ARCO IUS

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16/05/07

Trib. Nola, sent. 16.05.07

TRIBUNALE DI NOLA
II SEZIONE CIVILE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Nola in composizione monocratica nella persona del giudice istruttore dott. Francesco Notaro, ha pronunciato, la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n.8855 del registro generale per gli affari contenziosi dell’anno 2006, avente ad oggetto appello avverso la sentenza n.2154/06, depositata il 20.7.2006, notificata il 3.10.2006, del giudice di pace di Nola, relativa a domanda di ripetizione somme, vertente
TRA
Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t. giusta procura speciale per notar M. B. di Milano, rep. 70175 del 22.2.2006, rappresentato e difeso dall’avv. … in forza di procura stesa a margine dell’atto di citazione in appello ed elett.nte dom.to presso lo studio dell’avv. … , in Nola, via … -APPELLANTE-
E
Tizia, rappresentata e difesa dagli avv. … giusta procura a margine dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado ed elett.nte dom.ta presso il loro studio in Nola, via … -APPELLATA-
Conclusioni
All’udienza del 6.3.2007 le parti concludevano riportandosi ai propri rispettivi atti, come da conclusioni rese nel relativo verbale da intendersi qui integralmente trascritte.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’andamento del giudizio di primo grado è così riassunto nel provvedimento impugnato: “Con atto di citazione regolarmente notificato il 20.2.2006, (Tizia ) conveniva in giudizio (la Telecom Italia s.p.a.) per ottenere il rimborso di quanto versato quale contributo di spese di spedizione dal 19.7.1996 al 15.10.2002 (n.40 fatture) emesse dalla società convenuta Telecom relative all’utenza telefonica contraddistinta dal numero 081 823xxxx di cui l’attrice è titolare in via …. Nola. Deduceva che tale somma per un totale di euro 14,80 non è dovuta stante il dettato dell’art.21 d.p.r. 633/1972 che stabilisce che “le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo”... Pertanto chiedeva condannare la convenuta al pagamento di euro 14,80 per le somme indebitamente richieste e versate, oltre il risarcimento del danno da valutarsi ex art.1226 c.c. per violazione degli obblighi previsti dall’art.1175 c.c e dall’art. 2 legge n.281 del ’98. La società convenuta si costituiva con comparsa di costituzione e risposta, chiedendo il rigetto della domanda in quanto infondata in fatto e in diritto, eccependo in via pregiudiziale dichiararsi il difetto di giurisdizione dell’adito giudice in favore della giurisdizione tributaria e in via preliminare l’improcedibilità della domanda per omesso tentativo obbligatorio di conciliazione ex artt 3 e 4 della delibera n.182/02 CONS emessa dall’autorità per le garanzie nelle comunicazioni…””.
Il giudice di pace adito, istruita la causa mediante produzione di documenti, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva la domanda e per l’effetto condannava la società convenuta al pagamento della somma di euro14,80 in favore di parte attrice, oltre interessi dalla domanda al soddisfo e spese della procedura liquidate in dispositivo, con attribuzione al procuratore antistatario.
Con atto di citazione notificato a Tizia in data 13.10.2006, la Telecom Italia s.p.a. in persona del legale rappresentante p.t. proponeva appello avverso la predetta sentenza, lamentando, 1) l’erroneità del rigetto dell’eccezione di improcedibilità della domanda per l’omesso esperimento del tentativo di conciliazione, avendo il giudice rilevato che la controversia non atteneva a diritti derivanti da accordi di diritto privato o da norme in materia di telecomunicazioni, sicché non rientrava in quelle per le quali è necessario il previo tentativo di conciliazione; che per contro questo andava esperito, secondo il disposto di legge, per ogni controversia nascente dal contratto di abbonamento telefonico; che rientravano in detta previsione tutte le questioni relative alle modalità o ai costi della prestazione erogata, o per le quali l’utente lamentava un disservizio; si doleva, inoltre 2), nel merito, dell’accoglimento della domanda, osservando che le spese di “spedizione”, a mente dell’art.21 comma 8 legge iva, non potevano ritenersi rientrare in quelle di “emissione” della fattura; che, infatti, emettere una fattura non significava spedirla, costituendo questa la manifestazione di una attività ulteriore che segue quella di emissione; che così si erano espresse anche le Commissioni tributarie, nonché numerose “risoluzioni ministeriali”; che tale interpretazione era suffragata da quanto dettato dall’art.53 d.p.r. n.523 del 1984, che prevede l’addebito delle spese di spedizione a carico del destinatario, salva la possibilità di ritiro presso le sedi della società senza addebito; che, del resto, ciò era confermato ed in sintonia con il principio generale di cui all’art.1196 c.c. secondo il quale le spese collegate la pagamento sono a carico del debitore; 3) evidenziava, altresì, che in virtù dell’art.14 delle condizioni generali di abbonamento, le spese erano poste a carico dell’utente e che tale clausola era perfettamente valida, non avendo il citato art.21 comma 8, carattere imperativo, giacché non è posto a tutela di un interesse pubblico, né a protezione di fini fondamentali del nostro ordinamento, né la sua violazione essendo sanzionata dalla nullità; 4) lamentava l’erroneità della decisione per essere il giudice di prima istanza incorso in vizio di ultrapetizione, avendo dichiarato la nullità o invalidità della clausola di cui al citato art.14 c.g.a. in assenza di esplicita domanda al riguardo; evidenziava, inoltre, che la clausola era valida e non in contrasto con quanto dettato dagli artt.1341 e 1469 bis e ss. c.c.; si doleva, infine, del fatto che il giudice aveva condannato essa società alla restituzione invocata, in assenza di prova del versamento; chiedeva, pertanto, in accoglimento del proposto appello, che venisse annullata e/o revocata la sentenza impugnata, con vittoria di spese e competenze del doppio grado di giudizio.
Si costituiva la convenuta, la quale resisteva diffusamente ai motivi di gravame, sostenendo, altresì, la vessatorietà della clausola contenuta all’art.14 delle condizioni generali di abbonamento e chiedeva il rigetto dell’appello, con conseguente conferma della sentenza impugnata, vinte le spese del grado, da attribuirsi al procuratore per dichiarato anticipo.
All’udienza del 6.3.2007 la causa veniva trattenuta in decisione previa concessione dei termini ex art.190 c.p.c. in misura ridotta (gg 20 + gg 10)
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MOTIVI DELLA DECISIONE
Infondato è il primo motivo di appello di carattere pregiudiziale riguardante l’asserita improcedibilità della domanda ex art. 1 comma 11 della legge 31 luglio 1997, n. 249, istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Infatti questo testualmente dispone che “L'Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell’Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione.”.
La disposizione in parola, pur introducendo una condizione di procedibilità della domanda, rinvia, per l’individuazione dell’ambito di operatività e delle modalità di svolgimento del tentativo di composizione stragiudiziale, alla disciplina secondaria, da emanarsi ad opera della stessa Autorità.
Con delibera del Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 182/02/CONS del 19 giugno 2002, recante “Adozione del regolamento concernente la risoluzione delle controversie insorte nei rapporti tra organismi di telecomunicazioni ed utenti”, all’allegato A viene affidata la risoluzione stragiudiziale delle controversie agli istituendi sportelli di conciliazione presso i Comitati regionali per le comunicazioni (Co.Re.Com) , previsti dall’art. 2, Allegato A della Delibera n. 53/99 del 28 aprile 1999; nello specifico l’art. 5 n. 2 lett. D) del regolamento del 2002 cit., trasferisce ai Corecom funzioni istruttorie nelle seguenti materie previste dalla Legge 249/97: controversie in tema di interconnessione e accesso alle infrastrutture di telecomunicazioni, di cui all'art. 1, comma 6, lett. a) n. 9; controversie tra ente gestore del servizio di telecomunicazioni e utenti privati, di cui all'art. 1, comma 6, lett. a) n. 10.
Solo nelle controversie de quibus è espressamente prevista la condizione di procedibilità invocata dall’odierna società appellante.
Nulla autorizza – stante la natura della norma, la quale, influendo sulla tutela concreta dei diritti, non può che essere insuscettibile di interpretazioni analogiche – a ritenere assoggettate al tentativo obbligatorio di conciliazione tutte le controversie in cui sia parte un esercente l’attività di telecomunicazioni, ovvero ogni controversia che deriva, comunque, dal rapporto instaurato per effetto del contratto di abbonamento.
Peraltro, la stessa delibera n. 182/2002 nel prevedere che la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione sia effettuata presso i Co.Re.Com. la subordina alla data di effettivo esercizio delle funzioni delegate (art.1, comma 3), di tal che la previsione di legge non può ritenersi vincolante di fronte alla concreta impossibilità di attivare il tentativo di conciliazione per mancata istituzione nella Regione di residenza del cliente dell’organo competente al suo espletamento, circostanza pacificamente non contraddetta dalla difesa di parte appellante.
Infondato è anche il motivo di appello riguardante l’asserita inapplicabilità del disposto di cui all’art.21 comma 8 d.p.r. n.633 del 1972 alle spese sopportate per la “spedizione” della bolletta, in quanto non rientranti in quelle di “emissione” alle quali soltanto farebbe riferimento la norma appena richiamata.
Ciò posto, la disposizione sopra richiamata prevede che “Le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo”.
Ad avviso di questo tribunale (vds. sempre trib Nola 13.7.2006, g.i. Bellini), la formulazione testuale della norma è tale da abbracciare ogni attività, collegata agli obblighi di fatturazione, ritenuta essenziale per il completamento del procedimento di applicazione del tributo.
Questa si compone, in primo luogo, della compilazione del documento, cioè della sua materiale redazione in due esemplari, recanti l’indicazione della prestazione effettuata, del costo, della misura dell’imposta applicata, delle parti del rapporto, della data; successivamente vi è l’annotazione, che consiste nella registrazione nei libri contabili dell’emittente, con attribuzione di numerazione progressiva, ai sensi dell’art. 23 dello stesso d.p.r., da effettuarsi nei quindici giorni successivi alla compilazione; infine, nella trasmissione di una delle due copie redatte al soggetto che ha beneficiato della prestazione, mediante la sua consegna o spedizione.
Tutti i ‘passaggi’ appena richiamati, proprio secondo il tenore letterale del comma 8 dell’art. 21 cit., assumono rilevanza ai fini del completamento della procedura di emissione, sicché la disposizione in parola si riferisce a tutte le fasi anzidette, vietando che i loro costi siano addebitati al cliente.
La fase della spedizione è strettamente connessa alla materiale redazione della fattura, come è dato ricavare dal comma 1, ultimo periodo dell’art.21 d.p.r. cit., il quale ha previsto che “La fattura si ha per emessa al momento della sua consegna o spedizione all’altra parte…”.
Sul punto si è, infatti, rimarcata la natura recettizia della spedizione della fattura, con la conseguenza che questa è efficace solo nel momento in cui una delle due copie entra effettivamente nella sfera del beneficiario del bene o servizio, acquisendo definitivamente la sua validità ai fini del prelievo fiscale, anche e proprio in ragione della piena corrispondenza tra la copia in possesso dell’emittente e quella ‘trasmessa’ all’altra parte (sempre trib. Nola 13.7.2006 ha avuto modo di segnalare come “…il divieto di addebito al cliente, di cui al richiamato comma 8 dell’art. 21 DPR 633/1972, non può che comprendere anche i costi di spedizione della fattura di cui qui si discute”, giacché ““La spedizione di copia della fattura alla controparte, infatti, è finalizzata a garantire la corretta applicazione del procedimento di esazione del tributo, e dunque il corretto ed integrale adempimento dell’obbligazione tributaria, sicché va qualificato “adempimento conseguente” intrinsecamente connesso alla emissione, nel senso che integra e perfeziona il relativo procedimento, sicché i suoi costi devono gravare sul soggetto tenuto alla fatturazione, non sul consumatore finale””).
Una simile interpretazione, in via risolutiva, è suffragata dall’analisi comparativa tra l’originaria formulazione della norma e quella risultante a seguito dell’emanazione del d.p.r. n.687 del 1974.
In quella sede, infatti, venne introdotto il comma 8, che ha, appunto, previsto il divieto di addebitare al cliente, “a qualsiasi titolo”, le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità.
La norma ovviamente, già da un punto di vista testuale, non può che essere letta in combinazione con gli ulteriori commi di cui si compone, posto che, il comma 1 prevede che “…la fattura si ha per emessa all’atto della sua consegna o spedizione all’altra parte, ovvero all’atto della sua trasmissione per via elettronica…”, mentre al comma 4 viene disposto che “…la fattura in formato cartaceo è compilata in duplice esemplare di cui uno consegnato o spedito all’altra parte…”.
In origine non era stato previsto che la fattura si riteneva emessa solo con la consegna o spedizione”, ma, per contro, si distingueva – come ancora vorrebbe parte appellante – la fase della emissione, da quella della spedizione, che non erano, pertanto, ‘contestuali’, sebbene andassero completate entrambe nel termine di trenta giorni.
La stessa norma segnava significativamente tale scissione anche da un punto di vista letterale, posto che la materiale redazione del documento veniva definita testualmente “emissione”, cui seguiva poi la trasmissione nella sfera di disponibilità della controparte.
Nella successiva formulazione, la norma non parla più di emissione, ma di ‘mera’ “compilazione” materiale del documento; elimina la ‘frattura temporale’ tra la sua redazione e la successiva spedizione e ‘chiude il cerchio’, prevedendo espressamente che l’emissione – costituendo l’attività di confezionamento del documento, quale materiale “compilazione”, attività di carattere preparatorio – coincide con il momento in cui la fattura viene ricevuta dal beneficiario della prestazione o del servizio
Di tal che non si vede come si possa sostenere che le spese sopportate per la materiale consegna al cliente – che può certamente avvenire con sistemi alternativi rispetto all’inoltro a mezzo posta, ma che non ne mutano per questo la sostanza –, non rientrino nel divieto di cui al successivo comma 8, sol che si consideri che tutte le modifiche appena segnalate sono avvenute nel medesimo contesto, palesando, per stessa volontà del legislatore, il sillogismo tra ‘attrazione’ della fase della consegna, in quella dell’emissione, con conseguente applicazione, senza particolari mediazioni interpretative, delle relative spese nel ‘nuovo’ divieto di cui al comma 8 che chiude l’intera disposizione (sicché, diversamente da quanto opina parte appellante, è proprio il legislatore ad aver previsto espressamente che le spese di spedizione attengono a quelle di emissione).
Ciò comporta che deve essere analizzato l’ulteriore motivo di impugnazione che si incentra sulla insussistenza, nella specie ed in relazione all’art.14 delle condizioni generali di abbonamento predisposte da Telecom Italia s.p.a., di ipotesi di vessatorietà della clausola.
Logicamente antecedente a tale verifica si pone però l’analisi relativa alla natura della disposizione di cui al cit. art.21, atteso che, se questa contempla un’ipotesi di nullità delle clausole che eventualmente prevedano l’addebito della spese di emissione della fattura, neppure si pone il problema del sindacato circa la loro vessatorietà.
Sul punto, l’appellante formula espressa censura riguardo alla ritenuta imperatività della norma, da parte del giudice di prima istanza, dolendosi anche dell’asserita sussistenza del vizio di ultra petizione, giacché, a suo dire, il giudice di pace avrebbe dichiarato la nullità della clausola di cui all’art.14 c.g.a. Telecom, vizio in realtà insussistente in ragione del fatto che, correttamente (sotto tale profilo), il primo giudice ha valutato la validità della clausola ai fini dell’accoglimento o meno della domanda di ripetizione.
Fatta questa premessa, va ricordato che l’art.1418 c.c. differenzia le ipotesi di nullità contemplate dai commi 2 e 3, dalla cd. nullità virtuale, di cui al 1° comma, scaturente dalla contrarietà del contratto (o della clausola) a norme imperative.
E’ noto che il carattere imperativo di una norma si ricava dalla natura pubblicistica degli interessi tutelati dovendo tendere alla protezione di fini fondamentali dell’ordinamento.
Nel caso in esame, la disposizione di cui all’art.21 cit. si connette ad un interesse di natura tributaria ed è principio più volte rimarcato dalla giurisprudenza di legittimità, che le norme tributarie non abbiano valenza imperativa.
Nello specifico, poi, della clausola in questione, è di tutta evidenza l’assenza di un interesse generale dello stato rispetto al soggetto sul quale le spese di emissione della fattura (con l’invio che ne completa l’iter) debbano ricadere.
Ne’ può ritenersi che la norma sarebbe volta alla protezione del consumatore.
Invero, a prescindere dal fatto che tale profilo consumeristico sarebbe oramai affidato all’accertamento dei presupposti che inducano a ravvisare un’ipotesi di vessatorietà della clausola, neppure potrebbe prospettarsi che, risalendo la norma ad epoca antecedente all’emanazione della disciplina relativa alla tutela del consumatore, questa avrebbe inteso anticipare tale tipo di tutela nella specifica materia regolata dal citato d.p.r., sol che si pensi – prescindendo dal rilievo circa l’eccentricità della sede prescelta rispetto alle supposte ragioni consumeristiche – che l’addebito delle spese in parola riguarda anche soggetti svolgenti attività imprenditoriale, per i quali non si pone in alcun modo la necessità di un tale tipo di protezione, soggetti per i quali è stata esplicitamente esclusa l’applicabilità degli artt.1469 bis e ss. c.c., laddove agiscano nella veste di ‘fruitori’ della prestazione.
Inoltre, come è stato osservato dalla giurisprudenza di merito, sarebbe oltremodo incongruo trarre l’assolutezza del divieto ed il carattere imperativo della disposizione in parola – che pure si caratterizza per la ‘nettezza’ dal punto di vista semantico, della formulazione del divieto –, quando in epoca successiva e sempre in altro testo normativo (d.p.r.523/84), è stata prevista altrettanto esplicitamente la possibilità di addebito delle spese di spedizione, al destinatario della fattura.
Sul punto, peraltro, soccorre lo stesso criterio interpretativo che si è inteso adottare in riferimento all’accertamento che ci ha portati ad optare per la ricomprensione delle spese di spedizione nell’ambito ‘generale’ di quelle relative alla emissione della fattura.
Invero, in quella sede si è rimarcata la necessità che il comma 8 dell’art.21 d.p.r. 633 del 1972 fosse interpretato in combinazione con le ulteriori previsioni di cui si compone la norma stessa.
Analogo criterio, sebbene riferito all’analisi del testo nella sua integralità ed in particolare in combinazione con il precedente art.18, come è stato acutamente rilevato in giurisprudenza (vds. trib Torre Annunziata, sent. 19.1.2007, g.i. Chiesi), porta ad escludere la natura imperativa della disposizione e, pertanto, la sanzione della nullità della clausola di addebito delle spese di spedizione al cliente.
Infatti, in tema di rivalsa “e dunque sempre avuto riguardo al rapporto di carattere privatistico tra cedente e cessionario”, il menzionato art. 18, al suo comma 4, prevede che ““è nullo ogni patto contrario alle disposizioni dei commi precedenti””, sicché, seguendo un’interpretazione logico sistematica, deve opinarsi che, laddove il legislatore, in quel testo di legge, ha inteso far discendere delle conseguenze sanzionatorie riguardo alle pattuizioni intercorse tra i soggetti da cui scaturisce l’imposizione tributaria, lo ha fatto in maniera testuale.
Si potrebbe sostenere che, nella specie, non rileverebbe né il comma 1, né il comma 3 dell’art.1418 c.c., ma la nullità dovrebbe essere tratta dal comma 2, dovendo ritenersi che, in ragione della già rimarcata assolutezza letterale del divieto di cui al comma 8 dell’art.21 (le spese non possono essere addebitate “a qualsiasi titolo”), l’oggetto della clausola avrebbe stimato giuridicamente impossibile, di tal che non dovrebbe essere esplicitamente formulata la sanzione della nullità.
In realtà, ad avviso del tribunale, la risposta la si ricava dalle stesse argomentazioni che precedono.
La giuridica impossibilità dell’oggetto – idi est la presenza di un divieto tale da escludere che un determinato oggetto possa entrare a far parte di un regolamento negoziale – non può che discendere, secondo quelle che sono le ragioni che inducono a presidiare la tutela di un determinato interesse con la sanzione più grave prevista dall’ordinamento, dalla forza del divieto.
Sicché si torna, comunque, al punto di partenza, dovendo ribadirsi, dall’analisi sistematica che si è cercato di compiere, che, sotto alcun profilo, l’addebito delle spese in questione coinvolgono interessi di natura pubblicistica tali da non poter essere derogati dalla diversa volontà delle parti.
Risolta la questione relativa alla possibilità di derogare all’art.21 comma 8 d.p.r. cit., residua la verifica circa la vessatorietà della clausola.
Questa non necessitava di specifica approvazione ai sensi dell’art.1341 c.c., non rientrando tra le ipotesi tassative disciplinate dalla richiamata disposizione.
Sotto altro profilo, parimenti, non può che osservarsi che la detta pattuizione non rientra in alcuna delle ipotesi definite abusive (ed ora nuovamente vessatorie, secondo la terminologia propria della nostra tradizione giuridica) dalle disposizioni di legge (artt.1469 bis c.c. ed ora artt.33 e ss. d.lgs. n.206 del 2005); né vessatoria in concreto, per la ridottissima rilevanza degli importi addebitati in relazione alla caratteristica della prestazione, non determinando alcun significativo squilibrio nell’economia del contratto (né si comprende come ciò altererebbe il contratto da un punto di vista “normativo”; peraltro il contenuto della clausola sarebbe riproduttivo di disposizioni di carattere, appunto, normativo, sebbene non di fonte primaria, quali ad esempio il già cit.d.p.r. n.523 del 1984; vds. anche il d.m. 197/’97).
Infine si osserva che alcuna specifica questione è stata posta in relazione alla possibilità di conoscenza della clausola de qua, da stimarsi, pertanto, perfettamente conosciuta dal contraente debole.
Pertanto, va accolto tale motivo di appello e conseguentemente, in riforma della sentenza impugnata e previo annullamento della stessa, rigettata la domanda proposta dall’odierno appellante, attore in primo grado.
La natura della controversia, valutata in relazione alla complessive difese delle parti e ai motivi di accoglimento, induce all’integrale compensazione delle spese del doppio grado del giudizio.
P.Q.M.
Il tribunale di Nola in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., nei confronti di Tizia , avverso la sentenza del giudice di pace indicata in epigrafe, ogni altro motivo rigettato, così provvede:
a) accoglie l’appello in relazione al motivo di impugnazione rubricato nella parte deputata allo svolgimento del processo al n.3 e per l’effetto annulla la sentenza di primo grado, conseguentemente rigettando la domanda avanzata da Tizia in quella sede;
b) compensa integralmente le spese del doppio grado di giudizio tra le parti.
Nola, così deciso il 16 maggio 2007
Il Giudice
Dott. Francesco Notaro

15/05/07

CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, del 15 Maggio 2007 (C.C. 2/04/2007), Sentenza n. 11193

Società erogatrice di energia elettrica - Danni subiti dagli utenti a causa degli sbalzi di corrente - Responsabilità civile - Responsabilita' da attivita' pericolosa.
La società erogatrice di energia elettrica risponde a titolo di responsabilità per attività pericolosa dei danni subiti dagli utenti a causa degli sbalzi di corrente. Presidente R. Preden, Relatore C. Filadoro.

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