ARCO IUS

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11/12/08

Tribunale Nola sentenza del 11/12/2008


Incidente per ostacolo sulla carreggiata autostradale - domanda di risarcimento - applicabilità art. 2051 c.c. - digressione in materia - danno da fermo tecnico – danno da ritardo

>> … ed è indiscutibile che la presenza di un animale sull’autostrada, incidendo in termini significativamente negativi sulla sua utilizzabilità, faceva assumere alla cosa una condizione assolutamente pericolosa e potenzialmente lesiva per i fruitori della stessa, in quanto, mediante essa, era ostacolata in modo imprevedibile la carreggiata e si produceva un turbamento emotivo incontrollabile in ciascun conducente che si vedeva improvvisamente d’avanti l’animale …
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>>… il cd. "danno da fermo tecnico" del veicolo incidentato non può considerarsi sussistente "in re ipsa", quale conseguenza automatica dell'incidente, ma necessita, per converso, di esplicita prova, che attiene tanto al profilo della inutilizzabilità del mezzo meccanico in relazione ai giorni in cui esso è stato sottratto alla disponibilità del proprietario, tanto a quello della necessità del proprietario stesso di servirsene, così che, dalla impossibilità della sua utilizzazione, ne sia derivato un danno …


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NOLA

Il Tribunale di Nola, II sezione civile, in composizione monocratica nella persona del signor dott. Alfonso Scermino, all’udienza dell’11.12.2008, fatte precisare le conclusioni, ha ordinato la discussione orale della causa nella stessa udienza, a norma dell’art. 281 sexies c.p.c., ed ha pronunciato al termine della discussione la seguente

SENTENZA

nella causa n. 6173/2007 R.G., vertente tra
Meviox Mx, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine dell’atto di citazione, …

CONTRO

Autostrade per l’Italia s.p.a., in persona del procuratore speciale Fxx , rappresentato e difeso …,
dando lettura del dispositivo e dalla concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione nei termini che seguono
.
Con atto di citazione ritualmente notificato Meviox Mx esponeva: che esso era proprietario della Lancia Lybra SW tg. …; che il giorno 21.11.2006 alle ore 9.45 circa, sul tratto autostradale A/30 25 + 750, all’altezza del Comune di Palma Campania, l’istante era alla guida della propria autovettura quando all’improvviso veniva in collisione con un cane che sbucava dalla campagna adiacente il tratto autostradale e che impattava l’auto che non riusciva ad evitarlo in alcun modo; che a causa del sinistro l’autovettura riportava svariati danni altrimenti; che questi andavano ristorati ex art. 2051 c.c. , unitamente al mancato guadagno subito nel periodo in cui l’auto era dovuta rimanere ferma in officina per le riparazione effettuate nonché alle spese di rimozione della macchina incidentata ed al fermo tecnico.
Tanto premesso, conveniva in giudizio la società Autostrade per l’Italia s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento richiesto.
Si costituiva in giudizio la Autostrade per l’Italia s.p.a., che contestava la domanda e ne richiedeva il rigetto.
Senza che fosse necessaria alcuna attività istruttoria, la causa era chiamata per le conclusioni all’udienza dell’11.12.2008, ove era data lettura della pronuncia dopo discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c..
Il tema della controversia postula, preliminarmente, la necessità di inquadrare correttamente la fattispecie di responsabilità extracontrattuale dedotta in giudizio, al fine di distribuire correttamente gli oneri probatori tra le parti e dedurne, correttamente, le relative conseguenze.
Peraltro, va subito dato atto di come il titolo ed i limiti della responsabilità del gestore del servizio autostradale, nei casi di sinistri verificatisi sulle relative tratte, abbia costituito uno di quei temi che ha conosciuto nel tempo , all’esito di variegati dibattiti e confronti dottrinari, diverse ricostruzioni ermeneutiche, dando così la stura a pronunce della Suprema Corte contrastanti e, come spesso accade, a radicali incertezze degli operatori in ordine alla sua precisa configurazione.
Infatti, è noto come la giurisprudenza prevalente abbia per anni considerato di natura aquiliana la responsabilità del proprietario o dell’ente gestore dell’autostrada nei casi di sinistri verificatisi sulle relative tratte: e ciò sul presupposto che il pagamento del pedaggio non avrebbe dovuto costituire un corrispettivo capace di determinare la nascita di un rapporto contrattuale, integrando di contro solo una prestazione pecuniaria dovuta per poter fruire di un pubblico servizio .
Peraltro, anche parte della dottrina riteneva che il pedaggio dell’autostrada dovesse essere assimilato ad una tassa, corrisposta a compenso delle spese sostenute dal gestore dell’autostrada per il servizio pubblico offerto, e non fosse la controprestazione di un contratto sinallagmatico tra gestore ed utente .
Di conseguenza, con l’acquisto del biglietto di transito, l’utente avrebbe maturato il diritto di fruire dell’autostrada nella condizione in cui essa si trova, ma a carico del gestore non sorgeva alcun impegno contrattuale di garantire la sicurezza del viaggio (cfr, Cass. Civ. Sez. U, Sentenza n. 10893 del 07/08/2001; Cass. 4 dicembre 1998, n. 12314 in Giur. it., 1999, 1362; Cass. 9 febbraio 1981, n. 800, in Resp. civ. e prev., 1981, 737; Cass. 14 maggio 1979, n. 2781, in Foro it., 1980, I, 783; Cass. 16 febbraio 1978, n. 751, in Foro it. Mass., 1978, 175; Cass. 23 gennaio 1975, n. 260, ivi, 1975, 79; e in giurisprudenza di merito cfr. Trib. Roma 14 novembre 1981, in Riv. circolaz e trasp., 1982, 349; App. Milano 19 febbraio 1971, in Giur. it, 1972, I, 2, 685).
Sennonchè, la questione appena delineata veniva recentemente rivista dalla Suprema Corte (Cass. 13 gennaio 2003, n. 298).
Era infatti riaffermato (in conformità a quanto già a suo tempo statuito dalle sezioni unite penali, 9 luglio 1997, G.) che il pedaggio autostradale non costituiva una tassa, ma un normale corrispettivo; dunque, il rapporto che con il relativo pagamento si instaurava assumeva una natura contrattuale e la responsabilità della p.a. o della società concessionaria nei confronti dell’automobilista ben poteva assumere l’aspetto di una responsabilità negoziale , con conseguente applicazione del disposto dell’art. 1218 c.c.
Tanto acclarato in tema di incertezze ricostruttive, va comunque rilevato come la risoluzione della presente lite possa prescindere da una precisa presa di posizione del Tribunale con riferimento alla questione appena menzionata (sussistenza o meno di responsabilità contrattuale del gestore).
Invero, parte attrice agiva nel presente procedimento esclusivamente in via extracontrattuale (citazione), in tal modo superando in radice essa stessa la questione della individuazione in capo al gestore di una responsabilità negoziale nei confronti dell’utente.
D’altro canto, il potere del giudice civile di qualificare liberamente in diritto la domanda
(e dunque in ipotesi il potere di ravvisare una responsabilità contrattuale in luogo di quella extracontrattuale) postula pur sempre che la parte abbia allegato i fatti costitutivi dell’ipotesi normativa che il giudice reputa adeguata alla fattispecie; mentre si verifica «la violazione del principio fondamentale di corrispondenza tra chiesto e pronunziato non soltanto nei casi in cui il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni delle parti, ma anche quando, esorbitando dai limiti della mera qualificazione della domanda, il medesimo proceda ad un mutamento della stessa, sostituendo la «causa petendi» dedotta in giudizio, con una differente basata su fatti diversi da quelli allegati dalle parti» (ex multis, Cass.sez. III, 7 ottobre 1998, n. 9911); e, nel caso di specie, l’attore non deduceva in alcun modo, a fondamento della sua pretesa, il «fatto» del contratto, vale a dire il pagamento del pedaggio autostradale per la tratta percorsa dalla sua vettura.
Dunque, esclusa la possibilità di esaminare la fattispecie alla stregua dei principi propri della responsabilità contrattuale, occorre rimarcare che Meviox impostava tutta la sua azione risarcitoria sull’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 2051 c.c.: in sostanza, egli azionava nei confronti della società Autostrade per l’Italia s.p.a. esclusivamente una responsabilità da cose in custodia .
Il che imponeva anzitutto di valutare se il fatto dedotto potesse essere ricondotto alla figura evocata, dovendosi praticamente stabilite se, a fronte della collisione di un’autovettura con un cane presente sulla autostrada, potesse trovare applicazione la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. – così come prospettato sin da principio da parte attrice – ovvero il regime di responsabilità ordinario di cui all’art. 2043 c.c., con tutte le conseguenze in tema di riparto ell’onere della prova che ne deriverebbero.
Ed ancora una volta deve darsi atto di come , sulla questione, si siano registraste negli ultimi anni forti oscillazioni della Suprema Corte.
Infatti, per molto tempo la giurisprudenza assolutamente maggioritaria è stata concorde nell’escludere l’applicabilità alla pubblica amministrazione della responsabilità per cose in custodia - prevista dall’art. 2051 c.c. - in tutte le ipotesi in cui il bene, fonte di danno, fosse di notevole estensione ed oggetto di uso generale e diretto da parte della collettività.
In sostanza, l’estensione considerevole del bene produttivo di danno e l’uso diretto da parte dei terzi non avrebbe consentito all’amministrazione di effettuare un adeguato controllo e di adempiere ai doveri di vigilanza, posti a carico del custode.
Sicchè, applicando tali principi a tutte le ipotesi di danni subiti dall’utente della strada, anche con riferimento alle autostrade si era soliti escludere la responsabilità della pubblica amministrazione per cose in custodia .
Inoltre, nell’ipotesi di danni cagionati da animali vaganti sulle stesse, i giudici di legittimità motivavano l’inapplicabilità dell’art. 2051 c.c. affermando anche che la presunzione di responsabilità, posta da tale norma, richiedeva che il danno fosse causato dalla cosa stessa o perché idonea per sua natura a produrla, o perché in essa erano sorti agenti dannosi : mentre nell’evenienza esaminata il pregiudizio non sarebbe derivato direttamente dalla cosa ( tra la moltissime, Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 6807 del 13/05/2002; Cass. 16 giugno 1998, n. 5990,; Cass. 4 aprile 1985, n. 2319, in Rep. Foro it., 1985, voce Responsabilità civile, n. 143; Cass. 30 ottobre 1984, n. 5567, id., 1984, voce cit., n. 111; Cass. 7 gennaio 1982, n. 58, id., 1983,voce cit., n. 119; Cass. 20 marzo 1982, n. 1817, in Rep. Foro it., 1982, voce cit., n. 114; Trib. Torino 17 giugno 1995, in Resp. civ. prev., 1996, 1014; Cfr. Cass. 4 dicembre 1998, n. 12314, cit.; Cass. 9 novembre 1978, n. 5133, in Mass. Foro. it., 1978, 1231; Cass. 15 ottobre 1977, n. 4417, in Giur. it., 1978, I, 1, 13).
Tuttavia, la giurisprudenza più recente (Cass., 13 gennaio 2003, n. 298, cit., nonché Cass., 15 gennaio 2003, n. 488) mutava avviso.
La Suprema Corte, infatti, ripercorrendo l’orientamento tradizionale volto ad escludere l’applicabilità dell’art.2051 c.c. alle strade pubbliche, evidenziava che la ratio di siffatta esclusione era fondata sulla impossibilità di evitare l’insorgenza di situazioni di pericolo in un bene in quanto particolarmente esteso e soggetto all’uso diretto da parte di un numero rilevantissimo di utenti.
Si osservava, però, che la possibilità o impossibilità di un continuo ed efficace controllo e di una costante vigilanza — dalle quali rispettivamente dipendevano l’applicabilità o la non applicabilità dell’art. 2051 c.c. — non si atteggiavano univocamente in relazione ad ogni tipo di strada.
Per le autostrade, considerata la loro naturale destinazione alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, l’apprezzamento relativo alla effettiva possibilità del controllo non poteva che indurre a conclusioni in via generale affermative, e dunque a ravvisare la configurabilità di un rapporto di custodia per gli effetti di cui all’art. 2051 c.c..
Dunque, anche in relazione alle «caratteristiche, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza, agli strumenti che il progresso tecnologico volta a volta apprestava e che in larga misura condizionavano le aspettative della generalità degli utenti», poteva ritenersi che le autostrade fossero di fatto controllabili e suscettibili di una costante e continua manutenzione.
In sostanza, si giungeva ad affermare con una certa univocità che, quanto alle autostrade, sia invocabile l’art. 2051 c.c., in quanto tali beni sono per loro natura destinati alla percorrenza veloce in condizioni di particolare sicurezza ed accessibili solo dietro pagamento di un "corrispettivo", onde una più spiccata e doverosa possibilità del controllo in capo al gestore della tratta consente di configurare una sua posizione custodiale sulla cosa.
Ed il Tribunale non può che condividere questo successivo più recente orientamento, siccome non solo obiettivamente più rispondente ai caratteri peculiari delle autostrade – beni non assimilabili ad ordinarie vie infraurbane, destinate ad una circolazione molto più lenta - ma anche perché esso è meglio confacente ai maggiori oneri di verifica e manutenzione che incombono in capo al gestore, il quale, contrariamente agli enti pubblici proprietari delle strade ordinarie, percepisce una specifica prestazione pecuniaria proprio per garantire una percorribilità massimamente efficiente per gli utenti.
Dunque, è giusto che egli risponda in termini più gravosi di eventuali sinistri verificatisi sui beni rimessi alle sue cure (cfr, solo da ultimo, Cass. Civ. Sezione terza, sentenza n. 10689/08, depositata il 24 aprile; Cassazione civile , sez. III, 29 marzo 2007, n. 7763; Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 2308 del 02/02/2007; Cassazione civile , sez. III, 06 luglio 2006, n. 15384)
Ciò posto, va ricordato come la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall'art. 2051 cod. civ. ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone nè implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d'altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa,
Sicchè, l'attore che agisce per il riconoscimento del danno invocando tale regime di responsabilità ha solo l'onere di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.
Orbene, Meviox Mx adempieva sufficientemente ai suoi oneri probatori.
Invero, egli depositava un verbale di “rilevamento di incidente stradale con danni a cose” redatto dalla Polizia di Stato – Sezione Polizia Stradale di Caserta il giorno del sinistro (21.11.2006), nel quale “si confermava la dichiarazione del conducente” secondo cui “trattavasi di investimento di un cane” e “si constatava la presenza di una carogna di cane tra la prima e la seconda corsia di marcia”.
Onde non vi erano dubbi in ordine all’effettiva verificazione del fatto così come allegato dall’attore, cioè che si era realizzato l’investimento di un cane da parte sua mentre il quadrupede stava attraversando la carreggiata autostradale.
Peraltro, è evidente che la presenza di un tale animale costituisse obiettivamente una condizione di rischio per il malcapitato automobilista.
E di esso non poteva che rispondere il gestore della tratta.
Infatti, l'art. 2051 c.c., nello stabilire che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia salvo che provi il caso fortuito, richiede, per la sua applicabilità al caso concreto, che il danno si sia verificato, se non nell'ambito del dinamismo connaturato alla cosa, quantomeno per l'insorgenza in questa di un processo dannoso provocato da elementi esterni (giurisprudenza granitica sul punto): ed è indiscutibile che la presenza di un animale sull’autostrada, incidendo in termini significativamente negativi sulla sua utilizzabilità, faceva assumere alla cosa una condizione assolutamente pericolosa e potenzialmente lesiva per i fruitori della stessa, in quanto, mediante essa, era ostacolata in modo imprevedibile la carreggiata e si produceva un turbamento emotivo incontrollabile in ciascun conducente che si vedeva improvvisamente d’avanti l’animale .
Pertanto, se da tale situazione non poteva che derivare, come conseguenza normale e verosimile, un evento come quello verificatosi (collisione con veicoli o incidenti), non poteva che restare a carico della società convenuta dimostrare la prova del caso fortuito ex art. 2051 c.c..
Il contenuto della prova liberatoria, tuttavia, si atteggiava in termini diversi a seconda che la situazione di pericolo fosse connessa alla struttura o alle pertinenze dell'autostrada ovvero derivasse da condotte degli stessi utenti e/o da una repentina e non prevedibile alterazione dello stato della cosa.
Qui, poiché la presenza dell’animale rientrava in questa seconda tipologia di casi, doveva ravvisarsi il caso fortuito soltanto nei casi in cui l'evento dannoso avesse presentato i caratteri della imprevedibilità e della inevitabilità, in quanto l'insidia, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non potesse essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (cfr, Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 14749 del 13/07/2005).
In sostanza, in considerazione della natura del pericolo denunciato, era rimesso alla società convenuta di dimostrare di avere adottato tutte le precauzioni prescritte per prevenire l’evento o, qualora la stesso fosse stato imprevedibile o inevitabile altrimenti, di essersi trovata nella materiale impossibilità di rimuovere tempestivamente quella condizione pericolosa .
Ma tale prova liberatoria è mancata.
Ai sensi dell’art. 2 n. 3 lett. A del d.lg. 30 aprile 1992 n. 285, è prescritto che l’autostrada sia “dotata di recinzione”.
In tal modo si è costituita, da un lato, una legittima aspettativa degli utenti dell’autostrada di non trovarsi “presenze estranee” alla circolazione ordinaria; dall’altro, uno specifico dovere di sistemare lungo la strada, soprattutto quando essa – come nel caso – sia alla stessa altezza di un piano di campagna adiacente - una rete di recinzione idonea a contrastare penetrazioni dall’esterno (specie da parte degli animali selvatici o abbandonati, notoriamente numerosi nella zona), nonché di effettuare la manutenzione ordinaria e, in ipotesi di rottura di essa, di segnalare la situazione di pericolo, ponendovi sollecito riparo.
Perciò, spettava anzitutto a parte convenuta dimostrare che sul tratto autostradale in questione fosse stata apposta adeguata ed integra recinzione della carreggiata.
Laddove, infatti, al di là di arbitrarie congetture, era evidente che l’ipotesi più ovvia e naturale della presenza del cane in autostrada, secondo il principio della regolarità causale e dell’id quod plerumque accidit, era che l’animale avesse approfittato di uno squarcio o di una mancanza parziale nella recinzione, al fine di entrare sulla carreggiata.
Ma sul punto la società Autostrade per l’Italia s.p.a. nulla provava o chiedeva di provare.
Né poteva ritenersi raggiunta una qualche evidenza probatoria a suo favore per il solo fatto che gli agenti accertatori avevano rilevato, in sede di rilievi, che “sul tratto interessato dal luogo del sinistro la rete di recinzione risultava integra”, posto che non risultava essere stata effettuata alcuna seria ricognizione da parte della P.G. intervenuta e ben potendo un qualche varco essere presente a distanza anche considerevole dal luogo del sinistro, ad un’altezza non esaminata dagli Agenti intervenuti.
Sicchè sarebbe stato onere della parte convenuta fornire tali precisi riscontri.
Ma essa, come detto, si disinteressava totalmente di difendersi a riguardo.
Dal che, in mancanza di chiara e sicura prova liberatoria, non poteva che derivare l’accoglimento integrale della domanda attorea.
Per quanto concerne la liquidazione del danno, può riconoscersi allo Meviox, oltre alle spese di rimozione e traino della vettura per Euro 42,50 (fattura in atti), la ulteriore somma di Euro 2981,75 recata nella fattura di riparazione prodotta, trovando la stessa sufficiente corrispondenza con i danni rilevati dalla Polizia Stradale all’autovettura (verbale in atti).
Nessun danno da mancato guadagno, di contro, potrà essere accordato, in difetto di specifica prova sia della sua verificazione (diminuzione dei redditi lavorativi) sia del nesso causale tra tale pregiudizio e la indisponibilità temporanea dell’autovettura.
Così come non saranno liquidabili le “spese per ripristino e sostituzione della paratia” , siccome non riscontrate in sede di riparazione.
L’attore, poi, richiedeva anche il danno da fermo tecnico del veicolo.
Tuttavia, il cd. "danno da fermo tecnico" del veicolo incidentato non può considerarsi sussistente "in re ipsa", quale conseguenza automatica dell'incidente, ma necessita, per converso, di esplicita prova, che attiene tanto al profilo della inutilizzabilità del mezzo meccanico in relazione ai giorni in cui esso è stato sottratto alla disponibilità del proprietario, tanto a quello della necessità del proprietario stesso di servirsene, così che, dalla impossibilità della sua utilizzazione, ne sia derivato un danno: e anche tale prova è mancata totalmente nella fattispecie (Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 12820 del 19/11/1999).
Non sfugge, peraltro, al Tribunale l’orientamento secondo cui il richiamato danno potrebbe essere liquidato in via equitativa, anche indipendentemente da una sua prova specifica, in quanto, anche durante la sosta, il proprietario sarebbe tenuto a sopportare le spese di gestione del veicolo (tassa di circolazione, premio di assicurazione), che è, altresì, soggetto ad un naturale deprezzamento di valore (Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 12908 del 13/07/2004; Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 23916 del 09/11/2006).
Sennonchè, pur a voler accedere a tale tesi, ritiene questo Giudice che il danno in esame sarebbe risarcibile, nonostante la forfetizzazione equitativa, sempre che si dimostri, in ogni caso, che il “fermo” del veicolo abbia avuto una durata apprezzabile e significativa, non potendosi certo ritenere che possa assumere una reale rilevanza patrimoniale la circostanza di aver pagato a vuoto un premio di assicurazione o una tassa di circolazione per un intero anno, quando poi l’impossibilità di utilizzare il veicolo sia durata solo pochi giorni dell’annata di riferimento: e nel caso in esame, emergeva proprio che le riparazioni duravano otto giorni (cfr fattura) .
L’importo riconosciuto in favore degli attori è indicato in valori monetari attuali.
Nessun interesse ulteriore potrà essere riconosciuto per risarcire, in termini di lucro cessante, il danno imputabile al ritardo con cui i danneggiati ottengono la disponibilità dell'equivalente pecuniario del debito di valore dedotto in lite.
Infatti, nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, è possibile che la mera rivalutazione monetaria dell'importo liquidato in relazione all'epoca dell'illecito, ovvero la diretta liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a reintegrare pienamente il creditore, che va posto nella stessa condizione economica nella quale si sarebbe trovato se il pagamento fosse stato tempestivo.
In tal caso, è onere del creditore provare, anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo.
E questo può dipendere, prevalentemente, dal rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non è normalmente configurabile.
Per cui, considerando che per l’andamento del costo del denaro e degli interessi dal 2006 (inferiore alla rivalutazione) ad avviso del Tribunale ivi non si è prodotto alcun danno ulteriore da ritardo, nessuna somma andrà riconosciuta a tale titolo (Cassazione civile , sez. III, 25 agosto 2003, n. 12452).
Le spese seguiranno comunque la soccombenza, con liquidazione come da dispositivo.

P. Q. M.

Il Tribunale, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando in ordine alla causa in epigrafe,
- accertata la responsabilità della società Autostrade per l’Italia s.p.a. per i danni conseguenti al sinistro occorso a Meviox Mx in data 21.11.2006, condanna Autostrade per l’Italia s.p.a. al risarcimento dei danni in favore di Meviox Mx liquidati, secondo valori monetari attuali come in motivazione, nell'importo di € 3.023,00, oltre interessi legali sulla complessiva somma così determinata dalla presente pronuncia fino al soddisfo;
- condanna Autostrade per l’Italia s.p.a. a rimborsare a Meviox Mx le spese processuali sostenute nel presente giudizio, che liquida in complessivi € 1.560,00, di cui € 780,00 per diritti, il residuo per spese ed onorari, oltre rimborso spese generali al 12,50%, IVA e contr. cassa prev. avv. come per legge; con attribuzione agli avv.ti ….
Così deciso in Nola il 11.12.2008; si provveda all’immediato deposito in cancelleria.
Il Giudice
Dott. Alfonso Scermino
(Allegato al verbale d’udienza dell’11.12.2008)

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