di dimostrare che il "blog" altro non sia che una emanazione della stessa L., a cui qualche tempo dopo i fatti esso risultò, intestato, essendo comparse in causa altre persone (teste I.L.) a cui probabilmente faceva capo, almeno all'epoca del fatto.Propone ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 576 c.p.p., il difensore della parte civile, lamentando violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) e b), sotto vari profili, in relazione all'art. 192 c.p.p., comma 1 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e).Rileva preliminarmente il Collegio che non vi e spazio per la tesi in rito esposta dal difensore dell'imputata all'odierna udienza a supporto della eccepita inammissibilità del ricorso proposto dalla parte civile.Occorre ricordare infatti che la parte civile è legittimata a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento o di assoluzione ed a chiedere la condanna dell'imputato alle restituzioni ed al risarcimento del danno, senza che possa essere di ostacolo l'inammissibilità o la mancanza dell'impugnazione del pubblico ministero, posto che l'art. 576 c.p.p., prevede una deroga rispetto a quanto stabilito dall'art. 538 c.p.p., e in tal modo legittima la parte civile non solo a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento o di assoluzione, ma anche a chiedere l'affermazione di responsabilità penale dell'imputato ai soli fini dell'accoglimento della domanda di restituzione o di risarcimento del danno (v. Sfass. Sez. 1^, 12 marzo 2004, Maggio ed altri, rv. 227971; Cass. 3 sez. 5^, 6 febbraio 2001, Maggio, rv 218905).Ciò premesso, devono ritenersi fondate - per contro - le censure che il ricorrente appunta sulla motivazione delle, sentenza, di appello.Può richiamarsi, al riguardo, la pacifica statuizione giurisprudenziale secondo la quale il ribaltamento in appello di una decisione di: condanna postula la specifica puntuale spiegazione dei passaggi argomentativi attraverso i quali il giudice del gravame reputa superabile l'opposta motivazione di prima istanza.L'esame delle due pronunce intervenute in sede di me rito induce a concludere che il predetto principio non sia, stato in concreto rispettato, non avendo il giudice d'appello assolto all'onere di compiuta argomentazione delle sue decisioni.In particolare - e a parte l'infecondo tentativo di estendere, in campo penale, alle comunicazioni telematiche la normativa sulla stampa, specie in un caso, come quello di specie, in cui il sito internet non risulti neppure soggetto a registrazione, anch'esso che potesse esserlo, il che imponeva di considerare gravante comunque sulla imputata, indiscussa autrice dello scritto, l'onere di provare con assoluta certezza che altri, e a sua insaputa, avesse introdotto il differente "titolo e sottotitolo" del pezzo - la corte territoriale avrebbe dovuto anzitutto dar conto, in modo effettivamente esauriente, del ragionamento in forza del quale era possibile affermare, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, che "Il barbiere della sera" fosse un "blog", nel quale occorreva avere una password per accedere al sito, in possesso esclusivo del gestore, proprietario o titolare, cui spettava la confezione del titolo e la presentazione del pezzo inviato.L'assunto si risolve invece in una pura affermazione, non essendo fondato su alcun dato probatorio: si evoca, in proposito la comparsa in processo di "altre persone(teste I.L.), cui avrebbe fatto capo all'epoca del. fatto il sito", senza considerare tuttavia che tale I. non è stato escusso come testimone e di lui parla soltanto la teste D.V., le cui indicazioni, peraltro, risultano completamente disattese dal tribunale, per il quale la riconducibilità de "Il barbiere della sera" alla L. è attestata dall'insieme delle risultanze processuali, compresa la copiosa documentazione prodotta dalla parte civile (anch'essa del tutto ignorata dal provvedimento impugnato), inducente a ritenere che l'imputata avesse sempre avuto libero accesso al sito stante la sua continua attività svoltavi.Ma, a parte questo, il giudice "a quo" avrebbe dovuto anche spiegare le ragioni del suo diverso avviso rispetto all'argomentare del tribunale sul fatto che "il testo" dello scritto fosse "perfettamente" in linea con "il titolo e sottotitolo" del medesimo.Pure su questo aspetto le censure del ricorrente colgono nel segno.Invero, la valutatone operata dalla corte territoriale appare a dir poco superficiale. Il giudice d'appello si limita a dire che il testo non riporta l' O. quale auto re dell'articolo apparso su Panorama e lo indica esatta mente come "capo della redazione romana" al quale si vorrebbero chiedere, con un'intervista, dei "chiarimenti", stigmatizzandosi il rifiuto ricevuto attraverso una segretaria senza nemmeno una domanda sul tema, dell'eventuale intervista. Ma si astiene dal commentare gli ulteriori passaggi, che neppure riporta e che, secondo la prospettazione accusatoria, si prestavano ad essere interpretati - anche in forza della mancata indicazione, pure nel testo, dell'effettivo autore dell'articolo pubblicato dal settimanale romano, il menzionate M., e del fatto che "i chiarimenti" fossero stati richiesti proprio all' O. e non al M. o al direttore responsabile del periodico - come idonei a convincere il lettore che l' O. potesse essere comunque "coinvolto" nella pubblicazione dell'articolo riguardante il magistrato milanese.L'impone pertanto l'annullamento della, sentenza impugnata con rinvio, che va disposto, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
La Corte:Annulla agli effetti civili la sentenza impugnata e rinvia per il giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.Le spese al definitivo.Così deciso in Roma, il 15 maggio 2008.Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2008.

04/06/08

Trib. Monza, 04/06/2008

L'inderogabilità del criterio di determinazione della competenza territoriale desumibile dalla legislazione a tutela del consumatore (art. 33, comma 2, lett u.) D.Lgs. n. 206/2005 e, in precedenza, art. 1469-bis, comma 3, n. 19, c.c.) riguarda solamente il professionista e non anche il consumatore, il quale può liberamente rinunziare a tale criterio, posto nel suo esclusivo interesse, derogandovi in favore di uno dei fori competenti in via alternativa ai sensi degli artt. 18, 19 e 30 c.p.c..

01/06/08

Tribunale Catania, sentenza 01.06.08 n 2795

Tribunale di Catania
Sezione IV Civile
Sentenza 1 giugno 2008 n. 2795
TRIBUNALE DI CATANIA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il dott. Benedetto Paternò Raddusa, Giudice della Quarta Sezione civile,
ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al nr 11039/03 R.G. avente ad oggetto
condannatorio
promossa da
….. spa,
in persona del legale rappresentante pro tempore
con la difesa degli avvocati Rosanna Cafaro e Nunzio Santi Di Paola
Attrice

CONTRO

Unicredit Banca D'Impresa spa ,
in persona del legale rappresentante pro tempore ,
con la difesa dell'avvocato Nino Giannitto
Convenuta e chiamante
E nei confronti di
……….
e ………………
con la difesa degli avvocati Rosanna Cafaro e Nunzio Santi Di Paola
Terzi chiamati
All'udienza del 13/11/07 i procuratori delle parti precisavano le rispettive conclusioni come da verbale e la causa veniva spedita a sentenza previo decorso del termine per il deposito delle comparse conclusionali e di replica.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 17/11/03 la …. spa conveniva in giudizio la Unicredit Banca D'Impresa spa all'uopo evidenziando : di essere titolare di un rapporto di conto corrente intrattenuto con la banca convenuta; che in virtù del detto contratto la convenuta aveva ottenuto il pagamento di interessi debitori in misura superiore a quella di legge in violazione del disposto di cui all'art 1284 c.c., in assenza di una precisa determinazione scritta in tal senso, all'uopo avvalendosi illegittimamente del riferimento agli usi su piazza e provvedendo, altresì , alla capitalizzazione trimestrale dei detti accessori , in contrasto al disposto di cui all'art 1283 c.c.; ancora che il contratto prevedeva l'applicazione della ed valuta d'uso, previsione anch'essa viziata da indeterminatezza oltre che della commissione di massimo scoperto , anche qui in assenza di apposita previsione contrattuale; infine, che risultavano superati i tassi soglia di cui alla legge 108/96. In conseguenza di siffatte invalidità parziali deduceva, quindi che andava rivisitato il saldo del rapporto in questione e condannata la convenuta al pagamento del saldo attivo emerso in esito a siffatta rivisitazione quale restituzione delle somme versate in eccedenza lungo il corso del rapporto.
Iscritta la causa a ruolo si costituiva la banca convenuta che contestava, in fatto e diritto, le ragioni poste a fondamento della domanda negando la sussistenza della invalidità parziali addotte dall'attore; deduceva per contro la presenza di un saldo debitore relativo al conto in oggetto per complessivi euro 860.870,31 oltre interessi.
Instava, quindi, in riconvenzionale per la condanna dell'importo portato dal saldo del conto maggiorato degli interessi ai danni della attrice oltre che dei fideiussori …. e … nei cui confronti chiedeva ex art 269 c.p.c. di estendere il contraddittorio.
Autorizzata la chiamata, e notificata la relativa citazione si costituivano i fideiussori … e …. che concludevano per la reiezione della richiesta di condanna articolata nei loro confronti.
Acquisita la documentazione in atti, nel corso del giudizio veniva disposta una Ctu.
Indi sulle risultanze della detta relazione e sulle conclusioni delle parti, la causa veniva spedita a Sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda della …. spa è solo parzialmente fondata e va accolta nei termini meglio precisati da qui a poco; la domanda della convenuta ai danni della attrice in riconvenzionale e dei chiamati va rigettata integralmente.
Giova segnalare, in punto di fatto, come costituisca un dato incontroverso quello in forza al quale il rapporto di conto che oggi occupa il Tribunale è stato stipulato dalla …. spa con la banca convenuta ben prima della data del 2/11/1993, momento - cui risale il primo degli estratti conto allegati in giudizio. Più precisamente, l'attrice - in citazione e nella consulenza di parte allegata - afferma che il rapporto ebbe a sorgere qualche anno prima del 1992 senza che siffatta circostanza sia stata mai
oggetto di specifica contestazione da parte della convenuta. Del resto e peraltro, nell'elaborato tecnico di parte convenuta si fa riferimento (senza per la verità riportare poi i singoli dati contabili probabilmente per non essere più la banca in possesso dei relativi estratti in linea capitale e scalari) al 16/12/90 quale momento di decorrenza del rapporto.
Sempre in fatto va altresì evidenziato che non risulta allegata la lettera contratto relativa al rapporto in esame senza che ciò abbia tuttavia influito sulla validità in se del rapporto, trattandosi di contratto, per quanto sopra evidenziato, stipulato prima della entrata in vigore della legge 154/92, momento dal quale è sorto l'obbligo di forma scritta imposto ex lege (peraltro sanzionato a pena di nullità rilevabile dal solo cliente).
Infine, la difesa della convenuta ha allegato in atti due lettere, sottoscritte per adesione dalla correntista , risalenti , rispettivamente, al 28 Ottobre 1999 ed al 19 aprile 2001, in seno alle quali risulta stabilito per iscritto il saggio di interesse debitore convenzionale diretto a regolamentare il conto in esame.
La attrice, nel fondare la propria richiesta diretta alla rivisitazione della movimentazione del conto, ha dedotto tutta una serie di nullità parziali o comunque di applicazioni non riscontrate sul piano dell'accordo negoziale, accertate solo in parte in esito al processo in esame.
E, così, quanto al saggio degli interessi debitori, ha lamentato la violazione del tasso soglia via via previsto a far data dalla entrata in vigore della legge 108/96; ma è tuttavia noto che, a parere di questo Tribunale, la citata disposizione legislativa deve ritenersi non retroattiva e quindi non applicabile ai contratti, come quello di specie, precedenti alla vigenza della stessa alla luce di quanto precisato dalla legge di interpretazione autentica nr 24/01.
Sempre con riferimento agli interessi debitori parte attrice lamenta, stavolta fondatamente, la applicazione, lungo il corso del rapporto, di interessi in misura superiore al saggio di legge; ancora, afferma, che in via di prassi i medesimi accessori venivano capitalizzati trimestralmente; infine lamenta la applicazione di cms e di valute differenti da quelle legate alla data contabile delle rispettive operazioni in mancanza di apposite previsioni negoziali in tal senso.
Poco da dire sulla prima contestazione, atteso che la applicazione di un saggio di interesse debitore, diverso e maggiore rispetto a quello di legge prevede, ex art. 1284 c.c., la apposita convenzione scritta in tal senso assunta dalle parti . E nella specie, in mancanza del contratto, quantomeno sino alla lettera sopra citata dell'ottobre 1999, non poteva essere applicato al rapporto altro saggio di interesse diverso da quello di legge con conseguente sostituzione automatica.
Parimenti, non si poteva procedere alla capitalizzazione degli accessori in questione per non incorrere nel divieto di anatocismo di cui all'art 1283 c.c. avuto riguardo a quanto ormai affermato, in via consolidata, dalla giurisprudenza sul tema della Corte regolatrice ( in ordine alla quale basta rifarsi a Cass. SS. UU. 21095/04 ).
Infine , in assenza di apposita previsione negoziale in tal senso, non potevano essere computate le CMS (quantomeno, come per gli interessi, sino alla lettera dell'ottobre 1999) né considerate valute diverse da quelle della contabile riferibile a ciascuna operazione.
Alla luce di siffatte situazioni occorreva quindi, sulla base della documentazione in atti, procedere, tramite apposita indagine tecnica, ad una rivisitazione della movimentazione del conto operata sostituendo al saggio di interesse debitore quello via via applicato lungo il corso del rapporto sino al primo momento di determinazione scritta; omettendo di operare la capitalizzazione dei medesimi accessori e di computare le CMS e di applicare valute diverse da quelle di cui alla contabile. E cosi facendo si é pervenuti ad un saldo finale del conto avente un segno negativo, perché a debito del correntista per euro 872.208,38 (si guardi la relazione del CTU all'uopo acquisita).
Siffatto risultato processuale, se per un verso paralizza definitivamente la pretesa della attrice diretta ad ottenere, in esito alla rivisitazione del conto, il pagamento del saldo in eccedenza all'uopo riscontrato (assorbendo in se, peraltro, ogni ulteriore approfondimento motivato dalle contestazioni di parte convenuta), per altro verso non può essere utilizzato al fine di fondare la statuizione di condanna invocata dalla convenuta a danno della correntista e dei fideiussori.
Si è detto che per pervenire ad una esatta determinazione del saldo finale del conto corrente che occupa è stato necessario procedere ad una rielaborazione della movimentazione del rapporto emendandola delle situazioni di invalidità riscontrate.
Ed é di tutta evidenza che siffatta ricostruzione contabile trovava un imprescindibile momento di riscontro probatorio negli estratti di movimentazione del conto, giacché solo attraverso una rivisitazione dei risultati aritmetici del conto può correttamente pervenirsi alla individuazione del saldo, positivo o negativo, del rapporto siccome rideterminato in nome delle regole correttive imposte oggi dall'intervento giudiziale .
Nella specie, malgrado la stipula del rapporto che occupa risalga, per quanto già osservato, verosimilmente al dicembre del 1990, risultano tuttavia allegati estratti a far data dal 2 novembre 1993 rimanendo per contro probatoriamente scoperto il periodo relativo alla movimentazione tra la data di accensione del rapporto e quella del 1 novembre 1993 (quasi un triennio).
Ora, ad opinione del decidente
l'accoglimento della domanda di condanna articolata dalla banca presuppone la positiva allegazione di tutti gli elementi probatori utili alla dimostrazione degli elementi costitutivi della relativa pretesa;
nella specie, in esito alle accertate invalidità negoziali e alla riscontrata necessità di procedere ad una rideterminazione del saldo finale del conto, acquisisce, proprio al fine della dimostrazione dei momenti costitutivi della pretesa, una fondamentale importanza l'allegazione di tutti gli estratti riepilogativi del conto, dalla apertura alla definizione, giacché solo attraverso una compiuta ed integrale rivalutazione continuativa dei singoli saldi trimestrali può coerentemente pervenirsi all'accertamento dell'ipotetico saldo debitorio finale nel quale si concreta la domanda di adempimento della banca mentre, per converso, la parziale allegazione degli estratti impedisce una corretta ricostruzione dei rapporti di dare e avere cristallizzati in conto ( depurati della capitalizzazione e delle cms e computati con la sostituzione automatica di cui all'art 1284cc e le valute contabili);
l'esigenza di una integrale e continuativa ricostruzione dei saldi secondo le regole correttive sopra segnalate e quindi l'allegazione, a cura ed onere della banca, di tutti gli estratti riepilogativi, dall'inizio alla fine del rapporto, non sembra intaccata dal disposto di cui all'art 119 TU 385/93 in forza del quale la banca può si ritenersi legittimata a non conservare per oltre un decennio la documentazione legata al conto ma non a pretendere, ove abbia provveduto alla distruzione della documentazione precedente al decennio, di essere per ciò solo esonerata dagli ordinari impegni probatori ogni qual volta intenda fondare la propria pretesa su situazioni sostanziali destinate a trovare riscontro proprio nella documentazione distrutta.
In coerenza a quanto sopra esposto deve pervenirsi alla reiezione anche della domanda di condanna articolata dalla banca. E' infatti evidente che l’indagine tecnica realizzata dal Ctu, caduta su un arco temporale che non coincide con il periodo di integrale svolgimento del rapporto perviene ad un risultato, il saldo passivo del conto così come indicato in relazione, che non può ritenersi appagante ai fini dell'accoglimento della relativa pretesa giacché prende le mosse da un punto di partenza (il saldo ricavabile dal primo degli estratti conto allegati, peraltro a debito per la considerevole cifra di £. 230.772.407) che non trova alcun conforto documentale proprio perché mancano gli altri (e preesistenti) estratti riepilogativi che ne costituiscono illogico presupposto.
Ne viene che il credito della banca, resta indeterminato sia nell'an (giacché nulla esclude che la rideterminazione dei saldi secondo le correzioni imposte dalla presente statuizione volta che si prendano le mosse dalla data di instaurazione del rapporto, possa portare anche ad un azzeramento del debito se non addirittura ad invertire il segno del rapporto) che soprattutto nel quantum per un fatto processualmente ascrivibile alla banca (attrice in riconvenzionale) si da provocare la reiezione della relativa domanda in parte qua siccome articolata ai danni della correntista e dei chiamati.
Concludendo, la domanda della società attrice va accolta limitatamente alla sola declaratoria delle invalidità parziali del rapporto di conto riscontrate nel corso del giudizio e, per altro verso, rigettata quanto alla richiesta di condanna articolata ai danni della convenuta sul presupposto di siffatte invalidità avuto riguardo al fatto che l'indagine espletata, pur con i limiti di attendibilità già sopra segnalati, ha comunque portato ad un risultato debitorio per la correntista.
La domanda della convenuta, articolata in riconvenzionale ai danni della attrice e dei chiamati va rigettata, perchè non adeguatamente supportata sul piano probatorio.
Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio, quelle di consulenza, liquidate come in istruttoria, vengono definitivamente poste a carico di entrambe i contraddittori in solido tra loro.

P.Q.M.

il Dott. Benedetto Paternò Raddusa, Giudice della IV sezione civile del Tribunale di Catania, disattesa ogni ulteriore istanza, in parziale accoglimento della domanda articolata dalla … spa, dichiara la nullità del contratto di conto corrente stipulato tra l'attrice e la convenuta Unicredit Banca D'Impresa spa siccome individuato in motivazione per violazione del disposto di cui agli artt 1284 c.c. ( sino alla data del 28/10/99) e 1283 c.c. e per il resto rigetta
• la domanda di condanna articolata dalla …. spa ai danni della convenuta Unicredit Banca D'Impresa spa
• la domanda di condanna formulata dalla convenuta Unicredit Banca D'Impresa spa ai danni della attrice …. spa e dei chiamati … e ….
Compensa tra le parti le spese del giudizio e pone definitivamente a carico delle stesse ed in solido tra loro le spese di consulenza.
Così deciso in Catania il 23 maggio 2008.
Depositato in segreteria il 1 giugno 2008.

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