ARCO IUS

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29/01/09

Corte Cass., sez. V penale, sent. 4239/09


Sentenze – pubblicazione – omissione delle generalità – necessità – esclusione [art. 52, D.lgs. 196/03]
In tema di diffusione del contenuto delle sentenze o di altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria, è sempre lecita la pubblicazione integrale su internet, anche con l’indicazione delle generalità dei soggetti interessati, a meno che i soggetti medesimi non abbiano espressamente richiesto di omettere le proprie generalità ed ogni altro dato identificativo.

(Fonte: Altalex Massimario 7/2009)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 29 gennaio 2009, n. 4239

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Svolgimento del processo e motivi della decisione

Il Tribunale di Avezzano, il 26/10/2007, in riforma della sentenza del Giudice di pace di Avezzano del 29/12/2005, dichiarava … colpevole del reato di ingiuria in danno di … all’esito di uno scambio di e-mail tra lo … e l’…., relativamente alla pubblicazione di una sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dalla Corte dei Conti, pubblicata sul sito web di informazione giuridica curato dall’ …, il … aveva inviato all’… una e-mail contenente l’espressione: “Lei sarà avvocato ma è ignorante; … ignorante quindi ed imbroglione”.
Il Tribunale, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di pace, escludeva l’esistenza dei presupposti di cui all’art. 599 c.p. Quanto al “fatto ingiusto” il Tribunale affermava che la pubblicazione della sentenza di condanna del … era avvenuta nel rispetto della normativa vigente e che “secondo il contenuto delle e-mail in atti, la … aveva manifestato sin dall’inizio la propria volontà di provvedere alla tempestiva rettifica, richiedendo al … gli estremi della sentenza di revocazione”. Quanto all’”immediatezza”, riteneva che “tra la censurata reazione e la detta pubblicazione al momento dei fatti era intercorso un arco temporale tale da non poter ragionevolmente ravvisare il preteso nesso eziologico tra il fatto ingiusto e lo stato d’ira”.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso il …, lamentando la violazione dell’art. 606 co. 1 lett e) e b) c.p.p. con riferimento all’art. 599 c.p.. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla ricorrenza dello stato d’ira determinato da fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto. Il giudice avrebbe riportato in modo errato i fatti di causa e la cronologia degli stessi, ed avrebbe omesso parti fondamentali della e-mail inviata dall’avv. …, quest’ultimo, contrariamente alle affermazioni del giudicante, avrebbe evidenziato un atteggiamento ostile, saccente e provocatorio. Illogica sarebbe la motivazione nella parte in cui avrebbe escluso la esimente; erroneamente il giudice di merito avrebbe escluso l’ingiustizia del fatto, con riferimento all’art. 52 del d.lgs. 196/2003, senza rilevare che il sito della Corte dei Conti riportava la decisione con le solo iniziali degli imputati; il Tribunale avrebbe fatto erronea applicazione dei presupposti richiesti dall’art. 599 c.p. per quanto attiene l’ingiustizia del fatto – tale dovrebbe considerarsi anche i fatti antisociali - , nonché dell’immediatezza – da interpretare con elasticità -. Il tribunale non avrebbe altresì considerato che la e-mail incriminata sarebbe stata inviata dopo la revoca della sentenza, così operando un travisamento dei fatti. Le parole ignorante ed imbroglione sarebbero state pronunciate dopo che … si era rifiutato di dare notizia della revoca della decisione.

Il ricorso va rigettato.

Il Tribunale, con adeguata e coerente motivazione, ha ritenuto la liceità della pubblicazione integrale sul sito Eius della sentenza di condanna pronunciata dalla Corte dei Conti nei confronti di …, sia in quanto avvenuta nel pieno rispetto della normativa di cui all’art. 52 D.lgs. 30/6/2003, n. 196, sia perché reperibile attraverso la banca dati presente sul sito ufficiale della cennata Corte.
Il limiti di accesso alla banca dati della Corte dei Conti dedotti dal ricorrente non escludono la liceità della pubblicazione in quanto comunque conforme al disposto dell’art. 52 D.lgs. 196/2003.
Essendo il controllo di questa Corte limitato alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento impugnato, va esclusa una diversa lettura del materiale probatorio, e, in articolare della valutazione del tribunale circa la ricostruzione degli eventi nonché la ritenuta volontà dell’… di provvedere alla tempestiva rettifica.
L’esclusione della sussistenza del fatto ingiusto comporta l’irrilevanza delle censure mosse alla decisione nella parte in cui si è escluso il presupposto dell’immediatezza.
Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma 11/12/2008.
Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2009.

26/01/09

Corte Cost., sent. n. 19 - 26.01.09

Sentenza della Corte Costituzionale 26 gennaio 2009, n. 19


“"Giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53).
Disabile - Figlio convivente - Diritto al congedo straordinario per l'assistenza - Mancata previsione.”

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE


composta dai signori:
Giovanni Maria FLICK (Presidente), Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi, MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA


nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso con ordinanza del 26 marzo 2008 dal Tribunale di Tivoli nel procedimento civile vertente tra C.F. e l'Istituto superiore «Zambeccari», iscritta al n. 244 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 2008.

Visto l'atto di costituzione di C.F.;
udito nell'udienza pubblica del 2 dicembre 2008 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;
udito l'avvocato Giampaolo Ruggiero per C.F.

Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 26 marzo 2008, il Tribunale di Tivoli, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), per violazione degli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione.
Ad avviso del Tribunale rimettente, la norma contrasterebbe con i citati parametri costituzionali «nella parte in cui esclude dal novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il figlio convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona affetta» da disabilità grave.
1.1. – Nell'ordinanza di rimessione si precisa che il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso proposto ai sensi dell'art. 700 del codice di procedura civile avverso il provvedimento con il quale un Istituto statale di istruzione superiore aveva respinto l'istanza avanzata da un proprio dipendente – inquadrato come collaboratore scolastico a tempo indeterminato – finalizzata ad ottenere il riconoscimento del diritto al congedo straordinario retribuito per poter assistere la madre in situazione di disabilità grave, certificata ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), in quanto unico soggetto convivente.
Il rigetto dell'istanza da parte dell'Amministrazione, afferma il rimettente, è stato motivato in ragione della mancata menzione espressa, nella disposizione censurata, del figlio del genitore disabile tra i soggetti legittimati alla fruizione del congedo straordinario retribuito.
2. – In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale rimettente osserva che questa Corte, con le sentenze n. 233 del 2005 e n. 158 del 2007, ha esteso il beneficio in esame; con la prima pronuncia, ai fratelli o alle sorelle conviventi nell'ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all'assistenza del figlio in situazione di disabilità grave perché totalmente inabili; con la seconda pronuncia, al coniuge convivente del disabile.
In particolare, ad avviso del giudice a quo, rileverebbe nel caso di specie l'affermazione di questa Corte secondo la quale la «ratio legis della disposizione normativa in esame consiste nel favorire l'assistenza al soggetto con handicap grave mediante la previsione del diritto ad un congedo straordinario - rimunerato in misura corrispondente all'ultima retribuzione e coperto da contribuzione figurativa - che, all'evidente fine di assicurare continuità nelle cure e nell'assistenza ed evitare vuoti pregiudizievoli alla salute psicofisica del soggetto diversamente abile, è riconosciuto non solo in capo alla lavoratrice madre o in alternativa al lavoratore padre ma anche, dopo la loro scomparsa, a favore di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi» (sentenza n. 233 del 2005). Il rimettente sottolinea, altresì, che, sempre secondo questa Corte, «l'interesse primario cui è preposta la norma in questione – ancorché sistematicamente collocata nell'ambito di un corpo normativo in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità – è quello di assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell'assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall'età e dalla condizione di figlio dell'assistito» (sentenza n. 158 del 2007).
3. – Alla luce di tali premesse, secondo il Tribunale di Tivoli, l'esclusione del figlio del disabile dal novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo retribuito previsto dall'art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, in mancanza di altre persone idonee ad occuparsi dello stesso, contrasterebbe in primo luogo con l'art. 3 della Costituzione, posto che lo «status di figlio è fonte dell'obbligo alimentare previsto dall'art. 433 del codice civile, nell'ambito del quale il figlio medesimo è collocato in via prioritaria rispetto allo stesso genitore dell'avente diritto»; di conseguenza, il mancato riconoscimento del relativo diritto nei confronti del figlio convivente, rispetto a quanto previsto per i genitori, il coniuge ed i fratelli conviventi, determinerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento del figlio rispetto agli altri congiunti del disabile.
In secondo luogo, sempre ad avviso del giudice a quo, detta esclusione violerebbe anche l'art. 2 Cost., «che richiede il rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà e la conseguente predisposizione di misure che consentano l'esercizio dei medesimi», nonché l'art. 32 Cost., poiché il diritto alla salute non verrebbe sufficientemente tutelato a causa della mancata garanzia ad un «soggetto lavoratore, avente lo status di unico convivente con persona affetta da stabile disabilità», della «predisposizione di idonee misure finalizzate alla prestazione della necessaria assistenza».
4. – In punto di rilevanza, infine, il Tribunale di Tivoli osserva che «la pretesa azionata dal ricorrente non può che essere esaminata in riferimento» alla disposizione censurata, risultando altresì dagli atti di causa che «l'istante è l'unico soggetto convivente con la madre […] riconosciuta affetta da handicap grave, ai sensi dell'art. 3, comma 3, legge n. 104 del 1992, dalla competente commissione della AUSL locale» e che il rigetto da parte della autorità scolastica dell'istanza di concessione del congedo straordinario avanzata dal ricorrente è motivata unicamente dalla mancata inclusione, nel novero dei soggetti legittimati, del figlio del disabile.
5. – Con memoria depositata in data 17 luglio 2008, si è costituito in giudizio il ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia accolta.
La parte privata, dopo aver ribadito la ricostruzione dei fatti e le argomentazioni svolte dal giudice rimettente, deduce in particolare che la disparità di trattamento determinata dall'esclusione del figlio di un disabile dai soggetti legittimati a poter usufruire del congedo straordinario retribuito riserverebbe «irragionevolmente una minor tutela sia al nucleo familiare del disabile […], rispetto a quella riservata alla sua famiglia di origine, sia al diritto alla salute dello stesso, la cui realizzazione è assicurata anche attraverso il sostegno economico della famiglia che lo assiste».

Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Tivoli, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui esclude dal novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il figlio convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona affetta» da disabilità grave, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione.
Ad avviso del giudice rimettente, infatti, la norma censurata, riconoscendo il diritto al congedo straordinario retribuito esclusivamente ai genitori della persona in situazione di disabilità grave, o, in alternativa, in caso di loro scomparsa o impossibilità (dopo la sentenza n. 233 del 2005 di questa Corte), ai fratelli e sorelle con essa conviventi, nonché (dopo la successiva sentenza n. 158 del 2007) al coniuge convivente del disabile, si porrebbe in contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost., determinando un ingiustificato trattamento deteriore di un soggetto, il figlio convivente, tenuto ai medesimi obblighi di assistenza morale e materiale nei confronti del disabile.
La norma in questione, al contempo, contrasterebbe con l'art. 2 Cost., il quale, imponendo il rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà, richiederebbe la predisposizione di misure idonee a consentirne l'adempimento, nonché con l'art. 32 Cost., in quanto la garanzia del diritto alla salute, ivi prevista, risulterebbe vanificata dalla mancata previsione del diritto al congedo straordinario a favore dell'unico soggetto convivente con la persona affetta da stabile disabilità e bisognosa della necessaria assistenza.

2. – La questione è fondata.
2.1. – Questa Corte ha operato un primo vaglio della norma censurata relativa all'istituto del congedo straordinario, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non prevedeva il diritto di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con un disabile grave a fruire del congedo ivi indicato, nell'ipotesi in cui i genitori fossero impossibilitati a provvedere all'assistenza del figlio handicappato perché totalmente inabili (sentenza n. 233 del 2005).
In quell'occasione la Corte ha sottolineato che il congedo straordinario retribuito si iscrive negli interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie che si fanno carico dell'assistenza della persona diversamente abile, evidenziando altresì il rapporto di stretta e diretta correlazione di detto istituto con le finalità perseguite dalla legge n. 104 del 1992, ed in particolare con quelle di tutela della salute psico-fisica della persona handicappata e di promozione della sua integrazione nella famiglia.
2.2. – Questa Corte ha poi dichiarato l'illegittimità costituzionale della medesima disposizione, nella parte in cui non includeva nel novero dei soggetti beneficiari, ed in via prioritaria rispetto agli altri congiunti indicati dalla norma, il coniuge convivente della persona in situazione di disabilità grave (sentenza n. 158 del 2007).
Con tale pronuncia si è posta in evidenza la ratio dell'istituto del congedo straordinario retribuito, alla luce dei suoi presupposti e delle vicende normative che lo hanno caratterizzato, rilevandosi che «sin dal momento della sua introduzione, […] l'istituto in questione mirava a tutelare una situazione di assistenza della persona con handicap grave già in atto, pur limitando l'ambito di operatività del beneficio ai componenti (genitori e, in caso di loro scomparsa, fratelli) della sola famiglia di origine del disabile». Conseguentemente, si è affermato che «l'interesse primario cui è preposta la norma in questione – ancorché sistematicamente collocata nell'ambito di un corpo normativo in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità – è quello di assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell'assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall'età e dalla condizione di figlio dell'assistito».
Sulla base di tali premesse, questa Corte ha ritenuto che il trattamento riservato dalla norma censurata al lavoratore coniugato con un disabile, che versi in situazione di gravità e con questo convivente, ometteva di considerare le situazioni di compromissione delle capacità fisiche, psichiche e sensoriali, tali da «rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione» – secondo quanto previsto dall'art. 3 della legge n. 104 del 1992 – che si fossero realizzate in dipendenza di eventi successivi alla nascita ovvero in esito a malattie di natura progressiva. In tal modo la stessa norma avrebbe comportato un inammissibile impedimento all'effettività dell'assistenza ed integrazione del disabile stesso nell'ambito di un nucleo familiare in cui ricorrono le medesime esigenze che l'istituto in questione è deputato a soddisfare, in violazione degli artt. 2, 3, 29 e 32 Cost.
2.3. – I principi appena richiamati sono applicabili anche all'ipotesi oggetto del presente giudizio.
La disposizione censurata, omettendo di prevedere tra i beneficiari del congedo straordinario retribuito il figlio convivente, anche qualora questi sia l'unico soggetto in grado di provvedere all'assistenza della persona affetta da handicap grave, viola gli artt. 2, 3 e 32 Cost., ponendosi in contrasto con la ratio dell'istituto. Questa, infatti, come sopra evidenziato, consiste essenzialmente nel favorire l'assistenza al disabile grave in ambito familiare e nell'assicurare continuità nelle cure e nell'assistenza, al fine di evitare lacune nella tutela della salute psico-fisica dello stesso, e ciò a prescindere dall'età e dalla condizione di figlio di quest'ultimo.
Inoltre, la suddetta omissione determina un trattamento deteriore dell'unico figlio convivente del disabile – allorché sia anche il solo soggetto in grado di assisterlo – rispetto agli altri componenti del nucleo familiare di quest'ultimo espressamente contemplati dalla disposizione oggetto di censura; trattamento deteriore che, diversificando situazioni omogenee, quanto agli obblighi inderogabili di solidarietà derivanti dal legame familiare, risulta privo di ogni ragionevole giustificazione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE


dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il figlio convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2009.

F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2009.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA

Corte Cass., sez. un. sent. n. 1850/09

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 26 gennaio 2009, n. 1850
(Pres. Carbone - est. Nappi)

Motivi della decisione
1. Riuniti i ricorsi in applicazione dell'art. 335 c.p.c., va esaminato innanzitutto il ricorso incidentale, che propone due questioni pregiudiziali.
2.1 - Con il primo motivo la ricorrente incidentale ripropone infatti 1'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, già proposta nelle fasi di merito.
Sostiene che in tanto il giudice del merito ha dichiarato illegittimi i dinieghi dell'autorizzazione richiesta da G. C., in quanto ha ritenuto illegittimo e perciò disapplicato il regolamento provinciale di cui i provvedimenti controversi erano attuazione. Ma il regolamento provinciale, in quanto atto generale, non poteva essere disapplicato, non essendo idoneo a incidere su posizioni soggettive individuali. E ciò a maggior ragione in una materia, come quella dei servizi pubblici essenziali qual è quello di autoscuola, che l'art. 7 della legge 21 luglio 2005, n. 205, riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale eccepisce la violazione del giudicato formatosi sulla legittimità del regolamento provinciale. Infatti l'unico giudizio promosso davanti al giudice amministrativo, nel quale era stato formalmente impugnato il regolamento, si era concluso con una sentenza dichiarativa della perenzione del processo e mai impugnata. Sicché la legittimità del regolamento non poteva più essere rimessa in discussione.
2.2 - Il ricorso incidentale è infondato.
Quanto al primo motivo, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la domanda risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione per illegittimo esercizio di una funzione pubblica proposta prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1998, modificato poi dalla legge 21 luglio 2000 n. 205, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario anche se venga dedotta la lesione di un interesse legittimo che, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può esser fonte di responsabilità aquiliana e, quindi, dar luogo al risarcimento del danno ingiusto (Cass., sez. I, 17 ottobre 2007, n. 21850, m. 599711). Sicché in questi casi il giudice ordinario adito può procedere direttamente ad accertare l'illegittimità del provvedimento amministrativo nell'ambito della verifica della qualificabilità del fatto controverso come illecito a norma dell'art. 2043 c.c., “non essendo più ravvisabile la pregiudizialità del giudizio di annullamento dell'atto dinanzi al giudice amministrativo, in passato costantemente affermata in quanto solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, unica situazione giuridica soggettiva la cui lesione si riteneva tutelabile dinanzi al giudice ordinario” (Cass., sez. III, 22 luglio 2004, n. 13619, m. 575434, Cass., sez. III, 25 agosto 2006, n. 18486, m. 592067).
Né la natura generale o regolamentare di un atto può essere considerata ostativa alla sua disapplicazione da parte del giudice ordinario, posto che sono appunto i “regolamenti generali e locali”, che, ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, il giudice ha il potere dovere di disapplicare ove illegittimi (Cass., sez. L, 15 febbraio 1985, n. 1304, m. 439393), anche quando sono solo presupposto dell'atto direttamente lesivo della situazione soggettiva individuale (Cass., sez. L, 18 agosto 2004, n. 16175, m. 576531).
Quanto al secondo motivo, si tratta di censura manifestamente infondata, perché la sentenza del Tribunale amministrativo per la Lombardia invocata dal ricorrente dichiarò improcedibile per carenza sopravvenuta di interesse il ricorso di C., che aveva ottenuto alla fine l'autorizzazione lungamente attesa. E la dichiarazione di improcedibilità per carenza di interesse è incompatibile con qualsiasi effetto di giudicato sulla legittimità dell'atto impugnato (Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2006, n. 143).
3.1 - Con il primo motivo del suo ricorso il ricorrente principale deduce violazione degli art. 193 e 194 c.p.c., vizi di motivazione della decisione impugnata, erroneamente fondata su una consulenza tecnica d'ufficio che aveva illegittimamente omesso di rispondere ai quesiti sul danno da mancato guadagno.
Sostiene che il consulente d'ufficio:
a) avrebbe dovuto rispondere ai quesiti postigli, indipendentemente dalla documentazione prodottagli dal consulente di parte e ritenuta carente o inidonea in quanto non ufficiale;
b) avrebbe dovuto accertare direttamente il costo medio di un corso di autoscuola, anche basandosi sulla dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1999 prodotta in giudizio e anche in mancanza di elementi per determinare l'importo dei ricavi medi;
c) avrebbe dovuto determinare il numero dei potenziali utenti dell'autoscuola, fondandosi sul registro degli iscritti per l'anno 1992, anche in mancanza della dichiarazione IVA assurdamente ritenuta indispensabile;
d) avrebbe dovuto determinare la perdita assumendo le necessarie informazioni sui ricavi medi delle autoscuole della provincia, indipendentemente dalla documentazione relativa alla successiva attività della scuola, in quanto l'attore avrebbe potuto anche rinunciare a intraprendere la nuova attività dopo il 1991, senza per questo perdere il diritto al risarcimento dei danni subiti per gli anni precedenti.
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione degli art. 1226 e 2056 c.c., lamentando l'omessa determinazione equitativa dell'entità del danno da mancato guadagno.
Sostiene che, essendo certa l'esistenza del danno, l'incertezza ineliminabile sulla sua entità effettiva ne avrebbe imposto la liquidazione equitativa.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce infine vizi di motivazione nella valutazione delle testimonianze e della documentazione di spesa relativa alla sistemazione dei locali da destinare all'autoscuola.
Sostiene che le prove testimoniali e documentali acquisite avrebbero giustificato la liquidazione anche di tale voce di danno, arbitrariamente esclusa dalla corte d'appello.
3.2 - Anche il ricorso principale deve essere rigettato.
I due primi motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono entrambi infondati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “il creditore che voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di “chance” - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta” (Cass., sez. L, 20 giugno 2008, n. 16877, m. 603883, Cass., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, m. 578787).
Nel caso in esame l'attore C., che gestiva anche un'altra autoscuola in un diverso comune e aveva finalmente avviato nel 1992 la nuova autoscuola di Cazzano di Sant'Andrea, era nelle condizioni ottimali per offrire al consulente d'ufficio tutta la documentazione necessaria alla liquidazione in via presuntiva del danno da mancato guadagno.
Come risulta dalla sentenza impugnata, e non è sostanzialmente negato neppure nel ricorso, tale documentazione non fu invece fornita, benché ripetutamente richiesta. Lo stesso elenco degli iscritti all'autoscuola, prodotto solo con riferimento all'anno 1992, era inidoneo a provare qualsiasi danno, posto che il numero degli iscritti risultava insufficiente a coprire le spese di gestione.
Ciò nondimeno il ricorrente lamenta che il consulente non abbia proceduto autonomamente all'acquisizione delle informazioni necessarie.
Ma la consulenza tecnica d'ufficio non può essere destinata a supplire alle iniziative istruttorie cui le parti sono tenute per l'onere probatorio che grava su di esse (Cass., sez. III, 26 novembre 2007, n. 24620, m. 600467, Cass., sez. I, 5 luglio 2007, n. 15219, m. 598314). Mentre la liquidazione equitativa del danno, di cui pure si lamenta l'omissione, è ammessa solo quando non sia possibile o riesca difficoltosa la sua precisa determinazione, non vi si può ricorrere per ovviare all'inadempimento della parte agli oneri probatori che le incombono (Cass., sez. II, 21 novembre 2006, n. 24680, m. 593216, Cass., sez. II, 28 giugno 2000, n. 8795, m. 538126).
Sicché risulta corretta e pertanto incensurabile la motivazione esibita dai giudici del merito per negare il risarcimento del dedotto danno da mancato guadagno.
Quanto alle spese di sistemazione dei locali da destinare ad autoscuola, i giudici del merito non negano che i relativi lavori siano stati effettivamente eseguiti. E quindi sono irrilevanti le prove testimoniali di cui si lamenta in ricorso la mancata valutazione.
I giudici del merito hanno escluso tale voce di danno per la mancanza di prova dell'effettivo esborso da parte del ricorrente della somma cui si riferisce la documentazione di spesa prodotta, che è intestata al proprietario dei locali. E nessuna censura il ricorrente ha proposto con riferimento a tale giustificazione della decisione.
Sicché il terzo motivo del ricorso è inammissibile.
4. Il rigetto di entrambi i ricorsi, con la reciproca parziale soccombenza delle parti, giustifica la compensazione integrale delle spese di questo grado del giudizio.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a Sezioni unite, riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

13/01/09

corte Cass. 13 gennaio 2009, n. 551


Sanzioni – ausiliari del traffico– parcheggio sul marciapiede – competenza – insussistenza
Gli ausiliari del traffico non possono infliggere multe nei casi di parcheggio su un marciapiede non funzionale al posteggio o nei casi di manovra in un'area in concessione e neppure nei casi di circolazione in corsie riservate ai mezzi pubblici.
(Fonte: Altalex Massimario)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 13 gennaio 2009, n. 551

FATTO E DIRITTO
G.L. impugna per cassazione la sentenza 3 novembre 2005, n. 5899 con la quale il Giudice di pace di Bologna ne ha rigettato l'opposizione proposta avverso il verbale n. 583517 redatto nei suoi confronti il 6 aprile 2005 dalla polizia municipale della città per avere posteggiato un ciclomotore sul marciapiedi di Viale ****.Parte intimata resiste con controricorso.Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale fa pervenire requisitoria scritta nella quale conclude chiedendo la reiezione del ricorso per sua manifesta infondatezza.Il Collegio, condividendo precedenti pronunzie di legittimità in controversie analoghe (Cass. 26 gennaio 2005, n. 1565, 7 aprile 2005, n. 7336, 17 febbraio 2006, n. 18186, 27 luglio 2007, n. 16777 e recentemente su ricorso 16954/06 deciso il 10 novembre 2008) ritiene di non poter recepire le opinioni e le conclusioni espresse dal P.G.Né ciò osta alla procedura - ed alla pronunzia - in camera di consiglio, la cui inesperibilità è ravvisabile solo ove la Suprema Corte ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui al primo comma dell'art. 375 c.p.c., ovvero che emergano condizioni incompatibili con una trattazione abbreviata, nel qual caso la causa deve essere rinviata alla pubblica udienza; ove, per contro, la Corte ritenga che la decisione del ricorso presenti aspetti d'evidenza compatibili con l'immediata decisione, ben può pronunziarsi per la manifesta fondatezza dell'impugnazione, anche nel caso in cui le conclusioni del P.G. fossero, all'opposto, per la manifesta infondatezza, e viceversa (ex pluribus, Cass. 11 giugno 2005, n. 12384, 3 novembre 2005, n. 21291 SS.UU.).La l. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, comma 132, ha stabilito che "i comuni possono, con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta a dipendenti comunali o delle società di gestione dei parcheggi, limitatamente alle aree oggetto di concessione".Al comma 133, poi, il medesimo art. 17 dispone che "le funzioni di cui al comma 132 sono conferite anche al personale ispettivo delle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone nelle forme previste dalla l. 8 giugno 1990, n. 142, artt. 22 e 25, e successive modificazioni. A tale personale sono inoltre conferite, con le stesse modalità di cui al primo periodo del comma 132, le funzioni di prevenzione e accertamento in materia di circolazione e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico, ai sensi del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 6, comma 4, lettera c)".La l. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 68, comma 1, ha successivamente chiarito che "la l. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, comma 132 e 133, si interpretano nel senso che il conferimento delle funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni, ivi previste, comprende, ai sensi del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 12, comma 1, lettera e), e successive modificazioni, i poteri di contestazione immediata nonché di redazione e sottoscrizione del verbale di accertamento con l'efficacia di cui agli articoli 2699 e 2700 del codice civile" (comma 1). La norma ha, inoltre, stabilito che queste funzioni, "con gli effetti di cui all'articolo 2700 del codice civile, sono svolte solo da personale nominativamente designato dal sindaco previo accertamento dell'assenza di precedenti o pendenze penali, nell'ambito delle categorie indicate dalla citata l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 132 e 133" (comma 2), disponendo, altresì, che a detto personale "può essere conferita anche la competenza a disporre la rimozione dei veicoli, nei casi previsti, rispettivamente, dal d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 158, lettere b) e c) e comma 2, lettera d)" (comma 3).Il legislatore, in presenza ed in funzione di particolari esigenze del traffico cittadino, quali sono la gestione delle aree da riservare a parcheggio e l'esercizio del trasporto pubblico di persone, ha stabilito con le norme sopra richiamate che determinate funzioni, obiettivamente pubbliche, possano essere eccezionalmente svolte anche da soggetti privati i quali abbiano una particolare investitura da parte della pubblica amministrazione, in relazione al servizio svolto, in considerazione "della progressiva rilevanza dei problemi delle soste e parcheggi" (Corte cost., ord. n. 157 del 2001).Inoltre, con la norma interpretativa sopra richiamata (art. 68, cit.) ha impresso ai verbali redatti dal succitato personale l'efficacia probatoria di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c.L'art. 17, commi 132 e 133, tenuto conto della rilevanza e del carattere eccezionalmente derogatorio della funzioni conferite a soggetti che, sebbene siano estranei all'apparato della pubblica amministrazione e non compresi nel novero di quelli ai quali esse sono ordinariamente attribuite (art. 12 c.d.s.), vengono con provvedimento del sindaco legittimati all'esercizio di compiti di prevenzione ed accertamento di violazioni del codice della strada sanzionate in via amministrativa, deve ritenersi norma di stretta interpretazione (Cass. 7 aprile 2005, n. 7336 cit.).Il legislatore, evidentemente conscio di tale natura delle dettate disposizioni, ha quindi avuto cura di puntualizzare che le funzioni, per i dipendenti delle imprese gestrici di pubblici posteggi, riguardano soltanto le "violazioni in materia di sosta" e "limitatamente alle aree oggetto di concessione", poiché la loro attribuzione è apparsa strumentale rispetto allo scopo di garantire la funzionalità dei posteggi, che concorre a ridurre, se non ad evitare, il grave problema del congestionamento della circolazione nei centri abitati.In tal senso, è significativo che al personale in esame "può essere conferita anche la competenza a disporre la rimozione dei veicoli", ma esclusivamente nei casi previsti dall'art. 158, comma 2, lett. b), c), e d) (art. 68, comma 3, cit.), ovvero "dovunque venga impedito di accedere ad un altro veicolo regolarmente in sosta, oppure lo spostamento dei veicoli in sosta", "in seconda fila", "negli spazi riservati allo stazionamento e alla fermata" dei veicoli puntualmente indicati.Analogamente, la l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 133, come interpretato dalla l. n. 488 del 1999, art. 68, costituisce norma di stretta interpretazione per quanto riguarda le funzioni di prevenzione e accertamento in materia di "sosta nelle aree oggetto di concessione", ove ne siano state concesse alle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone, ed "inoltre" di "circolazione e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico" attribuite al personale ispettivo delle dette aziende.Ne consegue che gli ausiliari del traffico, dell'una e dell'altra categoria, in tanto sono legittimati ad accertare e contestare violazioni a norme del codice della strada, in quanto dette violazioni concernano disposizioni in materia strettamente connessa all'attività svolta dall'impresa - di gestione dei posteggi pubblici o di trasporto pubblico delle persone - dalla quale dipendono ove l'ordinato e corretto esercizio di tale attività impediscano od in qualsiasi modo ostacolino o limitino.Laddove, invece, le violazioni consistano in condotte diverse - quale, nella specie, il posteggio su di un marciapiedi non funzionale al posteggio od alla manovra in un'area in concessione e neppure alla circolazione in corsie riservate ai mezzi pubblici - l'accertamento può essere compiuto esclusivamente dagli agenti di cui all'art. 12 c.d.s. e non anche dagli ausiliari del traffico, di cui alla l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 132 e, per quanto più interessa, 133.Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata va conseguentemente cassata.Peraltro, non risultando necessari ulteriori accertamenti di merito, emergendo dagli atti che la violazione di divieti posti da codice della strada è stata accertata da un soggetto non legittimato a detto accertamento ai sensi della l. n. 127 del 1997, art. 17, comma 133, la causa può essere decisa nel merito, con l'accoglimento dell'opposizione e la condanna del Comune di Bologna al pagamento delle spese del giudizio di merito e di quello di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, annulla il verbale di contestazione opposto; condanna il Comune di Bologna al pagamento delle spese di lite, che liquida, per il primo grado, in euro 700, di cui euro 600 per onorari e, per il grado di legittimità, in euro 500, di cui euro 400 per onorari, oltre accessori.

12/01/09

TAR Campania, ordinanza 12.01.09 n. 52

T.A.R.
Campania - Napoli
Sezione VIII
Ordinanza 12 gennaio 2009, n. 52

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

Sul ricorso numero di registro generale 6316 del 2008, proposto da: ……………………., rappresentato e difeso dagli avv……………, con domicilio eletto presso ….;
contro
Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvoc. Distrett. Stato Napoli, domiciliata per legge in Napoli, via Diaz, 11; Comm. Esam. Esami Avv.To Anno 2007 Corte Appello Napoli, Comm.Esam.Esami Avv.To Anno 2007 Corte Appello Roma;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,

ESAME AVVOCATO : NON AMMISSIONE ALLE PROVE ORALI - VERBALE DEL 20.09.2007.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Visti gli artt. 19 e 21, u.c., della legge 6 dicembre 1971, n. 1034;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12/01/2009 il dott. Antonio Ferone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato che in ragione della presenza di autorevoli e perentori pareri pro veritate in ordine alle contestate prove concorsuali e delle evidenti incongruenze delle valutazioni espresse, appare opportuno disporre che, entro il termine perentorio di 30 (trenta) giorni decorrenti dalla comunicazione della presente ordinanza ovvero dalla sua notificazione se anteriormente avvenuta, gli elaborati relativi al parere di diritto civile ed al parere di diritto penale del ricorrente siano resi nuovamente anonimi ed assegnati per la correzione ad altra Sottocommissione costituita presso la Corte di Appello di Roma ai fini degli esami di Avvocato Sessione 2007, la quale provvederà, entro i successivi venti giorni, a rinnovare il giudizio esprimendo all’esito il voto che sarà assegnato a ciascuna prova oggetto del riesame;

P.Q.M.

Accoglie la suindicata domanda incidentale di sospensione nei termini di cui in motivazione.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria del tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 12/01/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Evasio Speranza, Presidente
Antonio Ferone, Consigliere, Estensore
Renata Emma Ianigro, Primo Referendario

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